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Eliminiamo l'ipocrisia, unica strada per riconquistare i valori etici e morali della politica

di Vice


Ipocrisia, ovvero la cifra politica ed etica che sta ammorbando come il peggiore dei gas venefici la discussione attorno alle vicende scoppiate a Torino e in Puglia. Ed è l'ipocrisia che si presenta come un "bubbone" di memoria manzoniana e, alla stessa stregua della trama distesa da Camus nel suo romanzo "La peste", che fa scivolare i personaggi chiave o nel cinismo o nel delirio, nell'uno e nell'altro caso comunque intossicati dall'ossessione di cadere politicamente in piedi. Questo se rimaniamo nel Pd. Su Conte e il Movimento Cinque stelle il discorso è a parte, mentre nel centro destra, dopo la recente bufera giudiziaria in Sicilia che ha investito il vicepresidente regionale Luca Sammartino, è sempre più evidente l'idiosincrasia del governo di G. Meloni ad calarsi nella questione morale.

Ma ritorniamo alle vicende del Partito democratico a Torino. Non c'è dubbio che meriterebbero un'indagine introspettiva e psicologica i titoli sui quotidiani, giocati preminentemente sullo stupore per quanto è accaduto. Inatteso. "Stupore" che nel Pd allignassero correnti personali. Incredibile. Stupore che il grado di pervasività delle correnti personali fosse ormai dilagante, unito alla "scoperta" di alcuni che alla vigilia delle elezioni si mobilitassero gruppi di interesse estremamente attivi nel drenaggio di voti e consenso attraverso metodi clientelari sempre in auge. Doppiamente incredibile. Il che ci porta a domandarsi se lo stupore, in ultima analisi, non si traduca in uno schiaffo al senso di abnegazione e altruismo della base che ha continuato a spendersi, anteponendo la passione politica alle discutibili "stranezze" che via via emergevano nell'attività del partito.


La discussione nel Pd piemontese

Non è meglio chi agita la retorica della “comunità”, senza avere mai saputo o voluto contrapporre, davvero, alla scorciatoia del “conta chi ha i voti”,  anziché del franco confronto, i valori di una comunità autentica. Il richiamo stringe l'obiettivo su quei dirigenti del PD torinese e piemontese che nei loro commenti hanno declassato lo tsunami politico a una “tegola caduta” o all’“incidente di percorso”, alle stesse che oggi chiedono di "liberare il Pd", senza spiegare il come e il quando, perché modi e tempi non sono secondari in politica, soprattutto in un Paese che ha nella labile memoria il suo ventre molle. Fino a chi, come il vicepresidente regionale dei dem Giancarlo Quagliotti, intervistato dalla Stampa oggi, giovedì 18 aprile (data spartiacque per l'Italia), invita ad accostare, sotto l'influenza di una nostalgia che non tramonta e non può tramontare per la grandezza della storia che evoca, lo stile politico di una grande figura del Pci, con alle spalle oltre un decennio nelle galere fasciste. Il riferimento è a Giancarlo Pajetta e alle telefonate intercettate dagli inquirenti del signor Salvator Gallo, che sollevano - al netto delle collusioni con il crimine organizzato tutte da dimostrare - forse un eccesso giacobino nel giudizio morale, ma che oggettivamente non possono delineare una prassi nella ricerca del consenso condivisa dai militanti e in ciò che sopravvive della vita dei circoli.

All'opposto, la realtà che si sta delineando sotto i nostri occhi dai faldoni dell'inchiesta giudiziaria è la somma di un prolungato deficit strutturale sotto il profilo organizzativo e morale voluto, inconsciamente e non, da chi ha privilegiato la spartizione dei poteri interni e l'accaparramento di posti esterni con metodi surrettizi che poco e niente davano risposte ai principi democratici su chi si deve reggere un partito.

Un metodo che proprio alla luce degli ultimi accadimenti, ma letti senza ipocrisia, cioè accompagnati dalle postille sui troppi episodi che hanno costretto militanti ed elettori del Pd a "turarsi il naso" nel seggio elettorale per continuare a credere nella politica. Un "sacrificio" che non ha allentato del tutto i vincoli di comunità, nonostante la delusione, e che ha sostenuto l'impegno disinteressato di chi non vuole semplicemente mollare. E che oggi accompagna e segue con generosità l'impegno di Gianna Pentenero, candidata a presidente della Regione Piemonte.

Perché la vicenda del PD, insieme con le intemperanze verbali di un Giuseppe Conte che dà lezioni a destra e a manca sulla questione morale (sic!) soltanto per essere il migliore interprete nel restare incollato alla poltrona con qualunque schieramento (in ciò ha dimostrato di avere ottenuto la libera docenza, in materia), ci dicono che rischia di morire o di spegnersi qualcosa di ben più importante del “campo largo”: è l’idea stessa che la partecipazione, l’impegno civico e amministrativo, e i loro rapporti con la democrazia e i suoi strumenti, possano servire a qualcosa di buono.

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