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Come eravamo... estate 1979

Una vacanza e qualche alba per crescere... o per non farlo mai del tutto

di Beppe Borgogno  


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Siamo giovani. L'Università è iniziata da poco e si mescola con qualche lavoretto in quell'estate del 1979. Ma ci sentiamo ancora padroni del tempo e abbiamo tutta la vita davanti. Una vita che, nella fantasia di quei momenti, non può che somigliare ad una lunghissima estate.

Quella che sta per iniziare è una vacanza che oggi qualcuno definirebbe "di formazione", che a distanza di anni rimanderà tanta storia e tante piccole storie, ma noi ovviamente in quel momento non lo sappiamo ancora.

Si parte a metà luglio, con la 127 blu di Marco. Siamo in quattro: i nomi sono di fantasia, la storia no. Oltre a Marco, la sua fidanzata Antonella (scopriremo poi, con qualche venatura di nobiltà, ma ben dissimulata), io e Gianni. È l’estate della benzina razionata, quindi occhio ai consumi e ai distributori che hanno almeno un po’ di carburante. Io e Antonella non abbiamo la patente, quindi non ci opponiamo alla decisione di viaggiare solo su strade statali, per risparmiare sui pedaggi. Quella di risparmiare, in fondo, è una costante per almeno un pezzo della mia generazione: etica del consumo ed etica della spesa, assieme alle poche lire a disposizione, facevano della lentezza e del sacco a pelo una scelta inevitabile, a cui si poteva però associare persino una patina culturale.

Ma va bene così, visto che le nostre scelte per risparmiare ci permetteranno alla fine della vacanza, come vedremo, di fare qualcosa che soddisferà  al meglio una delle ossessioni ideologiche di quegli anni, ovvero unire in maniera feconda teoria e pratica attorno ad alcune nostre radicate convinzioni politiche.

Dunque si parte. Obiettivo, la costa jonica della Calabria, dove c'è la casa dei genitori di Marco. Ma un viaggio piuttosto lungo per giunta su strade statali, va spezzato, e si deve viaggiare solo di notte o quasi. Quindi prima tappa a Roma, quartiere Trieste, dagli zii di Marco, un giorno per riposare e poi ripartire. Per chi non lo sapesse, il quartiere Trieste, in quegli anni, era una zona nella quale la destra giovanile era particolarmente forte, proprio quella dello scontro di piazza (e non solo, ma si è capito poi) e dell'inviolabilità del territorio. Si può dunque immaginare quanta adrenalina avessimo in corpo mentre ci aggiravamo per il quartiere alla ricerca di un telefono a gettoni, con i nostri capelli certo non corti, qualche barba incolta, e il Manifesto che faceva capolino dal tascapane. Tutto bene, non fosse che in quegli anni, a Roma, sovente nei bar si trovava, anziché il classico telefono a gettoni, un apparecchio nero a monete per le sole chiamate urbane. Quindi giro un po’ più lungo ma senza inconvenienti, e la prima tappa va via così, con ripartenza nella serata dopo una abbondante cena.

La prima vera alba della vacanza offre alla nostra vista gli strani cocuzzoli della Presila. Spettacolo magnifico, ancora un po’ di strada e poi l’obiettivo è raggiunto: un bellissimo paese, tra i pochi rimasti intatti dopo i tanti piccoli e grandi terremoti che ogni tanto colpiscono la zona. Una vista meravigliosa, un luogo dove si sposano il Sud della tradizione contadina e persino ancora feudale (l'anziana signora, una sorta di mezzadra, che ogni mattina ci porta frutta o prodotti della campagna, perché così i suoi parenti hanno sempre fatto con la famiglia di Marco) e quello dei giovani che vogliono fuggire e immaginano il loro futuro nelle grandi città del nord ("finisco il liceo e vengo a studiare a Torino", "smetto di studiare e vengo su dai miei parenti", sono i discorsi dei pochi ragazzi  rimasti in paese).

Mare bellissimo e incontaminato, splendide dune di sabbia, ma qua e là qualche casetta abusiva. Verso l'interno, una magnifica collina boscosa, con in mezzo un vero e proprio chalet svizzero, forse abusivo anche quello. Insomma, un intreccio di sacro e di profano che si riconoscono l'uno con l'altro, in modo più genuino ed autentico di quanto non avvenga oggi, capace però di trovare una propria sintesi in un luogo: i locali delle Cooperativa Rinascita.

La Cooperativa Rinascita è tutto: bar e luogo d'incontro per i più giovani, negozio di alimentari per chi, soprattutto le donne, fa la spesa, sede della produzione di olio consorziata tra i contadini locali. Tutto, ancora più del Municipio. E il gestore, o almeno colui che compare in ognuna delle funzioni della cooperativa, è un autentico personaggio: militante comunista, ex bracciante poi emigrato in Germania, autodidatta. Parla un italiano aulico e ogni tanto ci spruzza un pochino di tedesco. Ma con noi, "i compagni di Torino", come ci chiama, vuole parlare del nuovo mito internazionalista e rivoluzionario: il Nicaragua sandinista. In verità è un monologo, un evento che si ripete ad ogni sosta alla cooperativa, in cui la “via italiana al socialismo” e il terzomondismo rivoluzionario si mescolano con qualche semplificazione, ma anche tanta passione. E soprattutto “sempre nella democrazia”.

È un pretesto, naturalmente, per parlarci della voglia di riscatto della gente come lui, di quell'Italia lì, che ora non c'è più. Incredibile, ma a distanza di 40 anni ricordo ancora qualcuno dei suoi ragionamenti, tipici di un tempo in cui il desiderio di cambiamento cancellava spesso le distanze e le differenze. Eccolo qui, un segno indelebile di quell'inconsapevole estate "di formazione".

La vacanza in Calabria sta per finire, Antonella parte in treno per andare a fare la baby-sitter in Valle d'Aosta (torneremo sull'argomento) e ci raggiunge Alessia, un'amica.

Si riparte, sempre di notte, lenti, sulle strade statali. Costa jonica, mare di Metaponto. È notte, ci avviciniamo in auto alla spiaggia e fatalmente la 127 si insabbia. La ricerca di qualcosa che ci aiuti a liberare le ruote ci porta vicino ad un baretto sul mare: chiuso, all'apparenza. Invece, all'interno, dorme un giovane, che non si scompone alla nostra richiesta di aiuto. Anzi. La sua gentilezza si spinge oltre, a venderci alcune bottiglie di vino bianco, altre di una specie di limoncello locale, un paio di confezioni di Nano Ghiacciato, vino bianco in bottiglietta che allora veniva pubblicizzato in tv da Amanda Lear, sex-symbol volutamente ambigua e protagonista di una televisione ancora bacchettona ma sulla via della liberazione, certamente più aperta, reale e pluralista di quella che conosciamo oggi. Il tutto a prezzi rigorosamente "proletari". Non contento, completa la sua personale ospitalità offrendoci anche otto gelati, due a testa.

Qui arriva la seconda alba da ricordare, forse la più bella di quella vacanza: i Sassi di Matera, autentici e certamente meno turistici di oggi, bellissimi in quella luce magica. E dentro, uno straordinario senso di libertà e di pienezza insieme. Certo, anche un'alba galeotta con Alessia, ma questo non fa che aggiungere bellezza ad una sensazione che ho vissuto pochissime altre volte: quella di essere esattamente nel posto dove vorresti essere, e di sentirti come ognuno si vorrebbe sentire.

Ma il viaggio deve proseguire, verso un gruppo di amici in vacanza in Gargano. Prima però, sosta a Gravina di Puglia, dove per vedere quello che gli abitanti chiamano il canyon veniamo praticamente aggrediti da un gruppo di maiali liberi, che prima grugniscono infastiditi al nostro passaggio, e poi ci rincorrono aggressivi. La 127 ci salvò, e portando in dono un paio di bottiglie di vino bianco sbarchiamo a Rodi Garganico.

Nulla da segnalare, non fosse che, come si diceva allora "il personale è politico". Quindi occorre gestire con attenzione quella specie di relazione con Alessia, per non pesare sul gruppo, per non isolarsi nel più classico degli atteggiamenti da coppia borghese. Non è che l'inizio di un faticoso percorso, che dopo qualche giorno, in un altro pezzo d'Italia manderà persino in scena un piccolo quanto divertente "processo".

La terza alba da ricordare la incontriamo sulla piazza di un paesino dell'Appennino abruzzese. Dovevamo raggiungere altri amici, e abbiamo sbagliato strada. Decidiamo di dormire nel sacco a pelo, ma per tutta la notte ogni tanto arrivano intorno a noi e all'auto alcuni cani latranti. Ad un certo punto, all'alba, una signora che abita in una delle case che si affacciano sulla piazza ci invita a salire per un caffè e una fetta di dolce fatto in casa. Lei soffre d'insonnia, ci ha osservati per un po' e poi ha deciso di invitarci. Ci sarà ancora oggi, in giro, nella società cattivista della paura, qualcuno che abbia voglia di fare altrettanto? Chissà. 

La cucina della casa è piccolissima, ma calda e profumata. La signora ci rifocilla, poi ci regala un formaggio, buonissimo, e possiamo raggiungere i nostri amici qualche chilometro più in là. Qualche giorno dopo ripartiamo, non senza aver scoperto la bontà del coniglio cotto nella cenere ascoltato i racconti del nonno pastore dei nostri amici. 

Il viaggio prosegue: da amici a Bologna, a casa di altri a Lanzo d'Intelvi, sopra il Lago di Como. E poi, tanto il tempo non esiste, un giretto in Svizzera, ghiacciai del Rodano. Rientro dalla Francia, tunnel del Monte Bianco, Courmayeur, dove Antonella è andata a fare la baby sitter.

L'ultima alba di questo ricordo è proprio lì, in quella casa. Ho dormito, male, su un divano più corto di me, quindi veramente corto. Ma l’alba è bellissima, i colori della montagna sono straordinari, la voglia di continuare in quel tempo sospeso è grande, come è grande il sentimento che mescola timore  e attesa che, lo capirò dopo, somiglia a quello che, nel corso del tempo, sentirò ogni volta che sta arrivando un cambiamento. Ora dobbiamo tornare, siamo ormai ai primi giorni di settembre, e la vacanza è durata un mese e mezzo. Non una vita, ma è la vacanza più lunga di tutta la mia vita.

Io non lo so ancora, ma ho imparato tante cose sull'Italia, sulle sue bellezze e sui suoi vizi. Sull'amicizia, sulla solidarietà. Tutte cose che sono poi diventate i miei riferimenti nel tempo, come anche tanta della musica che ha fatto da colonna sonora di quelle vacanze: nessuno può immaginare quante volte nella vita ho riascoltato “Theorius Campus”, primo e unico album del duo Venditti/De Gregori, o l’allora biondissimo e capellutissimo Peter Frampton, tanto per fare qualche esempio.

Così come, negli anni, ripetutamente sono rimbalzati i tanti discorsi fatti e ascoltati in quelle settimane: ora, a 46 anni di distanza, lo vedo benissimo.

Con quegli amici ci siamo poi un po’ persi di vista, ma so che in fondo, ognuno a modo suo, siamo rimasti gli stessi idealisti solidali di allora. Le stesse idee ce le portiamo in testa e nel cuore, e ogni tanto penso che sia così anche perché in quella vacanza non ci fu mai vera tensione su nulla, e ci siamo sempre sentiti ognuno, anche, la parte di un altro.

I soldi "risparmiati" in quella vacanza "a scrocco", in parte sono finiti, guarda caso, in un fondo per aiutare la rinascita del Nicaragua sandinista: lì c’era bisogno di tutto, a cominciare dalle scuole. Qualche altro soldino, con un'aggiunta frutto di un regalo, l'ho investito nel mio primo paio di Clark's. Da allora, chi mi conosce lo sa, non ho mai smesso di calzarne un paio: scarpe che allora erano, pure loro, una sorta di segno generazionale, poi sono diventate un accessorio comodissimo.

Quella vacanza, oltre che al cuore e alla testa, ha finito persino, e nemmeno questo potevo sapere, per fare bene ai tanti passi da percorrere nel futuro che stava iniziando.

E anche questa, a modo suo, forse è un’alba da non trascurare.

 

 

 

 

 

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