Quel I maggio di sangue a Portella della Ginestra
- Michele Ruggiero
- 1 mag
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1947: il massacro di famiglie contadini compiuto dalla banda di Salvatore Giuliano nei commenti dei partecipanti al corso di storia dell'Unitre di Rivoli.
a cura di Michele Ruggiero

Al termine del corso su "Mafia e Servizi segreti" che si è sviluppato su sei lezioni all'Unitre di Rivoli tra gennaio e marzo scorsi, ho chiesto ai partecipanti di esprimere le loro opinioni sulla Strage di Portella della Ginestra, avvenuta il 1° maggio del 1947. L'azione omicida su vasta scala e organizzata, si può ritenere a ragione il primo atto terroristico compiuta nell'Italia repubblicana, anche se apparentemente circoscritta a un'area ben definita, la Sicilia, percorsa dal fenomeno del banditismo e del separatismo, di cui Salvatore Giuliano era considerato il braccio armato, "colonnello" dell'Evis (Esercito volontario per la liberazione della Sicilia).
Alcune considerazioni (in corsivo) dei partecipanti al corso sono intercalate dal racconto di quanto accadde in quella lontana Festa del lavoro, elaborato attraverso più testi e da più fonti.
Portella della Ginestra, da quel che ho capito, non è stata né la prima, né l'ultima azione della mafia collusa con la parte della politica siciliana e nazionale. Forse è stata la più eclatante e anche la più ambigua con la figura del bandito Giuliano scissa tra l'essere un Robin Hood che taglieggiava i ricchi e uno spietato criminale. Sicuramente, tutti sapevano o avevano capito che la politica italiana, non solo quella siciliana, era invischiata in quella strage. Tutti avevano capito che la Repubblica si portava dietro (aveva ereditato) la mafia non solo con lo sbarco americano in Sicilia nel luglio del 1943.
Era diventata per i contadini del zone circostanti una tradizione celebrare la Festa dei lavoratori in contrada Portella della Ginestra accompagnati dalle famiglie, donne e bambini, che vi arrivavano a piedi, in bicicletta, con i carri o con i caratteristici carretti siciliani. La festa vedeva insieme e uniti i contadini di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in provincia di Palermo, con i dirigenti sindacali e dei partiti della sinistra, questi ultimi reduci dalla vittoria delle forze progressiste, raggruppate nel Blocco del popolo, alle elezioni regionali che si erano svolte nel mese di aprile.
Ma quel giovedì del 1° maggio 1947, da Palermo non era previsto l'arrivo di nessun oratore e sul palco era salito il segretario della sezione del partito socialista di San Giuseppe Tato, il calzolaio Giacomo Schirò.

Frase d'inizio breve, la sua. Ma non per espressa o personale volontà, ma perché interrotta da colpi sparati dalle pendici del monte Pelavet e precisamente da quella parte che è conosciuta con la denominazione di «Pizzuta» per la conformazione del monte: rocce appuntite. Si credette dapprima si trattasse di mortaretti fatti sparare per dare maggiore colore alla festa, ma ben presto si capì che trattavasi di cosa ben diversa. Ma quando la gente si rese conto della loro reale natura, la mancanza di ripari impedì a molti di mettersi in salvo. Del resto, con 800 colpi esplosi, era un'impresa davvero ardua. A essere colpiti furono anche gli animali, mentre attorno al palco cominciava a scorrere il sangue di morti e feriti e a diffondersi un panico incontenibile, che spingeva tutti a seguire tutti alla ricerca di un qualunque riparo, fosse una roccia, una cunetta lungo la strada, una sporgenza. Quanto durò la mattanza? Dieci minuti. Quindici per altri. Quando gli spari cessarono, le voci presero a rincorrersi, per darsi coraggio, per aiutare i feriti e a ritrovarsi, per cominciare a prendere la strada di casa. La scena è raccapricciante: sul prato ci sono undici corpi senza vita, tra cui due bambini, e altre 27 persone sono ferite. E' il dato ufficiale. Ma si calcola che per le ferite riportate, ci furono altri morti e il numero dei feriti varia da 33 a 65.

A Portella della Ginestra vi sono attimi di gioia di vita vera che vengono spazzati via. E' una strage politica [e] Salvatore Giuliano è un capro espiatorio all'interno di manovre più grandi di lui, [un] brigante a sua volta giustiziato dopo aver compiuto l'eccidio.
Le cronache descrivono la determinazione crescente con cui i feriti venivano raccolti e adagiati su carri, carretti, alcuni, i meno gravi, su biciclette e animali, portati in prima battuta a Piana degli Albanesi o a San Giuseppe Jato, per poi seguire la strada in direzione di Palermo. Il bandito Giuliano e la sua banda avevano trasformato quegli attimi di gioia in una carneficina, sparando con mitragliatori e armi da guerra.
La notizia corse veloce. Da Piana degli Albanesi alle autorità di Palermo, da cui partirono carabinieri ed agenti di pubblica sicurezza in numero rilevante al comando del maggiore dell'Arma Angrisani e del comandante della squadra mobile della Questura di Palermo, commissario Guarino.
La strage di Portella della Ginestra ha evidenziato come si sia voluto dare un avvertimento a una classe, quella contadina, di come si ottenevano benefici (posti di lavoro) non attraverso legittime richieste, ma mediante l'asservimento al potere mafioso. Il fatto che non si sia arrivati a trovare un mandante, è indicativo di quanto sia stata coinvolta la mafia, anche soltanto per la violenza dimostrata.
Dalla Commissione parlamentare antimafia: [...] Dopo la strage la corte d'Appello di Palermo rinvia a giudizio il bandito Salvatore Giuliano. In seguito, la Corte di Cassazione stabilisce lo spostamento della celebrazione del processo a Viterbo (1950-1952) per legittima suspicione. I giudici infliggono 12 ergastoli, mentre nel frattempo Salvatore Giuliano viene assassinato a Castelvetrano (Tp) il 5 luglio 1950. Il processo d'appello si svolge a Roma e si conclude nel 1956, confermando alcune condanne, riducendo le pene per alcuni imputati e assolvendone altri. Nel frattempo, il 9 febbraio 1954, nel carcere dell'Ucciardone, a Palermo, viene assassinato con un caffè avvelenato anche il testimone principale, Gaspare Pisciotta, cugino e luogotenente di Giuliano. Il 14 maggio 1960, il ricorso del pubblico ministero, insoddisfatto della sentenza della Corte romana, viene respinto dalla Corte di Cassazione che in tal modo conferma la sentenza del 1956. La Commissione parlamentare antimafia, nel corso della XIII legislatura (1996-2001) ha desecretato una serie di materiali relativi ai fatti della strage di Portella della Ginestra.

La strage di Portella della Ginestra ha segnato un momento di profonda trasformazione in un'Italia che nel 1947 era divisa politicamente e socialmente. [...] Portella della Ginestra è un simbolo delle violenze del passato ed oggi dovremmo ricordarla affinché non si possa ripetere. La mafia era già forte nel '47 ed oggi come allora è un problema e ci sarebbero gli strumenti per combatterla. Ma dobbiamo chiederci: lo Stato lo vuole davvero? Che cosa sta facendo di concreto? [...La mafia] oggi è un'organizzazione sofisticata, globalizzata ed inserita nei centri finanziari e di potere, tuttavia la sua essenza rimane simile: controllo del territorio, uso della violenza, corruzione e malaffare.
Dal dibattito della Commissione parlamentare antimafia (1998): "Perché proprio da Portella della Ginestra? Credo che non sia soltanto una questione legata alla lontananza nel tempo di quei fatti. Ritengo infatti che ci sia anche un altro argomento da considerare. Quegli episodi del lontano 1947 rappresentano un fatto emblematico, terribile e tragico, in quanto accaduti in un momento decisivo per la formazione della Repubblica nel nostro paese. Vorrei ricordare, per inciso, che le stragi sono una costante nella storia italiana, e in particolare le stragi mafiose, che avvengono sempre nei momenti topici della storia del paese. Tutti quanti abbiamo letto «I pugnalatori» di Sciascia che ricordava come nel momento della formazione dello Stato unitario vi fu una terribile strage a Palermo che si risolse giudiziariamente nel nulla in quanto intervennero i poteri forti per eliminare e cancellare tutti gli accertamenti e i riscontri che un giudice venuto da Torino e recatosi a Palermo aveva rinvenuto. Mi auguro che tutti noteranno la differenza con la situazione attuale. Ebbene, Portella della Ginestra interviene, come allora era accaduto al momento del sorgere dello Stato unitario, al momento del sorgere della nostra Repubblica. All’indomani dell’approvazione della Carta costituente vi fu questa terribile strage contro il mondo del lavoro da parte di banditi e mafiosi siciliani, e non soltanto.
Fenomeno complesso la mafia [...] in cui Salvatore Giuliano copre nel dopoguerra un vuoto di potere. E la mafia assicura in qualche modo un sistema d'ordine e di affidabilità. In questo clima Giuliano si propone come riferimento autorevole. Portella della Ginestra è un tentativo di opporsi, ma Giuliano vince.
Dal dibattito della Commissione parlamentare antimafia (1998): [...] Con Portella della Ginestra c’è stato un punto di saldatura feroce, e anche violento, tra poteri criminali e pezzi dello Stato. [...] nel 1947 si segnò un colpo di arretramento nella lotta alla mafia...
La strage ha voluto colpire una certa classe sociale che in quel momento "dava fastidio" e poteva nuocere alla crescita di determinate forze politiche, sociali ed economiche. Ecco perché non si è mai arrivati a trovare i mandanti e a capire le ragioni del ruolo di Salvatore Giuliano.
La contrapposizione tra interessi economico-politici e la volontà popolare di riscattarsi da secoli di ignoranza e povertà aveva determinato un moto di reazione che aveva trovato nelle istanze del Partito comunista italiano il sostegno al cambiamento. Questo cozzava inevitabilmente contro gli interessi delle classi agiate supportate dalla mafia e dalla politica anticomunista degli Usa.

La strage di Ginestra della Portella dà l'impressione di essere una prova generale della repressione che apparati più o meno deviati dello Stato in autonomia o in collusione con servizi nazionali o esteri prevedono per eventuali evoluzioni del consenso popolare verso l'ideale socialcomunista.
Da La strage di Portella della Ginestra di Umberto Santino (2012) in Scheda strage 904
La verità giudiziaria sulla strage si è limitata agli esecutori individuati nei banditi della banda Giuliano. Nell’ottobre del 1951 Giuseppe Montalbano, ex sottosegretario, deputato regionale e dirigente comunista, presentava al procuratore generale di Palermo una denuncia contro i monarchici Gianfranco Alliata, Tommaso Leone Marchesano e Giacomo Cusumano Geloso come mandanti della strage e contro l’ispettore Messana come correo. Il procuratore e la sezione istruttoria del Tribunale di Palermo decidevano l’archiviazione. Successivamente i nomi dei mandanti circoleranno solo sulla stampa e nelle audizioni della Commissione parlamentare antimafia che comincia i suoi lavori nel 1963. Nel novembre del 1969, il figlio dell’appena defunto deputato Antonio Ramirez si presenta nello studio di Giuseppe Montalbano per recapitargli una lettera riservata del padre, datata 9 dicembre 1951. Nella lettera si dice che l’esponente monarchico Leone Marchesano aveva dato mandato a Giuliano di sparare a Portella, ma solo a scopo intimidatorio, che erano costantemente in contratto con Giuliano i monarchici Alliata e Cusumano Geloso, che quanto aveva detto, nel corso degli interrogatori, il bandito Pisciotta su di loro e su Bernardo Mattarella, indicati come mandanti della strage, era vero, che Giuliano aveva avuto l’assicurazione che sarebbe stato amnistiato. Montalbano presenta il documento alla Commissione antimafia nel marzo del 1970, la Commissione raccoglierà altre testimonianze e nel febbraio del 1972 approverà all’unanimità una relazione sui rapporti tra mafia e banditismo, accompagnata da 25 allegati, ma verranno secretati parecchi documenti raccolti durante il suo lavoro. La relazione a proposito della strage scriveva: «Le ragioni per le quali Giuliano ordinò la strage di Portella della Ginestra rimarranno a 4/8 lungo, forse per sempre, avvolte nel mistero. Attribuire la responsabilità diretta o morale a questo o a quel partito, a questa o quella personalità politica non è assolutamente possibile allo stato degli atti e dopo un’indagine lunga e approfondita come quella condotta dalla Commissione. Le personalità monarchiche e democristiane chiamate in causa direttamente dai banditi risultano estranee ai fatti». Il relatore, il senatore Marzio Bernardinetti, addebitava i risultati deludenti alla mancata o scarsa collaborazione delle autorità: «Il lavoro, cui il comitato di indagine sui rapporti fra mafia e banditismo si è sobbarcato in così difficili condizioni, avrebbe approdato a ben altri risultati di certezza e di giudizio se tutte le autorità, che assolsero allora a quelli che ritennero essere i propri compiti, avessero fornito documentate informazioni e giustificazioni del proprio comportamento nonché un responsabile contributo all’approfondimento delle cause che resero così lungo e travagliato il fenomeno del banditismo»
Sicilia povera e analfabeta, utilizzata dalla mafia americana come base per inserimento e controllo nello Stato italiano dopo la Seconda guerra mondiale. [...] Le stragi, tra cui Portella della Ginestra, rappresentano il modo di controllare e intimidire la popolazione, nonché gli apparati dello Stato e impedire un sano sviluppo e progresso.
Da La strage di Portella della Ginestra di Umberto Santino (2012) in Scheda strage 904
Nei primi anni 2000 sono stati pubblicati documenti inediti degli archivi italiani e americani sulla nascita della Repubblica (Tranfaglia 2004), che mostrano come il gioco delle grandi potenze abbia condizionato le scelte delle forze politiche. Un film (Segreti di Stato del regista Paolo Benvenuti, accompagnato da un volume: Baroni-Benvenuti 2003) ha riproposto il tema delle complicità chiamando in causa vari soggetti, dai dirigenti della Democrazia cristiana alla X MAS di Junio Valerio Borghese, ai servizi segreti americani, al Vaticano, in un “gioco delle carte” non sempre convincente. Negli ultimi anni la pista più seguita è stata quella neofascista a livello nazionale e internazionale, mentre altri studi ripropongono una lettura della strage all’interno del conflitto di classe sulla linea già indicata da Li Causi.

Nello specifico: Gli storici Giuseppe Casarrubea e Nicola Tranfaglia, coadiuvati dal ricercatore argentino Mario J. Cereghino, basandosi sull'analisi di documentazione varia emersa in tempi recenti (in particolare documenti desecretati dall'amministrazione Clinton e conservati presso il NARA di Washington e il College Park del Maryland, nonché documenti ritrovati dallo storico Aldo Giannuli in un archivio abbandonato dell'ormai soppresso Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno), formularono l'ipotesi che la banda Giuliano in Sicilia sarebbe stata cooptata dalla Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese (nella foto), inizialmente per conto della Repubblica di Salò per porre in essere azioni di sabotaggio dietro le linee nemiche e, dopo la Liberazione, passò sotto il controllo dei servizi segreti USA preoccupati dell'avanzata social-comunista in Italia: la strage sarebbe quindi frutto di questo connubio in una sorta di "strategia della tensione" ante litteram e la prova risiederebbe nella sensazionale scoperta che a Portella della Ginestra, oltre alla banda Giuliano posizionata sul Pelavet, avrebbero sparato anche degli uomini armati di lanciagranate in dotazione alla Xª MAS appostati sul monte Kumeta, come risulterebbe da diverse testimonianze oculari ignorate dalla sentenza di Viterbo e dalle ferite provocate da schegge metalliche nelle parti basse del corpo delle vittime (piedi, gambe, cosce e glutei).
La mancanza di senso civico e di appartenenza a una comunità ha generato il fenomeno mafioso a partire dalla strage di Portella della Ginestra. L'infiltrazione della mafia nel mondo degli affari e della finanza rende difficile la sua sconfitta.
La strage di Portella della Ginestra fu anche, purtroppo, il risultato di errori compiuti nel Risorgimento per come l'unità è stata realizzata. La guerra contro il Regno delle due Sicilie fu una guerra di aggressione compiuta da avventurieri sotto la regia di potenze straniere, sulla pelle della povera gente che non ottenne né la terra, né la libertà.
La mafia agricola non poteva accettare un ridimensionamento del suo potere, né il pericolo comunista. Nel potere mafioso c'era anche il vecchio partito fascista il che ci porta a considerare con la quasi certezza che Salvatore Giuliano fu l'autore, ma non il mandante.
La commissione d’inchiesta del 1972 ha dedicato decine di pagine al processo di Viterbo e ai comportamenti delle forze di polizia. Si segnalano alcuni importanti elementi:
- il fenomeno del banditismo in Sicilia, e specialmente quello che si riferisce alla banda Giuliano, continuò ad imperversare nella zona occidentale dell'isola fino al 1950 soprattutto per l'aiuto e con la copertura della mafia, la quale si avvalse del banditismo non solo per garantirsi i frutti della sua vita parassitarla, ma impiegò le stesse forze per strappare al potere pubblico le migliori condizioni per la sopravvivenza dei in direzione della città;- in obbedienza a questo chiaro disegno, la mafia abbandona il banditismo allorché si accorge che lo stesso può sicuramente nuocerle, se non altro per eccessiva scopertura; così si mette a disposizione della poli zia per braccare, nei loro nascondigli, i singoli banditi; peraltro questa sua disponibilità per l'eliminazione del banditismo le avrebbe certamente procurato dei vantaggi;
- in questo gioco e nelle pur difficili situazioni di tempo e di ambiente, l'apparato dello Stato, ancora in via di ricostruzione dopo la guerra, ha finito per non assolvere, obiettivamente, ad una funzione autonoma e decisa nella elaborazione di un piano generale diretto a stroncare definitivamente il banditismo;
- contemporaneamente le forze di polizia, eccessivamente prese dallo scopo finale da raggiungere, hanno mancato talora ai propri precipui doveri come quelli di mettere in atto, al momento opportuno, i di versi mandati di cattura nei confronti dei banditi; né si sono rifiutate, purtroppo, di prestarsi nella parte di artefici a creare ed accreditare, subito dopo il fatto, versioni inesistenti sulla morte di Giuliano. La conclusione dunque che va scritta al termine di questa indagine, resa peraltro più ardua dai lunghi anni trascorsi e forse dall'impegno non coerente degli uomini e degli uffici che potevano contribuire a coglierne tutta intera la verità, è che, al di là della pericolosità dei singoli episodi e di corresponsabilità difficili a provarsi, in quella dolorosa esperienza il potere dello Stato finì per non assolvere appieno ai precipui compiti nell'interesse della collettività. La valutazione critica di questi eventi rimane ancora aperta, sia nella direzione di accertamenti di nuove verità, con l'ausilio di nuovi elementi che potrebbero venir fuori in prosieguo di tempo, sia nella ricerca di mezzi attraverso i quali sia possibile giungere alla eliminazione di quei condiziona menti che non hanno consentito allo Stato di dispiegarsi secondo un modello democratico, previsto dalla legge e nel rispetto della legge.

La strage fu solo l'esempio con cui il potere mafioso voleva dare dimostrazione di appoggio alla politica centrale nel dopoguerra e non dare possibilità alle masse contadine di avere parola sui diritti di miglioramento del loro stato di povertà e sottomissione.
La mafia ha compiuto la strage di Portella della Ginestra per fermare la lotta ad ottenere miglioramenti nel lavoro e nelle condizioni di vita dei contadini. Intimidire la popolazione e farla desistere dal portare avanti scioperi e manifestazioni che avrebbero rafforzato la loro unione e avrebbero indebolito i poteri mafiosi.

Penso che Salvatore Giuliano sia stato aiutato dallo Stato con la sua inazione... E altro, a cominciare dai rapporti con gli apparati dello Stato che, come ha dimostrato la trattativa Stato-Mafia, non avranno mai fine.
Ritengo che con la strage effettuata il 1° maggio, festa dei lavoratori, si fosse voluto rompere un cammino per raggiungere la consapevolezza dei propri diritti al lavoro, alla terra, a un giusto compenso e per liberarsi dalla schiavitù dei campieri e dei latifondisti. La strage è sta l'affermazione del perseverare dell'arroganza del potere dei prepotenti.
La mafia è stata senz'altra agevolata dallo Stato. Inizialmente in Sicilia, poi si è diffusa in tutto il Paese. Senza dubbio la politica ha fatto sì per decenni che non si avesse occhi per vedere e testa per capire.
Dal dibattito della Commissione parlamentare antimafia (1998): [...] La mafia da sola non ha mai colpito: non ha colpito a Portella della Ginestra né a Capaci, né nelle altre ipotesi delittuose su cui stanno indagando alcune procure della Repubblica, non soltanto siciliane.
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