Una strage dimenticata, Vergarolla, 18 agosto 1946
- Vice
- 3 giorni fa
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di Vice

Caro direttore (Walter Veltroni N.d.R.), il 2 agosto scorso abbiamo commemorato la strage di Bologna, ma il ricordo di un'altra strage è sempre presente nella memoria: a Pola, Vergarolla, il 18 agosto del 1946, si festeggiava la festa della Pietas Julia, società per le attività marinare; ci fu uno spaventoso attentato. Morirono 120 persone. Non so se il numero sia un dato ufficiale. Osservi bene la data: la guerra era finita e mancava quasi un anno alla firma del trattato che ci costrinse all'esodo. Quell'episodio non fu mai riportato dalla stampa.
Comincia così la lettera della lettrice Regina Cimmino di Mestre che l'Unità, non più "Organo del Partito comunista, ma "Giornale fondato da Antonio Gramsci", pubblica il 13 settembre del 1994 nella rubrica dedicata ai suoi lettori. La data del giorno è estranea a qualunque ricorrenza, né sono all'orizzonte forti richiami alla tragedia delle foibe e all'esodo giuliano-dalmata, tantomeno si può dire incipiente che il I governo Berlusconi, preso da ben altri problemi, accarezzi l'ipotesi di una commemorazione nazionale, che soltanto nel marzo del 2004 con la legge 92 istituisce il Giorno del Ricordo, il 10 febbraio.
Dunque, è una lettrice a rompere il silenzio, a quasi mezzo secolo di distanza, su un luttuoso episodio che la maggior parte degli italiani ignora, a parte le associazioni degli esuli istriani che testardamente e puntualmente riportano ad ogni anniversario l'eco della strage sulle loro pubblicazioni. Prosegue Regina Cimmino, descrivendo con una prosa asciutta i diversi momenti di quelle lontane giornate vissute in prima persona, manifestando una lungimiranza politica e una sensibilità civica rare:
Il meccanismo fu questo: innescarono delle mine che giacevano sulla spiaggia, accesero la miccia. La deflagrazione fu tremenda. La gente ci stava seduta sopra, vi appoggiava i vestiti, tanto erano inoffensive. Si racconta che morì anche un militare inglese. Fu quello che spinse chi aveva - se pur li aveva - dei dubbi a non rimanere. Io avevo undici anni e più che lo scoppio, che per puro caso non toccò la mia famiglia e ne distrusse tante, mi sconvolsero i funerali: tante bare allineate su tanti camion militari, coperte dal tricolore e dal silenzio di una città in ginocchio, in ogni senso. Io lì, muta a guardare. Non ho ricordo di un fiore. Solo per due bare ci fu un funerale privato: per i due figlioletti dell'eroico medico (Geppino Micheletti N.d.R.) la cui vedova vive a Trieste, che pur sapendo di aver perso i due figli ed altri famigliari non lasciò l'ospedale operando e curando i feriti. Di un corpicino trovarono soltanto i miseri resti. Nei miei ricordi di bambina riaffiora una frase: «In una bara ci sono i giocattoli». L'esodo di 350.000 istriani, giuliani e dalmati fu volutamente ignorato da tutti: dalle sinistre, scandalizzate perché non abbracciavamo il comunismo, da De Gasperi che con il suo «pacchetto» salvaguardava il più possibile il suo Alto Adige. Ci voleva questa selvaggia guerra (il conflitto civile in Jugoslavia, N.d.R.) perché si fosse costretti a parlare anche di noi, del dramma di un popolo orgoglioso, forte e testardo senza passato, senza futuro: dall'orrore delle foibe, ai campi profughi, all'essere esuli in Patria o al di là degli oceani. Vorrei che l'esodo, dopo cinquant'anni, fosse riconosciuto e che venisse aperto un dialogo, e credo che questo impegno spetti alle forze progressiste. [1]

La strage, in realtà, fu riportata dalla stampa, ma presto accantonata. Il caso vuole che a scriverne fu proprio l'Unità, ad esequie avvenute, il 21 agosto, con un titolo in prima pagina che indicava i "colpevoli" senza mezzi termini: "Gli anglo-americani responsabili della strage di Pola", cui spettava il controllo del territorio, formalmente ancora italiano, cui si addebitava un comportamento negligente per non avere rimosso le mine dalla spiaggia, dove erano state gettate dalla marea e di non averle disinnescate dopo averle lasciate sulla spiaggia.
La guerra fredda incombeva insieme con le premesse della divisione del mondo in blocchi. E se vi erano dubbi, l'articolo di spalla - un'altra lettera, ma di un "anonimo" diplomatico - che sovrastava la notizia di Pola, spiegava ulteriormente con il suo titolo la tesi del quotidiano comunista: Il pericolo del rinvio della questione di Trieste.
Ma chi provocò la strage? Dal ricordo si è passato all'indagine soltanto in anni recenti con l'apertura degli archivi britannici, americani, italiani e croati, per l'intraprendenza di alcuni storici, tra questi Gaetano Dato, autore del saggio Vergarolla 18 agosto 1946, con cui ha cercato di chiarire, come ha scritto di chiarire in una lettera di precisione all'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia [2] "il contesto molto particolare nel quale la strage fu compiuta", cioè "la delicata transizione fra la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Fredda e come la Venezia Giulia fosse uno dei luoghi centrali, a livello internazionale, per la ridefinizione dei rapporti fra le superpotenze. ".

Gaetano Dato inquadra anche la strage di Vergarolla nelle tensioni che si erano all'ordine del giorno tra l'Italia e la Jugoslavia, con la prima che aveva ancora in animo di giocarsi la carta militare per contrastare l'aggressività del regime del maresciallo Tito.
Di qui, la reazione jugoslava con lo storico che propende su due piste alla ricerca di mandanti e moventi. La principale sostenuta dai riscontri delle fonti storiche, è quella che addebita ai servizi segreti titini l'attivazione delle bombe, "per fermare sul nascere la nuova guerra partigiana che gli istriani stavano iniziando a combattere per ricongiungersi all’Italia". Ragione per la quale, sottolinea lo storico, l'Italia ha fatto cadere nel vuoto la domanda di un'inchiesta per non essere "obbligata a parlare del sostegno alla resistenza istriana, che gli Alleati non volevano, e avrebbe maggiormente incrinato i rapporti internazionali nel cuore dell’Europa, rischiando di dare il via a una nuova guerra mondiale".
L'altra pista, secondaria, dovrebbe puntare "verso tutti coloro che intendevano accendere, per vari motivi, un nuovo conflitto con la Jugoslavia, specialmente tra USA e Jugoslavia", poiché tra queste due nazioni era esplosa, nei giorni di Vergarolla, un forte tensione, con diverse morti americane e che stava per arrivare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite", mentre sullo sfondo in Italia rialzavano la testa monarchici e fascisti, pronti a sfruttare il veleno anticomunista, e in Jugoslavia si registrava il risveglio dei collaborazionisti, dagli ustascia ai cetnici, seguaci di Draža Mihailović .
Invece, il 18 agosto 1946, il conflitto arrivò con la faccia vile e feroce del terrorismo, secondo un copione che si sarebbe ripresentato in Italia con la strategia della tensione.
Note
[1] Nel settembre del 1997 è stato inaugurato un cippo a ricordo della strage: un semplice blocco di pietra d'Istria, con incise in alto le parole "Vergarola 18.08.1946 13 h." e in basso "Grad Pula - 1997 - Città di Pola".
Da quell'anno, ogni 18 agosto, una delegazione di esuli polesani ed una delegazione della Comunità degli Italiani di Pola commemorano la strage. Il 13 aprile 2017 è avvenuta la prima commemorazione congiunta italo-croata delle vittime della strage. Nell'occasione è stata anche conferita alla memoria del dottor Micheletti la Medaglia d'oro al merito della sanità pubblica della Repubblica Italiana.
Il 18 agosto 2023, per la prima volta, l'anniversario della strage è stato commemorato congiuntamente dall'amministrazione croata e dalle due comunità italiane, quella degli esuli polesani nel mondo e quella degli italiani rimasti a Pola in Strage di Vergarolla - Wikipedia
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