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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. "Si fermi il prima possibile questa conversione alla guerra"

di Beppe Reburdo


"Se vogliamo la pace prepariamo la guerra". Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo” lo ha chiaramente espresso, affiancandosi a Josep Borrell, Alto rappresentante della politica estera europea, che delinea il percorso per armare “sino ai denti “ l’Ucraina con una riconversione europea verso una forte industria di guerra. L’obiettivo quindi è chiaro: fare sì che l’Ucraina ottenga quello di cui ha bisogno sul campo di battaglia sino alla fornitura di armi letali e di ampio raggio operativo per chiudere la partita con il Cremlino e permettere agli eserciti europei di marciare da sud e da nord su Mosca.

Nel breve, comunque, è urgente per la UE dotare i soldati di Zelensky di proiettili e di missili, come di sistemi aerei per controllare i cieli e bloccare l'avanzata russa. In piena coerenza politica alle richieste di Kiev, il recente Consiglio europeo ha assunto propositi che vanno in questo senso, impostando una economia di guerra con l'impegno di aumentare la percentuale di PIL per gli armamenti, vincolando i singoli Paesi a raggiungere almeno il due per cento di stanziamento e a coordinare l’industria bellica del sistema europeo. Il tutto, con il sostegno finanziario della BEI- Banca europea degli investimenti- che emetterà bond specifici e a ciò finalizzati.

In concreto, va sottolineato che dall’inizio della guerra l’industria bellica europea della difesa ha aumentato del 50% le capacità produttiva ed entro la fine del prossimo anno la raddoppierà. Nel contempo di questi sviluppi e della aleggiante proposta di inviare truppe europee a combattere in terra Ucraina, il drammatico attentato alla sala concerti, Crocus City Half di Mosca con 133 morti e 152 feriti come ha riportato la Tass, apre prospettive inquietanti e per alcuni versi incontrollabili.

Il presidente Vladimir Putin, che di fatto esce rafforzato dalle pur discutibili recenti elezioni, tenterà in qualunque modo di reagire all’attentato e a rompere la morsa accerchiante cui la NATO lo sta sottoponendo. Inevitabile reazione, comprese le accuse lanciate all'Ucraina di complicità con i terroristi, che non dovrebbe stupire perché ci espone a credere nella nostra controreazione come la soluzione migliore, se non l'unica, per risolvere le controversie internazionali.

Ma si tratta di una spirale demoniaca, già sperimentata nel passato, ma che in questo specifico contesto fa leva anche su un paradosso sempre più visibile: da una parte c'è il popolo russo che sia pure in modi autoritari, almeno in apparenza, rafforza la propria identità con l'esigenza primaria di sopravvivere alla prepotenza dell'Occidente e con i continui richiami alla "guerra patriottica" del 1941 contro i nazisti (la paura del terrorismo - i cui metodi sono stati etichettati non a caso da Putin come violenza nazista - si prefigura come un'arma di "convincimento" radicale); dall'altra, le popolazioni europee si ritrovano in netta maggioranza a dissentire dall’allargamento del conflitto e ritengono le spese militari alternative alla pressante richiesta di difendere la sanità pubblica e il welfare. Ancor più in periodo di elezioni europee, i governi dei singoli stati sono quindi chiamati, anche elettoralmente a fare i conti con elettori che potrebbero esprimere dissensi crescenti.

Morale. Per i governi votati alla guerra - come nell'anno che precedette la Grande Guerra - sia pure presentata come "necessaria" per difendere l’Europa "dal dirompente mostro russo rappresentato da Putin", non c'è che una strada percorribile, quella già citata all'inizio: individuare e realizzare una vera e propria politica di "riconversione mentale e psicologica" delle popolazioni. Nella sostanza, già in atto. E non c'è alcun dubbio che si tratta di una sistematica manipolazione del pensiero attraverso l’uso sempre più spregiudicato e democraticamente incontrollabile del sistema informativo pubblico e privato, che ha le sue linee guida in una assillante campagna che tende ad affermare la compatibilità dell’aumento dei finanziamenti militari con il mantenimento delle promesse elettorali.

Una violenza nella violenza, perché nessuna altra opzione di natura diplomatica viene contemplata. Cecità, sordità, ciechi che prendono per mano sordi, si è oramai a corto di parole e di locuzioni, quando si sceglie pervicacemente la filosofia della morte e la cultura della distruzione. Scegliere le armi e la guerra per risolvere gravi tensioni internazionali, come di fatto drammaticamente è la questione ucraina, al pari del conflitto nella Striscia di Gaza, scartando a priori anche la minima possibilità di trattative complesse, ma fattibili, porta ad un sommovimento non solo militare ed economico, quanto alla decimazione della popolazione inerme e allo sconquasso dei territori e delle relative civiltà.

Forse, però, in questa Domenica delle Palme e della commemorazione dell'80° anniversario dell'eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma, il punto di caduta più grave è quello di mettere in discussione le radici della costituzione fondata sul rifiuto dell’uso guerra e su un tessuto sociale e etico di rispetto delle diversità non solo razziali, ma ancor più di considerare le persone e le relative aree territoriali di appartenenza centrali e intangibili, quindi da garantire con tutti i mezzi di dialogo e confronto non violento. La guerra è esattamente il contrario di tutto ciò. Siamo nella condizione di accettare e ricercare senza sosta quanto Papa Francesco chiede quasi disperatamente: la guerra è in tutti i sensi inaccettabile e la trattativa e il confronto pacifico sono l’unica via per salvare le persone e il Creato. Più passa il tempo e più ci si "converte alla guerra", più il pericolo di un distruttivo scontro mondiale diventa possibile. A questo punto, soltanto una nuova etica e solidarietà umana ci potrà salvare.

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