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Saluti romani e spirito fascista sui destini del nostro Paese

  • Vice
  • 16 ore fa
  • Tempo di lettura: 3 min

di Vice

Il 27 aprile scorso a Dongo, sulle rive del lago di Como, cronache ed immagini hanno raccontato e diffuso la coreografica manifestazione nell'80° anniversario dell'arresto di Benito Mussolini e altri gerarchi e sodali della Repubblica di Salò.

Come è noto, era un gruppo in fuga verso la frontiera svizzera al seguito del Capo, nascosto su camion e autoblindo naziste, per sottrarsi alle proprie responsabilità. Il giorno dopo, Mussolini e la sua amante Claretta Petacci venivano fucilati a Giulino di Mezzegra. Paradossalmente il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) nell'emanare l'ordine si era limitato a raccogliere il grido di battaglia del Duce che il 2 ottobre 1935, alla dichiarazione di guerra all'Etiopia, aveva invitato il popolo italiano a un virile comportamento: "Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi".

Invito, se guardato in retrospettiva, pienamente accolto: la prima parte, con sofferenze indicibili, distruzioni, fame, morti pagate dal popolo italiano; della seconda si è detto; l'ultima, con le stragi che hanno funestato la vita della nostra Repubblica in cui compare sempre orribile la mano nera, dagli attentati spiccioli del '45 alle sezioni dei partiti democratici alla strage di Portella della Ginestra del I maggio 1947, alla Strategia della tensione e al tritolo piazzato nelle toilette e scompartimenti di treni e sale d'aspetto di stazioni.

A Dongo, erano stati poi fucilati altre quindici persone con ruoli di prima responsabilità nel governo della Repubblica sociale e nell'entourage mussoliniano: Francesco Maria Barracu, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Nicola Bombacci, consigliere di Mussolini, Luigi Gatti, ex prefetto di Milano, segretario di Mussolini, Augusto Liverani, ministro delle comunicazioni, Ferdinando Mezzasoma, ministro della cultura popolare, Alessandro Pavolini, ministro segretario del Partito Fascista Repubblicano, Paolo Porta, ispettore dei Fasci della Lombardia, federale di Como e comandante della XI Brigata nera "Cesare Rodini", Ruggero Romano, ministro dei lavori pubblici, Idreno Utimperghe, federale di Lucca e comandante della XXXVI Brigata nera "Natale Piagentini", Paolo Zerbino, ministro dell'interno, Pietro Calistri, capitano pilota dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana, Vito Casalinuovo, colonnello della Guardia Nazionale Repubblicana, ufficiale d'ordinanza di Mussolini, Goffredo Coppola, rettore dell'Università di Bologna, Ernesto Daquanno, direttore della Agenzia Stefani, Mario Nudi, impiegato della Confederazione fascista dell'Agricoltura e comandante della scorta di Mussolini.

La commemorazione fascista ha avuto protagonista un centinaio di persone, militanti con giubbetto nero di ordinanza, militarmente inquadrati, teste rasate con impressi alcuni marchi di fabbrica ideologici, saluto romano e grido "presente!" in perfetta sincronia, secondo lo stile ereditato da Achille Starace, che in materia di teatralità non era inferiore a nessuno.

In compenso, l'evento fascista, che il presidente del Senato Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, ha derubricato con parole piane a giornata nel ricordo di chi è morto, un sentimento in cui "non c'era odio, né violenza", è rimbalzato sui social e visualizzato da milioni di italiani, parte dei quali sinceramente preoccupati per la disinvoltura con cui il fascismo, che è "odio e violenza" scritti nel suo codice genetico, con un prima, durante e dopo nella storia d'Italia, ritorni ad avere dignità d'esistenza nell'apatia della Legge e delle istituzioni governative.

Ieri in via Paladini a Milano, la commemorazione con fiaccolata a cinquant'anni dalla morte di Sergio Ramelli, il giovane del Fronte della Gioventù ferito a morte da alcuni militanti di Avanguardia Operaia, si è trasformata in un'onda monocromatica nera di duemila persone, la cui disciplina verbale si è espressa con l'appello "camerata Ramelli", e la risposta "Presente", seguita dalla retorica gestualità con il saluto romano. In questo caso, però, la composta manifestazione senza "né odio, né violenza" è stata messa a dura prova dalle note di Bella Ciao che si sono liberate dalla finestra di una palazzina antistante.

Una scelta evidentemente non condivisa dai competenti critici musicali neofascisti, in cui si sono distinti per dinamismo Casa Pound, Lealtà-Azione, Do.ra, il Movimento nazionale-La rete dei patrioti, costretti a rinunciare e trasgredire la loro naturale vocazione alla tolleranza politica con una serie di epiteti della serie “Vigliacco, scendi giù, sei un m...” e l'aumento dell'inquinamento acustico con il lancio di un petardo nel giardino condominiale da cui proveniva la musica. Sia chiaro, che cos'è mai un petardo rispetto alle bombe militari SRCM che i militanti missini scagliavano nelle manifestazioni non autorizzate negli anni Settanta?

A quel punto, però, lo spirito di pace in memoria di Sergio Ramelli si era già dissolto, per lasciare spazio alla storica riproduzione dello spirito squadristico, nei cui panni quei militanti sentono di poter esprimere la loro vera natura, senza infingimenti e ipocrisia, cioè quella di autentici fascisti, oggi come ieri, massa di manovra di chi "normalizza" il Paese a colpi di decreti legge antidemocratici e riforme anticostituzionali. Il vero pericolo.


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