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Individuare il terreno su cui contrastare le destre

Aggiornamento: 4 set 2022


di Dunia Astrologo


L’intervento di Corrado Augias dal titolo Il fascismo eterno come stato d’animo apparso su la Repubblica il 29 agosto scorso (https://www.repubblica.it/commenti/2022/08/29/news/fascismo_meloni_europa-363284892/), che riprende a sua volta un articolo del professor Federico Varese pubblicato tre giorni prima sullo stesso quotidiano, ha riportato a galla un vulnus mai cicatrizzato dell’Italia e degli italiani: gli effetti di vent’anni di dittatura e l’assenza di una reale discontinuità dal fascismo nelle strutture statuali nel passaggio dal totalitarismo alla democrazia. Non a caso, in questi giorni che precedono il voto del 25 settembre,



"Il fascsimo eterno", secondo Eco


Augias si chiede fino a che punto abbia colto nel segno la sinistra impostando la prima parte della campagna elettorale su un possibile pericolo ‘fascista’. Ché, come dice l’autore, rifacendosi a quanto sosteneva Umberto Eco parlando di “fascismo eterno”, se il fascismo italiano è sostanzialmente uno “stato d’animo”, e non una vera e propria ideologia, o se è solamente l’appellativo di uno specifico e superato regime, come si fa a puntare il dito contro uno stato d’animo, un modo di essere radicato in una parte della nazione, nella sua cultura profonda, nella sua costituzione materiale? E se descriviamo come fascisti Meloni e Salvini, nonché Berlusconi con la sua corte, è perché troviamo in loro, a piene mani, tratti comuni di quella sottocultura del popolo italiano che Gramsci descriveva come quell’«apoliticismo del popolo italiano che viene espresso con le frasi di “ribellismo”, di “sovversivismo”, di “antistatalismo” primitivo ed elementare»che è stato il brodo di coltura del fascismo.


Le riflessioni di Antonio Gramsci


Questo atteggiamento ha radici profonde nella storia italiana e sempre Gramsci lo descrive come un tratto che origina nel feudalesimo, dal sentimento di odio generico verso il “signore”, e non ha nulla a che fare con una possibile coscienza di classe: individuale e nebuloso com’è, resta appannaggio di una “psicologia barbarica” e antisociale. E come quella non produceva di per sé una definita ideologia ma solo un sentimento diffuso di fastidio, revanche, rifiuto di tutto ciò che si riteneva legato a una élite sociale, politica, culturale, anche questo attuale modo di porsi nei confronti della politica, della cultura, dei valori emersi nel dopoguerra e dominanti per un cinquantennio si accompagna a tratti confusi della società, difficili da inquadrare. Sono i tratti di una sottocultura profondamente a-politica, che nessuno più si è sognato di correggere, di orientare, di alimentare con il buon pane di una cultura solida e coerente, intrisa di quei valori che sono stati egemoni per un periodo in fondo piuttosto breve. Anzi.


Ora come un secolo fa sono emerse componenti ben definite delle classi dominanti che di questa psicologia barbarica fanno il proprio cavallo di battaglia. Proprio quei tre signori, scimmiottando - vuoi per consumata capacità di dissimulare, vuoi per aderenza psicologica e sociale - i modi, i sentimenti, le pulsioni di questa parte dei ceti popolari, li manipolano e li attirano verso un consenso “di pancia”, presentandosi come “uguali al popolo”, o quanto meno invidiabili e desiderabili dal popolo, di cui vengono blanditi i sentimenti peggiori (invidia sociale, irrisione della cultura, disprezzo per le istituzioni) e assecondata la volgarità, la superficialità e così via. Oggi quel consenso potrebbe effettivamente trasformarsi in plebiscito, se non fossimo convinti che prevarrà -almeno quantitativamente- la a(patia)-politica, con un tasso di assenteismo da far paura.


Riforme strombazzate, mai attuate


È quindi effettivamente inutile cercare di aprire gli occhi agli elettori settembrini agitando lo spauracchio del fascismo, di cui la maggior parte degli italiani di oggi non sa probabilmente identificare o ricordare i tratti. Quello che andrebbe fatto piuttosto, se il tempo lo consentirà, è di individuare nel progetto politico delle destre galoppanti tutti gli elementi non “popolari”, anzi nemici delle condizioni di vita materiali delle classi popolari e delle loro aspirazioni di riscatto sociale di oggi e di domani. Bisognerebbe mettere in evidenza quanto costerà ai giovani, alle donne, agli anziani la realizzazione delle propagandate “riforme” della destra. Bisognerebbe ricordare a tutti le vere -a suo tempo dichiarate o rese evidenti in differenti esperienze di governo – idee di fondo sulla sanità pubblica, sui diritti dei lavoratori, sulla possibilità di accedere all’istruzione e al mondo del lavoro, sulla libertà di competere nell’industria e sul ruolo che dovrebbe avere il nostro Paese nel contesto internazionale (con quali alleati, con quale idea di Europa) e così via.


E anche il richiamo ai valori della Costituzione vale solo per chi è consapevole di quali essi siano, di quale formidabile strumento di difesa dell’ordine democratico sia la Carta. Tutti coloro che lo sanno, dovrebbero mobilitarsi non tanto per farsene scudo contro i tre soci della destra, quanto per renderlo usabile nel Parlamento che uscirà dalle prossime elezioni. Il che significa mobilitarsi per non far emergere il partito più intrinsecamente vicino a posizioni primitivamente populiste, facendo sì che non possa vincere a man bassa la gara elettorale, riempiendo viceversa il Parlamento prossimo con “difensori della Costituzione”. La ricostruzione di una coscienza sociale e di una cultura moderna, democratica e progressista e la sua diffusione popolare è il compito che li (ci) aspetta fin da subito.






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