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Striscia di Gaza: "ossessione" per la sopravvivenza di Israele

di Michele Corrado*

Da molti giorni si attende la risposta israeliana agli eventi del 7 ottobre. Un periodo di tempo insolitamente lungo che potrebbe suggerire che il livello operativo delle Forze Armate israeliane non abbia le capacità di un tempo; sia come rapidità decisionale dei vertici, sia come esecuzione sul terreno.

In realtà, la “scatola” - come è chiamata in gergo tecnico-militare la delimitazione di spazi - è immediatamente o quasi scattata in Medio Oriente. All'esterno vi hanno provveduto gli Stati Uniti con due gruppi da battaglia navali che hanno di fatto "sigillato" lo spazio aereo della Stato di Israele impedendo a qualsiasi altro attore di interferire (l’intercettazione dei missili lanciati dalla Yemen lo conferme ed è un evidente ammonimento per chiunque); da parte sua, Israele ha "sigillato" la Striscia di Gaza, impedendo a chiunque di influire in quello spazio aero-terrestre. Evitando giudizi di carattere morale, umanamente importanti, ma che nelle strategie militari - sarebbe da ipocriti negarlo - raramente hanno influenzato drastiche e radicali decisioni, ciò spiega lo "sfratto" dato dagli israeliani ai residenti della Striscia di Gaza e nel contempo la politica degli aiuti umanitari con il contagocce per non offrire elementi di sussistenza ad Hamas.

Con le "scatole" predisposte, parte in linea teorica la neutralizzazione dell'ala militare di Hamas, organizzazione che si compone di tre livelli: chi decide, chi esegue e chi sostiene; poi ci sono i simpatizzanti o fiancheggiatori, che sono attivi perché vi è una struttura. Dei tre livelli, il secondo e il terzo sono collocati all'interno della Striscia; il primo al di fuori. Per annullare una minaccia come quella di Hamas, considerando la dimensione della carneficina compiuta tra il 7 e l'8 ottobre (l’incursione delle milizie è terminata solo quando tutti i suoi componenti, che non sono riusciti a rientrare nella Striscia, sono stati messi fuori gioco), è necessario colpire radicalmente le sue forze, in modo che non vi sia la capacità fisica di replicare quanto già accaduto.

Vista la conformazione morfologica e la dimensione del suo territorio, lo Stato di Israele non può permettersi di convivere con certe tipologie di minaccia come quella espressa da Hamas, pena la sua dissolvenza. È per questo che le risposte di Israele sono state sempre vincenti nei confronti di quanto hanno, dal 1948, messo in atto le varie coalizioni militari arabe. Sic stantibus rebus, il giorno in cui Israele non riuscirà ad essere militarmente vincente cesserà di esistere. È quindi vitale per Tel Aviv riuscire in questa azione, ma sembra che al momento ci siano molteplici incertezze, sia interne che esterne.

In primis, perché “ripulire” la Striscia di Gaza dai miliziani di Hamas è possibile ma dispendioso, e dovendo poi in ogni caso terminare l’azione, le perdite sarebbero cospicue e la gran parte dei paesi, anche occidentali sostenitori di Israele, sono perlomeno scettici. Ma il governo di unità nazionale israeliano sa che - come detto sopra - la forza dello Stato di Israele si è sempre fondata sulla capacità e sulla efficacia delle sue rappresaglie. Dovessero venire meno, si aprirebbe per le varie milizie arabe e non solo, la certezza di un cedimento militare di Israele. Il segnale per Hamas e alleati che la strada delle ultime incursioni è quella giusta e quindi va ripercorsa su vasta scala.

Con questo scenario la condotta di una azione di terra definitiva nei confronti dell'organizzazione palestinese rimane l’unica scelta per il premier Netanyahu. La “bonifica” della Striscia di Gaza si inquadra così in una "normale" azione di combattimento nei centri abitati e in zone estese desertiche. Tale azione è possibile condurla anche in presenza della popolazione locale, ma con tempi più lunghi.

Essendo un'attività finalizzata primariamente all’ingaggio e distruzione del nemico e successivamente alla distruzione di mezzi e attrezzature, anche in presenza dei residenti locali, è necessario disporre di unità di fanteria leggera supportate da unità elicotteri per il supporto di fuoco ed il rapido dispiegamento. Tali unità debbono essere specializzate nel combattimento negli abitati e disporre di riserve adeguate, anche di Forze Speciali, per la risoluzione rapida di situazioni impreviste. Israele possiede tali assetti, ma forse non in quantità tali da consentire il raggiungimento dello scopo in tempi brevi.

I riservisti chiamati ad implementare gli organici delle Forze Armate non appartengono a truppe che hanno la capacità di condurre i tipi di azione richiesti; è forse, anche per questo, che l'IDF esita ad immergersi in una condotta di operazioni militari di questo tipo.

Va inoltre considerato che l’impiego dei riservisti si presume abbia una durata limitata nel tempo, qualche mese, non di anni nel caso la situazione degenerasse. Lo stesso “ombrello” americano è stato dispiegato in previsione di una rapida risoluzione della crisi. Va infine ricordato che che si sta parlando di guerra asimmetrica in un rettangolo di territorio limitatissimo, fra qualche migliaio di miliziani ed uno stato militarmente organizzato e tecnologicamente avanzato che dispone di risorse finanziarie praticamente inesauribili.

Non deve stupirci, anche se sono in molti a non essere d'accordo, se in Israele la rappresaglia e l'eliminazione a qualunque prezzo di Hamas siano vissute come l’unica discriminante fra la sicurezza o la minaccia immanente. Dura lex, sed lex, verrebbe da dire, sempre rispetto agli interessi di parte. Ma se non prende corpo una soluzione diplomatica che riporti i due popoli a riprendere il dialogo, riducendo gli attriti e marginalizzando il ricorso alla forza, a prevalere sarà sempre la lotta per la sopravvivenza. Con gli esiti cui assistiamo da diciannove giorni.



* Col. in Ausiliaria Esercito Italiano

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