top of page

La morte del Caudillo e la via spagnola alla democrazia

  • Vice
  • 13 ore fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Oggi la Spagna ritorna sulla sulla figura del dittatore Francisco Franco a cinquant'anni dalla sua scomparsa.


di Vice


ree

Il 20 novembre del 1975, un giovedì come oggi, moriva alle 4,40 all'ospedale di Madrid Francisco Paulino, Hermenegildo, Teodulo Franco, il generalissimo, l'ultimo dittatore fascista in Europa. La sua agonia era durata almeno trentasei giorni. Furono in molti in patria e all'estero a rallegrarsi di quel crudele epilogo, incuranti della pietas umana. Ma per il Caudillo (capo supremo per gli spagnoli), arrivato all'età di 83 anni, sembrava lecito fare un'eccezione: aveva sulla coscienza i miasmi di una dittatura che ancora negli ultimi anni non aveva avuto neppure il pudore, anzi, riteneva di essere nel giusto, di sospendere la garrota, incivile condanna a morte, per gli oppositori politici, né gli si perdonava una guerra civile devastante, costata alla Spagna almeno mezzo milione di vittime accertate da studi recenti (800mila o un milione, secondo la vulgata dominante), tra combattenti e popolazione civile e, in ultimo, 15mila esecuzioni dopo la presa di potere franchista. Fucilazioni di massa che molti prigionieri politici avrebbero preferito alle disumane condizioni di vita cui furono costretti a subire in carcere; condizioni brutali denunciate anche dalla Chiesa cattolica di Spagna, grande sostenitrice di Franco, cui nel dopoguerra fu concesso da Pio XII la più alta onorificenza del Vaticano, l'Ordine Supremo di Cristo.

L'ultimo respiro del cospiratore dell'Alzamiento (sollevazione militare) contro la Repubblica spagnola - si era ribellato alla testa del Tercio, la legione straniera che comandava in Marocco - fu annunciato dall'agenzia di stampa Europa con tre sole parole: "Franco è morto". Alle 6,12, la sua morte divenne ufficiale, scandita con commozione dal ministro del Turismo Leon Herrera dai microfoni di Radio Nacional. Le scuole restarono chiuse per una settimana, mentre il Paese fu immerso in un greve lutto nazionale per un mese, sospeso tra l'odio represso a fatica dei nostalgici e le prime avvisaglie di speranza per un rapido ritorno alla democrazia. Il 22 novembre, Juan Carlos diventava re di Spagna giurando alle Cortes, dando corso alle volontà di Franco che l'aveva designato suo successore il 22 luglio del 1969, rispettando la Ley de sucesión en la jefatura del Estado approvata nel 1947.


ree

Cinquant'anni dopo, la Spagna si interroga su che cosa rappresenti per la memoria collettiva Francisco Franco. E oggi, il quotidiano madrileno El Pais pubblica un'indagine sul grado di conoscenza del dittatore tra i giovani. La sintesi è lapidaria: "suscita più interesse ed è più popolare rispetto a dieci anni fa, grazie ai social network, al malcontento di questa parte della popolazione e all'ignoranza". Il vento del populismo e la crescita tumultuosa e aggressiva del movimento di ultradestra franchista Vox conferma l'analisi.

Responsabilità di una transizione democratica prudente per evitarsi ritorni di fiamma dei partigiani del dittatore, che comunque vi fu il 23 febbraio 1981 con il famoso tentato golpe del tenente colonnello della Guardia Civile António Tejero? Anche e in parte.

Sulla scia di un pregevole lavoro di tesi [1], seguiamo l'analisi di uno dei più eminenti costituzionalisti spagnoli, Ángel Sánchez Navarro. Secondo lo studioso, professore di Diritto Costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Complutense, la transizione spagnola va delimitata seguendo fase storiche precise conchiuse tra la scomparsa di Francisco Franco e l’entrata in vigore della Costituzione, 6 dicembre 1978, questa ultima simbolo della riconciliazione nazionale derivato da un accordo tra destra e sinistra, tra riforme sociali e capitalismo, tra chiesa e cultura secolare, tra centro e autonomie regionali. Ma, aggiunge Ángel Sánchez Navarro, la transizione spagnola rimane un fenomeno eminentemente giuridico dai caratteri peculiari rispetto alle altre transizioni che ci furono in Europa e nel mondo a partire dal Secondo dopoguerra. È in questo quadro che si inserisce l’approvazione quasi unanime di una nuova amnistia, sotto forma di legge.

Ma quali furono le implicazioni della tanto voluta e sofferta transizione? Questo passaggio, da una situazione di regime a una situazione di democrazia, si legge nella tesi di Giampaolo Camilla, "è considerato come il modello pacifico per eccellenza, preferibile a molti altri. In realtà, bisogna sottolineare due punti fondamentali: da un lato, il nuovo stato spagnolo venne costruito sui mattoni del vecchio, non ci fu, cioè, una rottura totale dal precedente periodo dittatoriale. Basti pensare al primo governo post-Franco, che era composto per la maggior parte da politici provenienti dalle fila franchiste. Dall’altro lato, la Transizione spagnola aveva le sue basi nel cosiddetto pacto del olvido, la premessa e la promessa di scordarsi il passato."

In altri termini, gli spagnoli optarono per echar al olvido, dimenticare. Fu un girarsi dall'altra parte che implicava la cancellazione con un colpo di spugna 36 anni di dittatura e i ricordi di una guerra civile che non si era esaurita nel 1939, ma che era proseguita sotto traccia anche negli anni Cinquanta e (ri)attivita dal terrorismo basco dell'ETA con innumerevoli attentati a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Una tragedia da riassorbire obtorto collo in nome della riconciliazione nazionale e, come è stato osservato, con il dichiarato proposito "di evitare la polarizzazione e gli estremismi".

Tuttavia, il passaggio alla democrazia non fu indolore. Dal 1975 al 1982 si susseguì una serie impressionante di azioni violente matrice politica che causò la morte di 644 morti: 356 provocate dall’ETA, 64 dai GRAPO (gruppo estremistico di sinistra), 68 da altre organizzazioni di estrema destra, 11 da altri gruppi di estrema sinistra, 5 da altri gruppi indipendentisti e 140 dalle forze dell'ordine durante le manifestazioni.

Ma di tutto ciò anche il più bravo degli inquisitori non riuscirebbe ad imputarlo a Francisco Franco.



Note

Commenti


L'associazione

Montagne

Approfondisci la 

nostra storia

#laportadivetro

Posts Archive

ISCRIVITI
ALLA
NEWSLETTER

Thanks for submitting!

Nel rispetto dell'obbligo di informativa per enti senza scopo di lucro e imprese, relativo ai contributi pubblici di valore complessivo pari o superiore a 10.000,00, l'Associazione la Porta di Vetro APS dichiara di avere ricevuto nell’anno 2024 dal Consiglio Regionale del Piemonte un'erogazione-contributo pari a 13mila euro per la realizzazione della Mostra Fotografica "Ivo Saglietti - Lo sguardo nomade", ospitata presso il Museo del Risorgimento.

© 2022 by La Porta di Vetro

Proudly created by Steeme Comunication snc

LOGO STEEME COMUNICATION.PNG
bottom of page