"Francesco sepolto accanto al principe Borghese": così ora Vannacci provoca la sinistra...
- Menandro
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di Menandro

Il generale Roberto Vannacci, più che un impenitente peccatore (in fondo, le questioni private possono essere di scarso interesse pubblico, ma tra i militari sono sempre state pruriginose e il caso Monticone e lady golpe, al secolo Donatella Di Rosa, fa testo) non perde occasione per dimostrarsi un impenitente provocatore.
Del resto, è nel suo costume, nel suo stile, nel suo Dna e, lo si deve riconoscere, e certamente lo riconosce anche a sé stesso, molto deve alle sue capacità di sfidare l'opinione pubblica da cui è derivata l'esplosione di popolarità e il successivo seggio di europarlamentare a Strasburgo.
Segno dei tempi da tempo che però in questo caso, collocano impropriamente il 30° comandante della Brigata Folgore in quella compagnia non invidiabile, in politica e non solo, dove per emergere più che lo studio delle sudate carte è importante allenare l'ugola. Esercizio con cui si entra di diritto nell'urlificio che assicura il canonico quarto d'ora di celebrità e, se esce la carta giusta, anche una posizione di rendita per qualche anno o più.
Tuttavia, per con le sue indiscutibili qualità e lauree, anche nell'ultima provocazione il generale dei para non si è discostato da quella politica "culturale" di basso conio e non ha resistito a cogliere la mela caduta non molto distante dall'albero, cioè da uno dei suoi argomenti preferiti: la Decima Mas e il suo comandante, il principe Junio Valerio Borghese, sepolto nella cappella di famiglia nella Basilica di Santa Maria Maggiore, luogo di riposo eterno dell'ultimo pontefice. Di qui la battuta sui social: «E ora chi lo dice alla sinistra? Daranno del fascista anche a Papa Francesco?».
Insomma, l'ennesimo spunto d'ironia per più titoli guadagnati con estrema facilità transitando sulle orme di un personaggio che, sic stantibus rebus, è lecito ipotizzare affascini (oltre misura?) il generale Vannacci, classe 1968, nato a La Spezia (sede all'epoca della X Mas), forse per quell'aura di eroe e guerriero che inevitabilmente manca al nostro, nonostante gli abbondanti nastrini sulla divisa e le sue qualità militari. Si è allora, dinanzi a un non raro esempio di proiezione identificativa?
Non abbiamo le competenze psicoanalitiche per stendere una diagnosi, però il dubbio s'insinua. Del resto, Junio Valerio Borghese è una figura prismatica e dalla personalità multipla e fascinosa, e come tale vissuto dai suoi estimatori e denigratori: eroe nella II guerra mondiale, criminale durante la Repubblica di Salò con la sua legione della X Mas, sfegatato anticomunista, e dunque atlantista fino al midollo spinale, sionista, piduista, golpista nel dopoguerra, di cui si è parlato lateralmente ieri, 1 maggio, con riferimento alla strage di Portella della Ginestra [1].
Dunque, un uomo, un combattente, un camerata che nell'ambiente dell'estrema destra e in alcune corti militari desta ammirazione e rispetto. Ciò cui ambisce legittimamente e comprensibilmente il generale Vannacci, ma da cui teneramente e inavvertitamente più si allontana con il suo macchiettismo. Che si prepari a una nuova carriera, stavolta teatrale o cinematografica?
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