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AAA. vendesi case popolari: l'assurda politica tutta italiana

di Pasquale Fedele


Molti sono i segnali che indicano un cambiamento profondo delle politiche urbanistiche e abitative, in particolar modo sia nei progetti di rigenerazione urbana, sia nell’offerta di edilizia residenziale pubblica. Secondo un dato diffuso da Federcasa (l'associazione che rappresenta le varie agenzie di gestione delle case popolari) nel 2013 erano 650.000 le famiglie collocate nelle graduatorie dei comuni per l’assegnazione di una casa, famiglie che hanno diritto e che possono sostenere solo l’onere di un canone sociale e alle quali è preclusa ogni possibilità nel mercato delle locazione e di conseguenza anche in quello dell’acquisto.

Tuttavia mancavano e mancano tuttora le case popolari e ciò si scontra con il dato sempre più crescente di sfratti sul mercato privato.


Italia fanalino di coda in Europa

Alcuni dati, meno recenti, ci si riferisce al 2016, nel nostro Paese sono emesse circa 65.000 sentenze di sfratto all’anno (mediamente), sono circa 160.000 le richieste da parte degli ufficiali giudiziari di forza pubblica per eseguire gli sfratti, 35.000 gli sfratti eseguiti con la forza pubblica. In Europa, l’Italia nel rapporto tra stock di alloggi sociali disponibili rispetto all’intero stock residenziale, si colloca agli ultimi posti insieme con Ungheria, Estonia, Lituania, Spagna, Grecia. Un piazzamento non lusinghiero.

Da un articolo pubblicato su "Il Sole 24 Ore" del 2017, dal titolo "Case di proprietà. L'Italia subito dopo i paesi dell'est Europa", si ricava che nei paesi europei agli ultimi posti per presenza di alloggi sociali, le percentuali di proprietari sono le seguenti:

in Ungheria siamo al 73,5% (con picchi del 88,2% se sommiamo le abitazioni su cui ancora pende un mutuo); in Bulgaria- la nazione in cui sono presenti più case di proprietà senza alcun mutuo in sospeso relativo all’abitazione - l’81,5% delle dimore, pari al 32% sono possedute dalle famiglie (a cui si aggiunge il 2,1% di abitazioni di proprietà, ma con un mutuo in sospeso). In Italia si registra il 57,6% di proprietari, a cui si aggiunge il 14,2% su cui ancora pende un mutuo, per un totale di 71,8%.

Prendiamo ancora in considerazione i dati dei primi cinque Paesi in Europa con presenza più alta di alloggi sociali: nei Paesi Bassi, dove si registra la più alta percentuale di alloggi sociali in Europa, si è al 32% del patrimonio edilizio totale; al 23% in Austria, 19% in Danimarca, oltre il 18% in Regno Unito, Svezia, Francia e Finlandia. In Italia ci si attesta intorno al 3% di alloggi sociali.


Le responsabilità delle Regioni

L'edilizia residenziale pubblica ha sempre scontato nel nostro paese una certa marginalità (e ambiguità). Secondo un dato di Nomisma del 2016, l'edilizia pubblica esistente in Italia basta solo per un terzo delle famiglie che non riescono a pagare un affitto in locazione privata. A tutto ciò si deve aggiungere l'aggravante della svendita delle case popolari, prima con la legge 513 del 8 agosto 1977 e successivamente con la legge 560 del 24 dicembre 1993.

Svendita, perché oltre a erodere il patrimonio esistente di case popolari a disposizione, impone la vendita a prezzi calmierati per coloro che già vi risiedono e ciò comporta che per costruire un nuovo alloggio si devono vendere tre, quattro alloggi.

E perché si vendono gli alloggi? Perché la legislazione in materia di edilizia sociale è in capo alle Regioni che, demandandone la gestione alle varie specifiche Agenzie, lasciano a queste ultime l'onere di far quadrare le risorse già aggravate da morosità e legislazioni che ne bloccano l'operato. Tutto ciò potrebbe essere risolto se le risorse per le case popolari fossero gestite a livello statale e non regionale.

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