COP 30 a Belem fuori dai radar, ma non è una bella notizia...
- Mercedes Bresso
- 2 giorni fa
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di Mercedes Bresso

È impressionante il disinteresse dei nostri media per i lavori della COP 30 che si stanno svolgendo in Brasile, a Belem, alle porte dell’Amazzonia, che è senza dubbio uno dei nostri beni ambientali globali più prezioso. Da quando le destre europee hanno preso di mira il Green Deal, che l’Unione ha avviato e approvato durante la scorsa legislatura, in applicazione degli accordi di Parigi (la COP 25), sembra che non solo la politica ma anche l’opinione pubblica, si disinteressi completamente della sua applicazione e delle conseguenze che ne deriverebbero. Che non sono affatto negative: all’epoca degli accordi di Parigi l’Unione Europea deteneva il primato mondiale per gli interventi sull’ambiente e stava sviluppando le politiche appropriate, che sono quelle che ci avrebbero permesso di avere la leadership sulle tecnologie Green.
In questo decennio, la Cina avanzava a grandi passi, migliorando nettamente le condizioni ambientali nel suo paese: le inquinatissime città cinesi sono state ripulite e sono uscite dalla classifica di quelle con la peggiore qualità dell’aria e le industrie Green si stanno sviluppando a una velocità enorme.
Così mentre l’Europa approvava norme di pregio, ma non le applicava, la Cina conquistava la leadership nell’unico settore in cui noi avevamo avuto la concreta possibilità di primeggiare.
A Belem siamo arrivati in una fase di stanchezza dell’opinione pubblica che non fa ben sperare nel ruolo che potremo giocarvi.
Il Presidente Lula nel tentativo di salvare qualcosa della loro Presidenza, potrebbe proporre di definire una road map per concordare l’uscita dai combustibili fossili.
Questa potrebbe forse essere l’occasione per l’Europa di allineare anche i propri obiettivi climatici. Fare di più non sarebbe vietato ma intanto avere un accordo che riguardi la maggior parte dei paesi del Pianeta sarebbe davvero importante. E forse potrebbe calmare le nostre imprese, che temono la concorrenza sleale di quelle di altri paesi.

Potrebbe essere anche l’occasione per chiarire con la Cina che l’allineamento di obiettivi e regole deve riguardare anche loro, all’interno del paese, così come non può non riguardarli il finanziamento della road map per i Paesi poveri o in via di sviluppo. Non può toccare più solo all’Europa finanziare la transizione energetica: i paesi ricchi, anche più di noi, sono ormai molti e non esistono scuse post coloniali per addossare solo all’Occidente le responsabilità. I processi di sviluppo avvengono tutti nello stesso modo, con nuove e abbondanti fonti di energia, e all’epoca dell’industrializzazione europea e poi americana, le fonti che hanno spinto la crescita erano quelle fossili, delle quali non si conoscevano ancora i possibili effetti negativi.
Quindi non dobbiamo accettare colpevolizzazioni, ma proporre invece di aiutare i paesi meno ricchi a utilizzare le fonti rinnovabili oggi, che è possibile e in cui conosciamo i danni dei combustibili fossili.
Sarebbe bene, in cambio di un incremento dei nostri aiuti, ottenere di chiudere la stucchevole accusa post coloniale: tra l’altro coloro che ce lo chiedono sono i diretti discendenti dei coloni, non certo noi. I nostri padri sono rimasti in Europa e hanno lavorato duro per portarla agli attuali livelli di ricchezza. Lo stesso devono fare gli altri paesi, con aiuti da parte nostra ma per migliorare la vita di noi tutti e non per pagare debiti del passato.
Il rimpallo delle responsabilità è troppo spesso un gioco a somma zero, crea irritazione ed è inutile perché ogni nazione, nel passato come ora, ha fatto quello che poteva per uscire dalla povertà e non ha colpe se vi è riuscita. Oggi sappiamo che il pianeta su cui viviamo è piccolo e che la nostra vita su di lui è messa in pericolo: proviamo, tutti, a guardare al futuro, con senso di responsabilità e di amicizia.













































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