La nuova quistione meridionale: "Restanza, ma a che prezzo?"
- Gaetano Errigo
- 1 mag
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Aggiornamento: 3 mag
di Gaetano Errigo

La classe intellettuale meridione è in cerca di una soluzione alle ataviche problematiche del Mezzogiorno nella speranza di farlo risorgere. Nel dibattito emerso negli ultimi anni, molta attenzione suscita il concetto di "restanza", inteso come un modo per far rimanere o far tornare i giovani professionisti nella terra natìa come luogo naturale per la realizzare la propria esistenza. Quindi si punta il dito contro le situazioni che impediscono la "restanza", individuandole nella mancanza di strutture dovuta a una classe dirigente miope e, spesso, a una sorta di complotto dei poteri economici settentrionali messo in atto per tenere in schiavitù la popolazione del sud.
Al di là di quanto possano essere fondate e condivisibili le diverse teorie che si esprimono sull'argomento, c'è da lamentare che la discussione in atto appare monca perché non approfondisce diversi aspetti che stanno alla base del mancato sviluppo delle terre del Mezzogiorno.
Innanzitutto i giovani professionisti sono, nel contesto della popolazione, una minoranza che opera all'interno di consolidati usi e consumi che hanno determinato la situazione attuale. Quindi una minoranza che dovrà adattarsi ai metodi di lavoro vigenti nel settore delle maestranze e del terziario e che dominano la vita quotidiana anche negli studi professionali, ovvero orari di lavoro di gran lunga oltre il limite per paghe ridotte ben oltre il minimo sindacale, assenza di strumentazione utile, e una contrattualizzazione inesistente o fittizia. Insomma, dovrebbero svolgere la loro professionalità secondo l'arte dell'arrangiarsi perché è meglio di niente e a casa ci si aiuta...
Una situazione che è ben conosciuta al Governo nazionale, se pensiamo quando, durante l'emergenza covid, il ministro Giuseppe Provenzano, parlando delle misure varate dal Consiglio dei Ministri per il sostegno a favore delle aziende e del personale dipendente che soffrivano per la chiusura delle attività, raccomandò di pensare anche ai lavoratori del sud che, quasi sempre, espletano le loro attività a nero. Una dichiarazione seria a cui, ahinoi, non seguì il commento di alcun partito politico, come se la situazione dovesse essere accettata come normale.
E allora quale restanza? A quale prezzo? Per mortificare la propria professionalità? Per vivere esclusivamente di lavoro, rinunciando ad ogni bisogno spirituale, trasformando la propria vita in un meretricio atto solo al guadagno di elemosine che spesso non coprono le spese per la sopravvivenza?
Sicuramente la povertà ha determinato l'attuale condizione del Mezzogiorno, e una classe politica subalterna a quella di una classe imprenditoriale inetta è stato il colpo di grazia. Ma la vera missione dell'intellettuale, oggi, deve dirigersi verso una rivoluzione culturale, a indurre la società tutta ad una crescita intellettuale che generi un cambio di mentalità.
Perché il Sud può rinascere solo dal lavoro, ma dal lavoro inteso come crescita umana e personale e non come condizione di schiavitù, simile a quella attuale.













































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