25 luglio 1943: il transitorio crollo del fascismo
Aggiornamento: 25 lug 2023
di Vice
"La seduta durò dieci ore. Alle 2,30 del 25 luglio, la maggioranza dei gerarchi votò un ordine del giorno presentato da Dino Grandi che esprimeva sfiducia nei confronti del duce. Era la prima volta che ciò accadeva. E fu anche l'ultima. Alle 17,30 dello stesso giorno, all'uscita dall'udienza con il re, Mussolini venne arrestato dai carabinieri. Fu la fine del regime fascista".[1]
Emilio Gentile, storico del fascismo, affida nel prologo del suo libro la sintesi della caduta della dittatura. Ottant'anni fa, fu il principio della fine, ma soltanto apparente per il regime che aveva governato con mano liberticida ininterrottamente per ventun anni, portando il Paese per ben tre volte in guerra (Etiopia, Spagna e II guerra mondiale) con esiti catastrofici per gli italiani. Meno di due mesi dopo, l'Italia monarchica, che dietro le quinte aveva ricoperto un ruolo antecedente all'ordine del giorno Grandi, crollò anch'essa, ma sotto il peso dell'infamia dell'8 settembre che consegnò quasi tre quarti della penisola all'invasore nazista, avallato dal governo fantoccio e collaborazionista di Salò rimesso in piedi da Benito Mussolini, liberato dalla sua prigione del Gran Sasso dal famigerato nazista Otto Skorzeny.
Il 25 luglio fu anche l'inizio della Ricostruzione e della Resistenza. Ricostruzione politica con l'uscita dal tunnel della clandestinità dei partiti del periodo liberale e Resistenza morale, fisica, corale e d'armi che dall'8 settembre 1943 si estese per 20 mesi, segnando il riscatto di un popolo con la guerra di Liberazione, seguita dalla nascita della Repubblica italiana con il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e dall'introduzione dal 1° gennaio del 1948 di una nuova Costituzione che cancellava lo Statuto Albertino ripetutamente violato dalla Monarchia Sabauda.
Guardato retrospettivamente, però, il 25 luglio 1943 è diventato anche il primo pezzo simbolico di un processo democratico che è rimasto incompiuto per l'incapacità di spezzare concretamente i legami con il regime fascista e con le sue sovrastrutture statuali. Quelle stesse sovrastrutture per le quali la Rsi, la Repubblica sociale italiana di Mussolini rivendicò una continuità giuridica con lo Stato precedente [2] e che, in un quadro di sovranità limitata determinata nell'immediato dopoguerra dalla radicalizzazione dello scontro tra Est ed Ovest, tra comunismo sovietico e Occidente, e dalla presenza in Europa di solidi e organizzati partiti comunisti, in primis quello italiano, furono utilizzate in chiave antidemocratica e illiberale con l'obiettivo fobico di frenare l'avanzata dei partiti di sinistra e del movimento operaio.
Un metodo aggressivo e violento che ha provocato enormi guasti al sistema e, non secondario, l'assuefazione mefitica al fine che giustifica sempre i mezzi e non il contrario, con l'esito devastante di pregiudicare la stessa crescita morale ed etica del Paese, anche al netto dei progressi compiuti dall'Italia nella sfera occidentale. Sostenere che vi siano state due Italia - una democratica e l'altra occultamente reazionaria - non è un'affermazione spuria, ma è lo specchio del passato confortato dai numerosi scheletri nell'armadio (alcuni rinvenuti), dalle carte giudiziarie, dalle indagini storiche e giornalistiche, e dagli eventi, come li hanno subiti gli italiani.
Tutto ciò è avvenuto in nome di una imbarazzante fedeltà processata come lealtà ad accordi internazionali che nella sostanza hanno posto l'Italia condizionata da interessi geopolitici e economici sovranazionali. Una cambiale mai scontata all'incasso, la cui variazione del prezzo (oneroso) è sempre stata imposta dalle contingenze fino a perdere anche la cognizione delle cause, il controllo degli effetti e, soprattutto, il limite della tolleranza ad essi in un nebbioso e indistinto gioco perverso in cui causa ed effetto finiscono per confondersi. Una cambiale che per il Paese ha significato mortificazioni internazionali, leader politici e di grandi imprese pubbliche assassinati, stragi, terrorismo, tentativi di colpi di stato, strapoteri mafiosi, corruzione, uccisioni su scala industriale di servitori dello Stato, in cui centrali operative militari straniere, servizi segreti nazionali e non, logge massoniche occulte, organizzazioni eversive e criminali si sono resi protagonisti e sodali in una continua opera di destabilizzazione della convivenza civile.
E soprattutto, ha significato e continua a significare una preoccupante e pericolosa incapacità critica di trarre conclusioni, anche minime, cioè di tradurre quegli eventi sul piano di politica interna e di quella internazionale come se essi fossero asettici, statici, estranei alle distorsioni che si producono nel mondo, ultima la guerra in Ucraina. Una guerra condotta dall'Occidente per procura, ma che ha contribuito letteralmente a violentare lo spirito di mediazione e di costruzione della pace che la Repubblica italiana, pur con molte ombre, ha incarnato dalla sua nascita.
La memoria del 25 luglio 1943 esige dunque ricostruzioni né apologetiche, né apodittiche, ma la collocazione degli attori nella loro corretta prospettiva storica, con l'avvertenza che la mancata discontinuità del fascismo è stata una variabile manipolata nel passato e continua ad esserlo oggi nei suoi tratti conformisti e regressivi.
Note
[1] Emilio Gentile, 25 luglio 1943, Laterza, 2018, pag. VII
[2] Francesco Germinaro, L'altra memoria, Bollati Boringhieri, 1999, pag. 56
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