Ex Ilva, i timori del giorno dopo: a rischio anche il sito di Novi
- Alberto Ballerino
- 9 ore fa
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Dopo lo sciopero di 24 ore scattato ieri in tutti gli stabilimenti italiani
di Alberto Ballerino
L'acciaio è nella storia di Novi Ligure in uno stabilimento siderurgico che rischia di essere trascinato pesantemente nella crisi della ex Ilva. La storia quotidiana in Strada Bosco Marengo è quella di 550 lavoratori, di cui 140 in cassa integrazione, che ieri mattina, 19 novembre, hanno incrociato le braccia per uno sciopero di 24 ore, si sono radunati in strada per dirigersi alla vicina palazzina, sede dei dirigenti. Un'azione nel segno dell''unità sindacale, Cgil, Cisl e Uil per dare una risposta concreta ad una situazione grave, che si era manifestata nel maggio scorso, all'indomani dell'incendio nell'altoforno 1 di Taranto, con nuove sospensioni dal lavoro per decine di addetti anche nello stabilimento novese.
Dice il segretario provinciale della Fiom Cgil, Maurizio Cantello: "Il quadro generale della crisi è nero per tutti gli stabilimenti del gruppo in Italia, soprattutto dopo le dichiarazioni del ministro Urso e le posizioni più in generale espresse dal governo. Ufficialmente è stato dichiarato che i cassaintegrati andranno da 4550 a 6000 nel giro di alcuni mesi, da qui a marzo. Non solo ma c’è un ragionamento dal punto di vista della gestione degli impianti che passa attraverso un ciclo corto: sostanzialmente non si fanno più lavorare i prodotti di Taranto agli stabilimenti del nord Italia, l’acciaio viene subito venduto ai clienti. Questo, come è stato affermato, porterà al fermo di queste fabbriche a marzo. È stato anche confermato il taglio di circa 300 milioni di euro nell’ultima legge di bilancio, spostati dal rilancio dell’Ilva alla produzione di armamenti: un segnale su dove stiamo andando a livello generale. Hanno confermato che c’è in piedi una trattativa con due fondi statunitensi che hanno manifestato interesse, ma con un taglio importante dal punto di vista occupazionale. Tutto questo ci ha portato a chiedere al governo di ritirare il suo piano, addirittura peggiorativo rispetto a quello di due settimane fa, quando rompemmo il tavolo di discussione. C’è in pratica la scelta di non volere la siderurgia nei confini nazionali”.














































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