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Il ritorno allo sconfinamento politico di Cgil Cisl e Uil

di Giancarlo Rapetti


Il Primo Maggio, quest’anno, è stato una specie di parentesi tra l’emozione per la morte e i funerali di Papa Francesco e l’attesa per il Conclave che eleggerà il suo successore. A proposito del quale, qualche vaticanista, nel frattempo, ha fatto acutamente osservare che un Collegio di pari, attraverso regole chiare, stabili e predefinite, sceglie uno dei suoi componenti per attribuirgli, a vita, un potere quasi assoluto. Una formula originale che mette insieme il massimo della democrazia con il massimo dell’autoritarismo. Ma ritorniamo alla Festa del lavoro. A parte le usuali intemperanze del Concertone di piazza San Giovanni a Roma (secondo molti, minori del solito), il maggiore interesse è andato agli interventi dei segretari generali delle tre Confederazioni sindacali più rappresentative.

Daniela Fumarola, segretaria CISL, ha parlato a Casteldaccia, in provincia di Palermo, luogo dell’incidente sul lavoro in cui sono morti cinque operai.[1] Ha dedicato ampia attenzione al problema, ma non ha esitato ad allargare il suo intervento all’intero spettro delle questioni economiche e sociali. Nei confronti del Governo ha manifestato un atteggiamento dialogante, dando credito alla controparte dello stesso atteggiamento. Ma la cosa più interessante è che ha presentato un vero programma di governo, elencando praticamente tutti gli argomenti. Anzi, ha presentato un programma di più governi, si potrebbe dire, tanto è stato ampio il ventaglio delle materie ma anche delle soluzioni proposte.

Meno pluralista, ma sullo stesso registro, l’intervento di Maurizio Landini, segretario CGIL, a Roma. Il suo è sembrato il programma di un solo governo, il Conte-ter, “fortissimo punto di riferimento” per alcuni, incubo per altri. Questa tendenza del Sindacato confederale ad uscire dal terreno della tutela contrattuale del lavoro dipendente per assumere una almeno intenzionale funzione di governo non è nuova. Già negli anni ’70 del secolo scorso, figure carismatiche come Luciano Lama, Pierre Carniti, Bruno Trentin, Giorgio Benvenuto, tendevano a portare il sindacato sul terreno della politica, non come supporto ai partiti, ma come iniziativa in proprio, con esiti non sempre soddisfacenti.

Sembrava che negli anni successivi al Duemila questa stagione fosse superata. Ora sta ritornando di attualità, a causa della incapacità della politica di affrontare i temi concreti, chiusa nel sempre più ristretto mondo della politique politicienne, fatta in sostanza di schieramenti e giochi elettorali. Il disinteresse per il merito delle questioni è arrivato all’apice con questo Governo, tutto posti e propaganda, cose nelle quali, per inciso, riesce benissimo.

In apparenza, Pierpaolo Bombardieri, segretario UIL, parlando a Montemurlo, in provincia di Prato, altro luogo simbolo di morte sul lavoro[2], ha rispettato i limiti del proprio campo: il suo intervento si è riferito interamente alla questione degli infortuni sul lavoro. Eppure, nel tentativo di proporre soluzioni, ha sconfinato addirittura nel campo del diritto penale, proponendo l’istituzione del reato di omicidio sul luogo di lavoro. Anche la tendenza a tipizzare le fattispecie di reato non è nuova, e va sempre più diffondendosi. Risponde esclusivamente al bisogno della classe politica, la cui qualità va inesorabilmente declinando, di far vedere che fa, senza fare. Il Decreto Legge cosiddetto “Sicurezza”, di cui si è paventato l’effetto liberticida, notizia “fortemente esagerata”, è il tipico esempio.

Ci sono fatti di cronaca che colpiscono il pubblico, perché si tratta di episodi di cui chiunque può essere vittima, e quindi chiunque si sente minacciato. Rispondere ai problemi non è semplice, richiede impegno, lavoro e tempo. A volte richiede solo l’applicazione delle norme esistenti, cosa che la debole struttura organizzativa dei nostri apparati pubblici non sempre riesce a fare. Come si risponde? Facendo diventare il fatto di cronaca uno specifico reato, per dimostrare un immaginario pugno di ferro nei confronti dei fatti che turbano e spaventano la popolazione. Nella realtà non cambierà nulla, ma nell’immaginario collettivo cambia tantissimo. Si potrebbe parafrasare: lo statista è quello che riesce a prevenire il prossimo reato, il politico è quello che illude gli elettori che lo farà. 

D’altra parte tutti i governi sono alle prese con una tenaglia che li stritola. Se la repressione dei reati diventa più efficace, aumenta il numero dei condannati e dei detenuti. Questo impatta sulle strutture carcerarie, altro punto debole del sistema, che hanno il problema opposto: essendo sovraccaricate, sono alla ricerca spasmodica di soluzioni di alleggerimento. Non mancano trovate ingegnose. Una nota tecnica propagandistica è quella di aumentare le pene edittali. Da quando esiste il diritto penale, l’aumento delle pene è sempre stato un segnale di impotenza delle istituzioni: non si riesce ad individuare e punire i colpevoli e allora si fa la voce grossa. Alessandro Manzoni, nei Promessi Sposi, spiega bene la dinamica delle grida nel dominio spagnolo di Milano: la durezza della minaccia legale è inversamente proporzionale alla capacità di attuarla.

Si aprono insperati sentieri anche per le tecniche difensive degli avvocati: quando le rubriche di reato sono diverse per fatti simili, già la qualificazione del reato diventa incerta e materia di complicazione del processo. Nell’aumento della pena edittale c’è una furbata che consente di salvare la capra della faccia feroce con i cavoli del sovraccarico carcerario. Nicola Gratteri, attualmente Procuratore di Napoli, ha spiegato la semplicità del meccanismo. Vengono aumentati i massimi edittali, non i minimi. In questo modo la pena effettivamente inflitta può restare sotto il limite da cui la pena detentiva diventa da scontare.

Che anche il Sindacato, pur al nobile scopo di tutelare le persone di cui ha la rappresentanza, assecondi la deriva alla moltiplicazione dei reati, è scoraggiante. Anche perché va ad impattare su di una questione che merita attenzione, rispetto e soluzioni reali: la tutela del bene pubblico della sicurezza complessivamente intesa, la civiltà dell’ordinamento penale, l’efficacia della repressione, la funzione della pena, la tutela delle vittime, le modalità di funzionamento della Giustizia. Tutte cose che richiedono realismo, delicatezza, equilibrio, competenza, e rifuggono da improvvisazioni e propaganda.


Note

[1] Lunedì, 6 maggio, cinque operai di una ditta in subappalto dalla AMAP (municipalizzata di Palermo) a Casteldaccia, un comune della Città metropolitana di Palermo. Perdono la vita per l'ingresso in un impianto fognario Questi i nomi delle cinque vittime della strage: Epifanio Alsazia, 71 anni, Giuseppe Miraglia 47 anni, Roberto Raneri, di 51 anni, Ignazio Giordano, di 57 anni e Giuseppe La Barbera.

[2] Il 3 maggio del 2021, Luana D'Orazio, operaia ventiduenne con un figlio di 5 anni finisce orribilmente stritolata in un orditoio (manomesso) della fabbrica in cui lavorava a Montemurlo, in provincia di Prato. A Luana è dedicata un murales all'esterno del centro sociale ex Snia nel quartiere il Pigneto a Roma, realizzato dallo street artist napoletano Jorit.


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