Storia del Movimento5Stelle-24. Partecipazione democratica nella società connessa di massa
Aggiornamento: 10 nov
di Giorgio Bertola
Ventiquattresima puntata della storia del Movimento 5 Stelle scritta da Giorgio Bertola, consigliere regionale del Piemonte (Gruppo misto-Europa Verde), uno dei fondatori dell'esperienza grillina a Torino, le cui vicende entrano a far parte della scena politica italiana nel 2009. In questa puntata l'autore affronta il tema della democrazia rappresentativa in rapporto alle tecnologie digitali.
Nella prima parte del lavoro abbiamo parlato di come la crisi della partecipazione e dei meccanismi di rappresentanza abbia dato origine, tra le altre cose, a pratiche di democrazia partecipata e di democrazia diretta, anche grazie alle tecnologie digitali. Abbiamo in seguito analizzato le caratteristiche della democrazia digitale, o e-democracy, mettendone in evidenza sia le potenzialità che i rischi connessi. La domanda che dobbiamo porci è quindi la seguente: la democrazia rappresentativa può essere affiancata da strumenti che favoriscano maggiormente la partecipazione, oppure dovrebbe essere superata anche attraverso gli strumenti di democrazia digitale?
L’affluenza alle elezioni è senza dubbio l’indicatore principale della partecipazione popolare in una democrazia rappresentativa, che trova la sua ragione proprio nel principio della delega che si esprime nelle consultazioni elettorali. Il crescente astensionismo, non solo nel nostro Paese, unito alla crisi di corpi intermedi come partiti e sindacati, ha indebolito la democrazia rappresentativa, che da sola non è più in grado di fornire ai cittadini le risposte da loro attese.
Per quanto riguarda l’Italia, le leggi elettorali che si sono succedute negli ultimi trent’anni non hanno certamente contribuito ad invertire la tendenza. La presenza di liste bloccate impedisce agli elettori di esprimere un voto di preferenza sui candidati, che sono scelti prevalentemente dalle segreterie dei partiti. Le cose non vanno meglio nemmeno per i seggi assegnati con collegi uninominali. In questo caso, dovrebbe esserci un contatto più stretto tra i candidati, il loro territorio di provenienza e i potenziali elettori, ma accade spesso che le forze politiche propongano persone che non risiedono nel collegio elettorale, per garantire seggi “sicuri” ai loro esponenti di spicco.
La crisi dei meccanismi di rappresentanza
Un sondaggio effettuato dall’Istituto Demopolis[1] a meno di quattro giorni dal voto delle ultime elezioni politiche ha rilevato che due elettori su tre non conoscevano il nome di almeno un candidato del loro collegio uninominale. Un altro sondaggio, effettuato da SWG[2], ha evidenziato che la percentuale degli elettori che conoscevano il candidato votato nel collegio uninominale era del 39% per il Senato e del 40% per la Camera dei Deputati. Si tratta di dati che ancor più di quelli sull’astensionismo, certificano la crisi dei meccanismi di rappresentanza, e la necessità di pratiche democratiche che abbiano un orizzonte più ampio di quello del voto.
I problemi evidenziati hanno spesso lasciato spazio, come abbiamo visto, a risposte semplicistiche come quelle fornite dalle forze populiste, o ad atteggiamenti di rifiuto della delega e della rappresentanza che al di là delle retoriche sulla democrazia diretta, anche attraverso le piattaforme digitali, hanno visto l’affermarsi di leadership paternalistiche e movimenti dotati di scarsa orizzontalità. A nostro avviso, quindi, la comunicazione digitale non può sostituire i partiti come corpi intermedi e come mezzo attraverso il quale i cittadini possono «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», come recita l’articolo 49 della nostra Costituzione. Piuttosto, come sostenuto anche da Mancini[3], è necessario rinnovare la figura del partito tenendo conto di un contesto comunicativo che è profondamente cambiato. A questo scopo sarebbe anche importante approvare delle norme, invocate senza successo da più parti, per dare piena attuazione all’articolo 49 della Costituzione e per restituire centralità ai partiti, più che ai loro leader, nella nostra democrazia. Ferma restando la tutela dell’autonomia delle forze politiche, occorre fissare delle regole “minime” di garanzia per la partecipazione e la democrazia interna.
Giuliano Amato, in una sua nota sul tema[4], afferma che i partiti devono essere palesemente democratici, e prevedere chiare regole di democrazia interna, adeguate alle nuove dinamiche dei processi della democrazia che vedono un ruolo crescente attribuito alla c.d. deliberative democracy and public consultation [J. Fishkin, 2009], in modo tale da controbilanciare la tendenza (che esiste e che tende da sola ad acquisire forza crescente) a far essere i partiti veicoli di potere personale o di gruppo, anziché incubatori e aggregatori politici delle idee che saranno poi incarnate dalla leadership [L. Cavalli, 1992].
Una nuova disciplina sui partiti politici potrebbe quindi includere anche una regolamentazione delle piattaforme digitali di partecipazione, affinché le pratiche di democrazia digitale si svolgano in ambienti che garantiscano un reale confronto tra opinioni e la possibilità per tutti i cittadini di proporre temi di discussione e istanze da portare nelle istituzioni, oltre che una governance aperta, scevra da interessi privati e con requisiti di sicurezza informatica certificati.
Le analisi di De Blasio e Sorice
La e-democracy, infatti, secondo De Blasio[5], può indurre a eccessive semplificazioni, riducendo il dibattito democratico al confronto tra favorevoli e contrari, ma può anche favorire la partecipazione in termini qualitativi. Una partecipazione, quindi, consapevole, informata e rispettosa delle differenze. L’e-democracy non ha invece futuro se si limita a offrire una possibilità tecnologica di voto o di legittimazione di oligarchie. La democrazia digitale deve essere uno strumento di crescita democratica della partecipazione. La sfida, secondo De Blasio[6], non riguarda solo la tecnologia, ma coinvolge anche questioni molto complesse: a) il tema della partecipazione politica; b) le relazioni di potere presenti nella società che si riflettono nell’ambiente digitale; c) la questione della Internet Governance; d) il rapporto fra processi deliberativi e processi di policy making; e) il processo deliberativo online, che costituisce la cifra distintiva della democrazia digitale ma che ha bisogno di essere meglio definito; f) il rapporto con possibili intermediari delle pratiche di innovazione democratica come le ONG e i movimenti; g) il rapporto con le istituzioni della democrazia rappresentativa; h) la necessità di rafforzare la dimensione partecipativa della democrazia digitale.
Secondo Sorice[7] un’autentica democrazia digitale dovrebbe essere il prodotto della sinergia tra la democrazia partecipativa deliberativa e le tecnologie digitali. La democrazia digitale può permettere alla cittadinanza di incidere nei processi decisionali, rappresentando uno strumento importante per l’incremento delle occasioni di espressione e mobilitazione, sia per i gruppi sociali a più alta rappresentanza politica, sia per le minoranze e i gruppi di opposizione. Ha un grande spazio avanti a sé, per supportare la democrazia rappresentativa ed affiancare gli spazi fisici di discussione e di confronto e dare a tutti i cittadini la possibilità di essere al centro di pratiche che non limitino la democrazia al breve momento del voto sulla scheda elettorale, anche in attuazione dell’art. 3 della Costituzione, che prevede la rimozione di tutti gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e la loro effettiva partecipazione.
Note
[1] https://www.today.it/politica/elezioni/politiche-2022/sondaggio-candidati-uninominali.html, consultato il 1° febbraio 2023.
[2] Sondaggio eseguito tra il 28 settembre ed il 3 ottobre 2022, con metodo di CATI-CAMI-CAWI su un campione rappresentativo nazionale di 1200 soggetti maggiorenni, pubblicato nel documento Radar SWG del 4 ottobre 2022.
[3] Mancini, Paolo, Il sistema fragile: i mass media in Italia tra politica e mercato, Roma, Carocci, 2002, citato in Giacomini, Gabriele, Potere digitale, Milano, Meltemi editore, 2018, p. 53.
[4] https://www.camera.it/temiap/XVI_0438.pdf, consultato il 2 febbraio 2023.
[5] De Blasio, Emiliana, E-democracy, Milano, Mondadori, 2019, p. 120.
[6] De Blasio, ivi, p. 51.
[7] Sorice, Michele, Rischi e potenzialità della web democracy, in Aroldi, Piermarco, La piazza, la rete e il voto, Roma, Fondazione Apostolica Actuositatem, 2014, pp. 44-50, citato in Giacomini, op. cit., p. 189.
Precedenti puntate in:
https://www.laportadivetro.com/post/storia-del-movimento5stelle-7-la-morte-di-gianroberto-casaleggio
https://www.laportadivetro.com/post/storia-del-movimento5stelle-10-il-governo-conte-i-entra-in-crisi
https://www.laportadivetro.com/post/storia-del-movimento5stelle-14-piattaforma-rousseau-e-l-eredità-di-gianroberto-casaleggio;
https://www.laportadivetro.com/post/storia-del-movimento5stelle-15-piattaforma-rousseau-criticità;
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