Un libro per voi: "Ezidi", genocidio di un piccolo popolo
- Alberto Ballerino
- 17 ore fa
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a cura di Alberto Ballerino

Domani, 20 novembre a Tortona, alle 18, verrà presentato presso la libreria Namastè (via Emilia 168/a), il volume Ezidi di Carla Gagliardini, pubblicato da Redstarpress. L'iniziativa, promossa dall’Associazione Verso il Kurdistan OdV, è volta a raccogliere donazioni per la costruzione di un ospedale in sostegno di un popolo che ha subito un vero e proprio genocidio, ma anche per fare conoscere la sua storia.
Il libro racconta la storia e la cultura del popolo Ezida, ai confini con la Siria e la Turchia, che ha subito un tentativo di genocidio nel 2014 ad opera dell’Isis. “Nasce – spiega l’autrice - a seguito dei monitoraggi che facciamo dei nostri progetti in loco, nel distretto di Shengal. Gli Ezidi ci hanno chiesto ripetutamente di fare qualcosa perché si conoscesse la storia della grande violenza a loro inflitta e di fare pressione sul nostro Parlamento per il riconoscimento del genocidio. Abbiamo iniziato un percorso istituzionale con Laura Boldrini, presidente del Comitato Permanente Diritti Umani nel Mondo, che ci ha ascoltato e ha presentato la proposta di riconoscimento del genocidio al governo. Però questo riguarda l’aspetto istituzionale. Ho voluto dare un contributo in più per fare conoscere la loro storia, pensando a un libro esauriente ma anche divulgativo”.
Gli Ezidi sono un popolo di origini molto antiche, la comunità più grande oggi è quella in Iraq, costituita prima del genocidio da circa 500mila persone che vivevano nel distretto di Shengal. Si trovano anche in Siria, Turchia, Iran e Armenia. La loro religione si basa sul culto dell’angelo Pavone, prima cacciato da Dio per essersi macchiato di superbia e poi riaccolto perché pentito. Cristiani, Musulmani e altri però lo hanno identificato con il diavolo e così in periodi diversi hanno messo in moto persecuzioni di carattere religioso nei loro confronti. L’ultimo tentativo di genocidio viene messo in atto dall’Isis nel 2014. Nella notte del 2 agosto attacca l’area, colpendo i villaggi a piedi del monte Shengal che però non riesce a risalire grazie anche alla Resistenza. “Ha fatto strage – dice Carla Gagliardini – delle comunità a valle. Le persone sono state radunate nelle scuole, poi si è proceduto alla separazione tra uomini (dai 12 anni in su) e donne. I primi sono stati portati alle periferie dei villaggi, uccisi e gettati in fosse comuni. Donne e bambini sono invece stati trasferiti in altre località dove è avvenuta un’altra separazione con l’eliminazione delle più anziane. I bambini tra gli 8 e i 12 anni sono stati avviati alla preparazione militare e si è istituito il mercato delle schiave, avviato in alcune zone del luogo e anche online. Con le donne destinate a questo trattamento potevano restare le bambine fino a nove anni, chi aveva superato questa età era venduta separatamente come schiava”.
Il genocidio viene messo in atto per motivi religiosi ma anche perché questa popolazione si trova in una zona strategicamente importante per collegare i territori in Siria e Iraq conquistati dall’Isis. “Shengal all’epoca – dice Carla Gagliardini – era difesa dai Peshmerga che però tradirono gli Ezidi. A loro interessava la zona di Kirkuk dove l’Isis era praticamente arrivato: per averla, permisero al Califatto di entrare a Shengal. Lasciarono così la popolazione indifesa, requisendo pochi giorni prima anche le armi e impedendo ai check point di allontanarsi dalla zona, assicurando che avrebbero provveduto alla difesa. Il giorno prima dell’attacco andarono via, sostenendo che si stavano riposizionando per attaccare l’Isis alle spalle. Qualcuno però non aveva consegnato le armi da qui nacque la prima resistenza.
La gente cercò salvezza scappando sul monte, aiutata dal PKK e dalle forze della amministrazione autonoma del Rojava in Siria. Sono riuscite a sfuggire all’Isis così circa 350mila persone. Alcuni giorni dopo si attivò anche la comunità internazionale”. I dati del genocidio sono impressionanti: per il momento si parla di 10-12mila persone uccise ma si stanno ancora aprendo le fosse comuni. Sono circa seimila le donne e i bambini rapiti, a casa sono tornati all’incirca la metà. “Non si sa nulla di molte delle restanti. Alcune si sa dove sono ma non è semplice liberarle”. Dal 2015 molti hanno lasciato l’Iraq con progetti di alcuni paesi dell’Unione Europea, di Australia e Canada. Nel complesso sono partiti più di 120 mila Ezidi.
In seguito al genocidio viene elaborata una scelta politica. “Una parte degli Ezidi ha deciso di fondare nel 2017 l’amministrazione autonoma di Shengal, diventata operativa l’anno successivo con la sconfitta in Iraq dell’Isis. È simile a quella del Rojava, una forma di autogoverno che si basa sui principi del confederalismo democratico di Abdullah Ocalan. Non tutti hanno aderito: alcuni non la condividano, altri la sostengono silenziosamente perché hanno paura. L’amministrazione è sotto attacco da parte turca: ci sono bombardamenti con i droni per eliminare gli uomini più importanti. Chi non ha aderito, sta sotto le regole del governo centrale. L’amministrazione autonoma non è stata riconosciuta dall’Iraq, anche se c’è stata una intensa negoziazione e il governo centrale non era del tutto ostile fino a poco tempo fa. Totalmente contro è il Kurdistan iracheno perché vorrebbe tornare a governare la zona ma incontra il veto dell’amministrazione autonoma: è considerato compartecipe del massacro e in generale la popolazione ha diffidenza nei suoi confronti. Ora però si sono intensificati i rapporti tra Bagdad e la Turchia, che ha in mano un’arma molto importante come l’acqua grazie alle dighe costruite sul Tigri e sull’Eufrate. Hanno firmato degli accordi e tra questi c’è quello in base al quale il PKK deve essere considerato un partito terrorista. Per ora in Iraq è stato solo messo fuorilegge ma non dichiarato terrorista. La Turchia sta facendo pressione ma ora è in corso anche un processo di pace, vedremo come andrà a finire. Gli Ezidi comunque non chiedono l’indipendenza ma l’autonomia amministrativa che, in base alla Costituzione, è stata data al Kurdistan. Adesso però, dopo l’avvicinamento tra Turchia e Bagdad, i rapporti sono estremamente tesi.
Non bisogna dimenticare che quattro anni fa sono stati firmati gli accordi di Shengal che prevedono l’ingresso nella zona del governo iracheno e del Kurdistan per governare con tutte persone nominate, senza processo elettorale. Sono stati siglati con il benestare di tutti: Unami (la missione delle Nazioni Unite in Iraq), Stati Uniti, Europa, Turchia e altri. Gli Ezidi, maggioranza a Shengal, sono stati esclusi anche dalla fase di negoziazione. Tutto però è rimasto sulla carta. Non solo gli Ezidi sono contrari ma ci sono problemi anche tra Bagdad e il Kurdistan iracheno. L’esercito dell’Iraq è già entrato due volte a Shengal per fare accettare questo accordi ma è stato respinto dalle unità armate costituite all’epoca della resistenza contro l’Isis”.
Intanto l’associazione Verso il Kurdistan ha messo in campo dei progetti per aiutare la popolazione in accordo con l’amministrazione autonoma di Shengal. “Abbiamo già concluso la costruzione di un presidio sanitario e finanziato la scuola di sartoria per le donne, la scuola di alfabetizzazione, la ricostruzione di un asilo. Ora stiamo raccogliendo dei fondi per la costruzione dell’Ospedale di Duhla che servirà 30mila persone”.













































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