SETTIMANA FINANZIARIA. Unicredit insiste nelle scalate
- a cura di Stefano E. Rossi
- 2 mag
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a cura di Stefano E. Rossi

Andrea Orcel, il banchiere a capo del gruppo Unicredit, prende tempo e rinvia di una settimana, al 12 maggio, la riunione del CdA sui dati della trimestrale. Sul tavolo non ci sarà solo l’ambizione di replicare, nel 2025, i buoni margini reddituali registrati lo scorso anno, ma anche un po’ di condivisione sulle diverse scalate che, in contemporanea, sono state avviate dal colosso milanese nell’ultimo semestre. Riepilogando, i fronti aperti adesso sono tre. Il boccone più succulento è Commerzbank, per il quale si è espressa favorevolmente lo scorso marzo anche la BCE, ma che prevede tempi di lunghissimo termine per l’ipotetica integrazione. Il secondo fronte è quello di Banco Bpm. Questo però, tra le possibilità di rilancio del concambio per azione, le resistenze finanziarie (ma anche politiche) e le possibili opzioni per il ritiro dell’offerta, giorno dopo giorno si sta rivelando un fortino sempre più inespugnabile.
I "fronti" aperti da Orcel
La terza partita di Unicredit si gioca su Generali, anche se, al momento, non è ipotizzabile un’acquisizione. Era iniziata con il superamento di quota 5% del capitale sociale, ottenuta il 10 febbraio. Questa settimana, a carte finalmente scoperte, si è giunti al formale sostegno della cordata Caltagirone-Del Vecchio (cioè Delfin), saldatasi per esautorare la francese Natixis Investment Managers da quella partnership che, avendo preso le mosse sin dallo scorso mese di novembre, pareva ormai giunta alle fasi conclusive. Tre vicende molto impegnative e dispendiose, sul cui esito fortemente incerto Orcel ha messo in gioco la sua credibilità, oltre al futuro e la stabilità del secondo gruppo bancario nazionale.
Sullo sfondo, rimane immutato l’intreccio di mosse e contromosse che stanno caratterizzando il nostro sistema del credito come quello più vivace del continente. Continuiamo a vedere Banco Bpm aggredire Mps, la stessa Banca Mps all’attacco di Mediobanca e quest’ultima tentare l’incorporazione di Banca Generali (artefice di un ottimo +9,06%, questa settimana). Oltre al non meno trascurabile interessamento di Biper Banca per Popolare di Sondrio. È una specie di: ho visto lei che bacia lui, che bacia lei, che bacia me, come si sentiva risuonare in una canzone. Vedremo se, alla fine, anche gli azionisti si potranno dire baciati dalla medesima fortuna.
Dalla "trincea" della guerra commerciale sui dazi.
Nonostante l’apparente stemperamento delle tensioni internazionali, gli inasprimenti fiscali sulle importazioni Usa hanno iniziato a produrre i primi effetti durevoli, con ripercussioni quanto meno di medio periodo. Alcune conseguenze sono volute, come i contraccolpi sull’export della Cina. Rispetto a inizio anno, le rotte che vanno dai porti cinesi a quelli statunitensi registrano una riduzione del traffico di circa il 40 per cento, secondo i dati raccolti dall’agenzia di stampa internazionale Bloomberg. In America, riesce a tenere il passo anche la domanda interna di beni di consumo, sebbene alcune indagini rivelino un diffuso pessimismo sull’imminente futuro.
Ma ci sono anche diversi effetti indesiderati, come ad esempio i primi segnali di stagflazione. Questo è un termine che sta ad indicare la combinazione tra stagnazione economica e crescita dell’inflazione. La cura da adottare non è affatto semplice, specialmente se si pensa che debba essere affrontata con le sole armi della politica monetaria, che sono di pertinenza esclusiva della Banca Centrale. Infatti, indipendentemente dal segno della variazione del tasso ufficiale o di altri strumenti a disposizione, una possibile manovra della FED inciderebbe sul miglioramento di una sola delle due componenti e porterebbe, inevitabilmente, a deprimere l’altra.
Altra cattiva notizia: il Pil americano è sceso sotto zero per la prima volta da tre anni. Nel primo trimestre del 2025 ha fatto registrare un calo dello -0,3% (annualizzato). Inoltre, cala la fiducia dei consumatori, ma, soprattutto, crollano a 54,4 le aspettative di crescita. È un dato molto significativo, se si considera che, per questo indicatore, quota 80 è considerata l’argine statistico delle avvisaglie di recessione.
Ma non finisce qui. La peggiore e più indesiderata notizia del primo trimestre risiede nell’impennata delle importazioni (+41,3%). È una dinamica guidata dall’accaparramento sproporzionato delle scorte di beni stranieri, avvenuta nella fase precedente all’entrata in vigore dei dazi.
Quindi, che fare? Jerome Powell, il Capo della FED, non sembra alla ricerca spasmodica di un recupero delle simpatie del Presidente Trump. Non si sente in debito di riconoscenza, non ha favori da restituire e potrebbe proseguire nella linea dell’intransigenza della politica monetaria. Ma deve fare i conti con un Comitato Federale della banca che si sta sfilacciando. Allora, per evitare eccessive spaccature interne, nelle dichiarazioni ufficiali sta facendo prevalere il bizantinismo: l’incremento dei prezzi generato dai dazi sarà temporaneo, ma le conseguenze potranno essere durature. Perciò, gli analisti si aspettano che, con la sua solita lucidità ed autonomia, alla riunione della prossima settimana il Presidente della Banca Centrale americana lascerà di nuovo i tassi invariati.
Dollaro stabile, oro vicino ai massimi
In Europa, l’aggiornamento dei dati macroeconomici dei primi tre mesi dell’anno è un po’ più confortante. Il Pil trimestrale cresce oltre il previsto (+1,2% su base annua; Italia +0,6%), la produzione industriale di marzo sale dello +0,7% (in Italia +0,5%) e l’inflazione si prevede che rimanga allineata a quella programmata, pari al 2,2% (stime, il report è in corso di pubblicazione). In Italia si è ufficialmente attestata al 2,0%.
Dollaro stabile intorno a 1,133. Oro fermo vicino a i massimi, stasera a 3.230 dollari l’oncia (92 euro il grammo). Petrolio WTI sempre più giù, per la felicità degli automobilisti. Ormai è ben sotto i 60 dollari al barile. Subisce gli effetti di una maggiore produzione, pari a 411 mila barili al giorno più, dal primo maggio. Inoltre, i rapporti tra i Paesi produttori risultano sempre più traballanti. Alcuni di essi, in testa il Kazakistan, stanno premendo per tornare ai vecchi livelli di estrazione, annullando i tagli volontari che erano stati concordati. Significherebbe un flusso aggiuntivo di +2,2 milioni di barili al giorno.
Piazza Affari, come del resto la maggior parte delle borse mondiali, ha continuato ad approfittare della tregua nella guerra dei dazi per recuperare tutto il terreno perso nei primi giorni di aprile. L’intonazione delle borse ora è buona, ma preoccupa la volatilità dei mercati. Uno degli indici che la rileva è il S&P 500 VIX, lontano dai picchi di aprile, ma che si mantiene ancora sostenuto per il diffuso clima di incertezza e diffidenza.
Tra le azioni nostrane spicca ancora una volta Leonardo, che ha comunicato risultati del primo trimestre 2025 molto superiori alle attese. A brillare è la controllata statunitense DRS, con ricavi saliti del +16%, redditività a +17% e un buon portafoglio ordini.
Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli del listino FTSE MIB
I Tori: Leonardo +7,91%, Campari +7,57%,
Gli Orsi: Eni -0,80%, Tenaris -0,27%
FTSE MIB: +2,62% (valore indice: 38.327)
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