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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Le guerre e l'evoluzione perduta

di Sergio Cipri

Dal 7 ottobre, le notizie dalla Striscia di Gaza alternano cifre e commenti che raffigurano la dimensione della crudeltà che si raggiunge quotidianamente da una parte e dall'altra delle parti in guerra. Stanotte, come riporta l'agenzia di stampa palestinese Wafa, le bombe israeliane sganciate dagli aerei sul campo profughi di Maghazi, nel centro della Striscia, hanno ucciso una cinquantina di persone e ferite una decina. Per contro, Hamas continua a utilizzare i residenti e non della Striscia come scudi umani, impedendo loro l'uscita dal valico di Rafah tra Gaza e l'Egitto, salvo poi fare marcia indietro e dettare l'orario di "apertura" come fosse quella di un supermercato. Ma forse lo è.

Dunque, cercare di capire il groviglio di interessi che sta devastando, e da sempre devasta, il Vicino Oriente è impresa ardua per chiunque, compresi quelli che, presentati come esperti, occupano stabilmente i talk show serali.

Chi scrive sa di non avere la competenza, ma soprattutto le conoscenze necessarie per formarsi una comprensione oggettiva di quella realtà. Ha anche il sospetto, se non la certezza, che le informazioni alle quali ha accesso siano il risultato di una gigantesca manipolazione, supportata da una tecnologia che ormai può rendere indistinguibile il mondo reale da un mondo virtuale assolutamente artificiale.

Gli ultimi venti anni della mia vita sono stati dedicati, per la mia professione di Executive Coach, all’esplorazione dei meccanismi che guidano, il più delle volte a nostra insaputa, i comportamenti della specie umana. Poiché i comportamenti collettivi sono inevitabilmente il risultato della somma e della interazione di comportamenti individuali, cerco risposte nelle conoscenze a me più vicine e – forse mi illudo – comprensibili.

Un milione di anni fa i nostri antenati lottavano ogni giorno per la sopravvivenza in un ambiente naturale pericoloso e spietato. La differenza fra vivere o morire stava nella capacità di percepire una minaccia e, più ancora, nella velocità del riflesso di attacco/fuga. Attacco quando individuo una preda: mangio e sopravvivo. Fuga quando individuo un predatore: non mangio, ma almeno sopravvivo.

Le leggi naturali di quell’era geologica erano necessariamente estremamente semplificate. Tutta l’energia era concentrata sulla sopravvivenza. Non c’era materialmente il tempo per un'analisi razionale delle possibili alternative, e la estensione della corteccia prefrontale non era sufficiente per sviluppare una simile analisi.

Oggi, dopo un milione di anni di evoluzione, i comportamenti ai quali drammaticamente assistiamo sembrano nuovamente precipitati e schiacciati su una fase primordiale. Come allora, sembra collassato lo spazio di mediazione che permette di esplorare soluzioni ai conflitti che non siano la semplice distruzione del nemico. Anche il più flebile tentativo di proporre un ragionamento viene immediatamente sommerso da urla e intimazioni perentorie a schierarsi, ovviamente dalla parte dei giusti che non possono che essere quelli che stanno dalla nostra. Le quotidiane esortazioni, ormai implorazioni, del Pontefice a fermare la carneficina cadono in una sorta di grigia indifferenza, che lentamente sta scivolando verso un inspiegabile fastidio. Salvo provocare irose e indignate reazioni quando le sue parole sembrano deviare da una assoluta neutralità che le releghi alla irrilevanza.

I capi politici e militari di entrambe le parti hanno sicuramente, in quanto esseri umani, spinte emozionali. Ma queste, in individui che per professione sono addestrati a controllarle, hanno da sempre lasciato il sopravvento a calcoli razionali (che non significa corretti). Le pulsioni emozionali, anzi, usiamo qui il termine più appropriato emotive, vengono invece cinicamente alimentate da una collaudata macchina della propaganda che utilizza professionalmente tutti gli strumenti tecnologici e psicologici oggi a disposizione.

Hamas dice che cancellerà Israele dalle carte geografiche. Israele dice che schiaccerà Hamas definitivamente. Anche nei meccanismi semplificati del nostro cervello primordiale, che ancora sopravvive in noi, la reazione emozionale al pericolo lascia spazio ad una elaborazione successiva più razionale. Nella lotta senza quartiere per la sopravvivenza del bene (noi) contro il male (loro) questo spazio non deve esistere. E quindi le immagini della carneficina che accompagnano i nostri pasti servono principalmente a mantenere in uno stato di perenne allarme il sistema limbico che identifica il pericolo e scatena la reazione.

L’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso risponde ad una precisa strategia: le trattative con i Paesi arabi del Golfo (i cosiddetti accordi di Abramo) per stabilizzare la regione stavano procedendo in modo pericolosamente positivo. Per chi ha da sempre come obiettivo la distruzione di Israele, e per i gruppi armati per i quali la guerra è un business e l’unico mestiere che sanno fare, si trattava di una minaccia esistenziale.

Una esplosione nucleare viene innescata da una relativamente piccola carica esplosiva convenzionale che comprime un nucleo di materiale instabile fino al raggiungimento della densità critica che avvia la reazione a catena. E’ esattamente quanto ha ottenuto Hamas con una azione relativamente limitata.

La strategia di Hamas è chiara. Ma quale è la strategia di Israele? La reazione cieca e violenta alla quale assistiamo non è una strategia. Anche gli amici stanno iniziando a prendere le distanze e il loro principale amico e protettore, gli Stati Uniti, ha avviato colloqui con i Paesi del Golfo e senza Israele per tentare di uscire dalla trappola.

Israele, se non troverà la forza di fermarsi, sa che non risolverà la guerra con aerei e carri armati, ma dovrà ingaggiare combattimenti su un terreno che conosce poco, contro miliziani che si sono preparati da quando erano bambini, con molti riservisti che la propaganda di un tempo ci faceva vedere in vacanza sul Mar Rosso, ma con il fucile mitragliatore ben in vista sul telo da spiaggia. Comunque sono donne e uomini che quel mitragliatore lo vorranno usare al meglio... e Hamas lo sa.

Quindi, non è difficile immaginare che in uno scontro casa per casa, o di ciò che è rimasto a Gaza, con l'esercito dello Stato di Israele alla ricerca dei tunnel che moltiplicano i quartier generali dei miliziani, i numeri a due cifre passeranno spietatamente a tre e quattro. Migliaia di morti e di feriti. Un orribile lavacro di sangue. Allora prenderà corpo in tutta la sua fanatica esternazione, il mantra “ci fermeremo solo dopo la distruzione totale di Hamas” martellato ossessivamente in ogni esternazione pubblica dal premier Netanyahu e dai suoi colleghi di governo.

Nel romanzo 1984 di George Orwell, ambientato in un mondo distopico dominato da una dittatura spietata, viene descritto il rito dei “due minuti di odio”. Assembramenti di persone radunati davanti ad uno schermo televisivo che trasmette immagini cruente di guerra e massacri vengono eccitati ad inveire contro il nemico del momento fino a diventare preda di un odio incontrollabile sotto lo sguardo attento di emissari del Partito.

I bambini che stanno vivendo nella realtà quello che per noi è una pallida rappresentazione cresceranno con l’odio per il nemico profondamente marchiato nella memoria del loro sistema limbico. Hamas non sarà distrutta. Israele non sarà distrutto. Il vero vincitore sarà un odio cieco e duraturo fra due popoli.

C’è un filone della fantascienza che racconta di civiltà intergalattiche altamente evolute alla ricerca di pianeti che possano accogliere la loro espansione. La Terra è un luogo ideale per bellezza e condizioni climatiche, ma deve essere liberato da un virus letale prima che lo distrugga mentre si sta distruggendo: l’uomo.




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