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La stanza del pensiero critico. "Sindacati non cedete alla polarizzazione politica"

di Savino Pezzotta


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Quello che sta accadendo oggi nel sindacalismo confederale non è una semplice divergenza di percorso: è una deriva che rischia di scardinare la credibilità stessa della rappresentanza dei lavoratori. Di fronte a una manovra finanziaria che pesa su salari, pensioni e welfare, CGIL, CISL e UIL si presentano con tre mobilitazioni separate — UIL il 29 novembre, CGIL il 12 dicembre, CISL il 13 dicembre — come se la priorità fosse segnare il proprio territorio, invece che rafforzare la voce collettiva del lavoro. Tre piazze, tre date, tre identità che si guardano di traverso. Un regalo enorme alle controparti.


Non è pluralismo, è debolezza politica

Una volta si diceva: “marciare divisi per colpire uniti”. Ma oggi non si colpisce nulla. L’unità d’azione — la nostra vera forza storica — si sta sgretolando davanti agli occhi di tutti. Le leadership sembrano più impegnate a non perdere il controllo interno che a costruire la necessaria sintesi politica. È una miopia che rischia di trasformarsi in irrilevanza.

E, attenzione: non è la diversità di idee a fare paura. È la trasformazione delle differenze in trincee. La polarizzazione politica è una trappola, e ci stanno finendo dentro. Il sindacato, invece di essere l’antidoto alla polarizzazione che sta avvelenando il Paese, rischia di diventarne la vittima. E questo è gravissimo. Non si può chiedere più democrazia economica e più partecipazione dei lavoratori e poi lasciarsi trascinare dentro gli schemi della polarizzazione partitica. Un sindacato risucchiato nella polarizzazione non è più autonomo. È fragile, manipolabile, facilmente strumentalizzabile. E nel frattempo il Governo può continuare indisturbato a praticare il “divide et impera”, sfruttando ogni frattura, ogni gelosia, ogni rivalità.

La frammentazione non indebolisce i vertici: indebolisce i lavoratori. In una fase di inflazione feroce, precarietà strutturale e tagli che toccano la carne viva del lavoro, dividere il fronte sindacale non è solo un errore politico: è un’offesa ai lavoratori stessi. Chi divide oggi rafforza chi vuole un sindacato silenzioso, innocuo, ridotto a rito formale. La domanda è: davvero si vuole essere questo?


In passato scontri durissimi, ma mai la porta chiusa

E c’è un elemento che rende l’attuale divisione ancora più incomprensibile. Nella storia del sindacalismo confederale ci sono stati scontri duri, durissimi. Io stesso, in altri momenti, mi sono trovato in conflitto aperto con la CGIL di Sergio Cofferati. Discussioni aspre, scelte divergenti, tensioni vere. Ma mai, nemmeno nei passaggi più difficili, è venuta meno la consapevolezza che l’unità d’azione dovesse rimanere un orizzonte possibile. Mai si è trattata la divisione come una condizione irreversibile.

Si lasciava sempre aperto uno spiraglio. Si lavorava, spesso in silenzio e con grande fatica, per ricomporre. Perché il sindacalismo confederale ha sempre saputo che senza unità si perde forza, si perde voce, si perde senso. Ed è per questo che, anche oggi, io continuo a sperare — e non per ingenuità — che si mettano in campo subito gesti concreti per approdare rapidamente a un’unità d’azione e a una posizione comune nei confronti del Governo. Non tra mesi: ora.


Riprendere l’unità per difendere l’autonomia

Serve un atto politico chiaro: ricostruire l’unità non per nostalgia del passato, ma per salvare il futuro.CGIL, CISL e UIL devono uscire dalle loro fortezze interne e tornare a parlarsi con la volontà reale di convergere. Non c’è più tempo per la diplomazia sottotraccia: servono scelte pubbliche, visibili, coraggiose. Perché oggi l’unità non è solo un valore sindacale.È l’unico antidoto alla polarizzazione che sta cercando di piegare il sindacato e di trasformarlo in un campo di tifoserie.

Il Paese, la democrazia, il mondo del lavoro nel suo complesso ha bisogno di un sindacato forte, autonomo, convergente. Le persone che lavorano gli stessi imprenditori non vogliono tre narrative diverse, tre strategie diverse, tre piazze diverse. Vogliono una voce unica e determinata. Il momento è questo. Non domani. Non dopo gli equilibri interni. Adesso.

Basta divisioni. Serve una rottura, sì — ma delle logiche che stanno indebolendo il sindacalismo confederale. Serve ricostruire il fronte del lavoro e rilanciare la rappresentanza confederale come presidio democratico e sociale contro chi punta a polarizzare tutto, anche ciò che non dovrebbe mai esserlo: la difesa dei diritti.

 

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