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Riparte la mobilitazione per salvare gli stabilimenti ex Ilva

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Da nord a sud, dallo stabilimento di Cornigliano (Genova) all'impianto di Taranto, i lavoratori della ex Ilva hanno imboccato la strada dello sciopero, come annunciato ieri, 19 novembre, dai sindacati di categoria. Una rottura, all'indomani dell'incontro con il governo, per dare un autentico segnale di contrasto ad un piano di rilancio che le maestranze hanno bocciato senza mezzi termini come un "piano di chiusura", privo di adeguate garanzie soprattutto per il sito produttivo meridionale. Dal progetto, infatti, emergerebbero soltanto ulteriori chiusure degli impianti, dicono i sindacati, e un aumento della cassa integrazione.

La finalità del governo, ha argomentato Christian Venzano, della Fim Cisl Liguria, tende così a far pagare errori e ritardi solo sui lavoratori del gruppo e, in una logica di progressivo smembramento della produzione di acciaio in Italia, a mettere "a rischio lo stabilimento di Genova” e l’intero gruppo siderurgico più grande d’Europa. Allarme recepito dalle maestranze dello stabilimento di Cornigliano che sono scese in piazza questa mattina (nelle foto), dando vita a un corteo e a un presidio davanti ai cancelli d'ingresso con la consapevolezza che senza una soluzione credibile, che garantisca una continuità produttiva, il sito è destinato a esaurire gradualmente la sua capacità produttiva.


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Con una nota è intervenuto anche il Segretario generale della Uilm Uil, Rocco Palombella, che ha accusato il governo di avere tergiversato, secondo una tattica che mira a prendere tempo con la cassa integrazione prima di assestare il colpo definitivo della chiusura, in primis, dell'impianto di Taranto. Una scelta che in ultima istanza comporta la perdita del posto di lavoro per oltre 10.000 lavoratori diretti, più circa 5.000 dell’indotto. Con ciò, ha aggiunto Palombella, "si abbandona anche ogni progetto di risanamento ambientale. Chi pensa che chiudere gli stabilimenti voglia dire fare bonifiche sbaglia: senza attività industriale non ci sarà alcun risanamento. Sarà solo un danno: per l’ambiente, per le persone, per l’economia e per l’Italia intera”.


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