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La forza di un pacifismo possibile in un mondo che genera guerre e odi

di Lanfranco Peyretti


Siamo tutti pacifisti, noi italiani, nel senso che siamo sempre a favore della pace e contrari alla guerra. Ci mancherebbe! Nessuno vuol passare per sanguinario. Poi, con lo sguardo alla guerra in corso non lontano da noi, gratta gratta, qualcuno tira fuori i distinguo, i però: deve essere raggiunta una “pace giusta” che purtroppo rende necessaria, fuori eufemismo, una “guerra giusta”, equivalente alla vecchia “guerra santa” da coronare con la vittoria. Quella dei “buoni”, naturalmente, sempreché i “cattivi” siano rassegnati ad essere sconfitti. E poi verrà la pace giusta. E così si dimentica che ormai nessuna guerra è giusta, tantomeno santa, se mai qualcuna è stata tale, perché tutte possono diventare estreme, globali, e, con migliaia di atomiche sparse in tutto il mondo, minacciare la sopravvivenza dell'umanità che poi non potrebbe godere alcuna pace...


Allora chi sono i pacifisti veri?

Quei certi italiani dai facili distinguo fotografano solo un pacifi­sta generico, che per loro è un ingenuo, un illuso o, per i più critici, un vile. E gli sbattono in faccia l’accusa (alludendo all’est): se un bruto maltratta un bambino, cosa fai? Sei pacifista sulla pelle degli altri! Così “pacifista” diventa un epiteto per incolparlo di imbelle inerzia, cinismo, inazione passiva e pavida. L’accusa si ammanta di valore etico ma colpisce un pacifismo assurdo che non esiste, che non ha sostenitori.

Per dissipare ogni equivoco raccogliamo l’insegnamento di due pacifisti/nonviolenti, due a caso, veri, Cristo (quello dell’altra guancia, ma pure della macina al collo) e Gandhi. Per loro è moralmente obbligatorio correre in soccorso del soggetto debole, indifeso e innocente direttamente minacciato di violenza. In una estrema situazione di urgenza e gravità vi deve ricorrere, se e come può, anche chi aborre l’uso della forza sentendone la negatività. Nella stessa logica di contrastare un male enorme è ammesso anche il tirannici­dio: Bonhoeffer partecipò all’attentato ad Hitler, disposto a pagare di persona in caso di fallimento, come fu.

A parte questo caso limite, è molto ampia la gamma delle situazioni in cui si può cercare sia a livello individuale che di collettività uno spiraglio o un varco per la nonviolenza, che tuttavia non è mai una passeggiata. Nella guerra, soprattutto, culmine della violenza. L’obiettore di coscienza, il disertore, pagano di persona, e anche chi li sostiene ha i suoi guai, come pure per esempio, chi fa obiezione fiscale alle spese militari. Chi pratica la nonviolenza mette sempre in conto di contraddire i comportamenti consueti, spesso obbligatori, e che è quasi sempre ardua e non indolore, sino all’eroismo del contadino Franz Jägerstätter. Peraltro non esistono schemi o formule per affrontare tutte le situazioni, ciascuna con le sue particolarità. In casi di aggressione a una comunità o a un popolo sono state realizzate con parziale o pieno successo forme di difesa escludenti l’uso delle stesse armi dell’aggressore: resistenza passiva, non collaborazione, sabotaggio, inganni, astuzie. Sono state pochissimo prese in considerazione dagli storici, ma ne esistono testimonianze significative.


La non violenza come correzione antropologica

Se la violenza sembra insita nell’uomo come impulso “naturale” utile nella giungla dove c’è competizione di forza tra specie, individui, tribù, per il cibo, per la propria prosecuzione biologica, ecc, la non-violenza diventa la scommessa di una correzione antropologica, cioè l’estirpare la nostra radice ferina sia a livello di singolo e sia nella gigantografia dei rapporti di potere tra stati. (Per Kant, in “Per una pace perpetua”, è il “ramo storto” correggibile con la ragione).

Calandoci ora nella situazione italiana di coinvolgimento indiretto (ma non troppo) nella guerra d’Ucraina, interessa vedere se il pacifismo nostrano, vero, ha delle chances per contribuire alla cessazione delle ostilità e poi al ristabilimento di una pace accettabile. Innanzitutto, posto che la verità nei conflitti è sempre la prima vittima all’interno di tutte le parti coinvolte, è compito essenziale di pace contrastare la menzogna propagandistica e il silenzio oscurante all’interno della nostra. La vulgata massicciamente dominante sui media da per indiscutibile, “senza se e senza ma”, la lettura dell’invasione dell’Ucraina applicando il paradigma bruto-bambino, nella pretesa forma di aggressore-aggredito, che pur era all’inizio la prima apparenza. È stata ripetuta e imposta dando l’ostracismo a ogni voce contraria con una specie di maccartismo all’italiana che supera quello già praticato all’epoca della strage di piazza Fontana (1969, per i più giovani), quando l'unico possibile colpevole era un anarchico. E non poteva essere altrimenti, pena l'accusa di favorire il terrorismo.


L'aggressione russa e i pregressi storici

Lo stato russo è stato detto aggressore in quanto stato in espansione, e l’invasione è stata presentata come un evento improvviso datato 24 febbraio 2022, avulso da antefatti storici e anche dal contesto geografico. La concatenazione degli eventi precedenti evidenzia invece un quadro diverso, se non contrario: al momento della riunificazione della Germania, alla Russia, che ne era inquieta non senza ragione, era stato solennemente promesso che la Nato non avrebbe spostato di un solo pollice il confine verso est. Invece, tradendo presto la promessa, la Nato ha inglobato via via tredici paesi che hanno circondato ad ovest ed a sud l’intero territorio russo e ha installato proprie basi al loro interno con missili puntati su Mosca. Domanda: si può parlare di espansionismo del Cremlino?[1]

E poi, anche se davvero la Russia avesse voluto espandersi, non ne avrebbe avuta la forza, come non ne ha ora, né economica, né militare. Infatti, vale come indice, alla caduta del Muro, nella popolazione era diminuita per povertà la durata media della vita. Per l’aspetto militare, da allora è rimasta indietro di venti anni nella tecnologia e nel livello di armamento rispetto allo schieramento occidentale (in USA investimenti diciassette volte superiori a quelli russi) soprattutto nella digitalizzazione dei dispositivi e nel controllo satellitare. Lo dicono i nostri militari di alto grado (le analisi su La Porta di Vetro del colonnello Michele Corrado[2] sono davvero preziose, in proposito) più attendibili dell'informazione generalista e dei politici. E alcuni generali russi se ne lamentano ora con Putin.

Guardiamo gli eventi. Dato che il confronto strategico di potere tra stati ha regole identiche a quelle di una partita a scacchi mondiale giocata cinicamente senza interruzione sulla pelle dei popoli, il giocatore Putin – superfluo soffermarsi a descrivere il personaggio – ha eseguito con l’invasione una truce mossa obbligata secondo le regole del gioco in reazione ai seguenti fatti: l’accerchiamento ostile, il colpo di stato del 2014 nell’Ucraina fomentato dall'esterno per abbattere un governo a lui amico, la determinazione della NATO a inglobarla già dichiarata e ripetuta più volte, le distruzioni e uccisioni di migliaia di persone nelle regioni russofone (si veda un documentario RAI 2 del 2016 e l’uccisione di un giornalista italiano), il mancato rispetto degli accordi di Minsk che stabilivano alcune garanzie di stabilità firmati dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dal presidente francese François Hollande e altri con la riserva mentale di non rispettarli (come hanno confessato), le ripetute minacciose manovre militari dell'Alleanza Atlantica ai confini marini e terrestri (”Brezza di Mare”, giugno-luglio 2021, “Rapid Trident”, settembre 2021).


Ucraina: uscire dalla logica del muro contro muro

Con ciò l’invasione è spiegabile ma non giustificabile. È stata una gravissima, irresponsabile e rilevante escalation militare, pur in un contesto già bellico, con forte innalzamento del livello del contrasto, del pericolo di coinvolgimento diretto di altri paesi e del rischio di ricorso all’arma atomica. Putin, sottovalutando la difficoltà dell’operazione, ha portato la stessa Russia in una trappola (preparatagli?) da cui non sa come uscire non potendo sperare in una piena vittoria militare né potendo rassegnarsi ad una sconfitta.

L’unica alternativa sarebbe stata e sarebbe ancora uscire dalla logica del contrasto perpetuo, cioè dalle regole della partita a scacchi strategica, e agganciare e trasferire in sede ONU gli sforzi di pace di soggetti dello schieramento occidentale fatti sia nei giorni immediatamente precedenti il 24 febbraio (Scholtz fa il tour delle tre capitali coinvolte) e sia nel marzo successivo (iniziativa israeliana dell’ex premier Bennet). Questi poggiavano sui principi di neutralità dell’Ucraina e dell’autodeterminazione nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, favorevoli a Mosca. Forse un’offensiva diplomatica del massimo livello sostenuta dai necessari compromessi anche sostanziosi avrebbe superato il veto di Washington che fece naufragare questi intenti avendo ormai deciso l’ingaggio militare per interposta Ucraina volto all’indebolimento (blood letting = dissanguamento) della Russia.[3]

Questa eterna nemica è per gli USA, sull’orlo di una crisi di nervi per il prossimo sorpasso economico da parte della Cina, un fastidioso inciampo nel previsto e alimentato contrasto strategico tra Occidente e Oriente. Contrasto che va ad arricchirsi di un allargamento del terreno di gioco: la imminente transitabilità dell’Artico in tutte le stagioni, proprio sotto il naso dei russi, a seguito del sempre più rapido scioglimento dei ghiacci. È nei rapporti strategici che emergono i contrasti di interesse, tanto da poter dire che la guerra è la prosecuzione dell’economia (non della diplomazia) con altri mezzi, come già rilevato, sempre su La Porta di Vetro, fin dai primi giorni di guerra, da Germana Tappero Merlo.[4]

Ma la grande informazione in Italia, soprattutto quella delle reti TV, che hanno influenza determinante sull’opinione pubblica, evita le analisi dei precedenti storici e presenta i fatti correnti quasi facendo sotto traccia il tifo per la vittoria militare dell’Ucraina, come se non fosse in corso una guerra, ma una partita di calcio internazionale. Dando così ulteriore respiro al famoso aforisma di Winston Churchill, secondo cui gli italiani "Fanno le guerre come se fossero partite di calcio. E le partite come se fossero delle guerre".


Oltre il contrasto alle menzogne e ai silenzi

Una difficile prova per il pacifismo italiano è l’invio di armi all’Ucraina, in corso e sotto possibile proseguimento alla fine dell’anno corrente. Lo vuole il governo (un componente ha lamentato che l’Italia spende troppo per il welfare e troppo poco per le armi) che conta anche sui tentennamenti di una parte dell’opposizione, mentre la maggioranza degli italiani è contraria. Ma è in piena violazione dell’art. 11 della Costituzione, già gravemente violato in diverse occasioni.

L’art. 11 è una norma di pacifismo di formidabile valore e chiarezza: l’invio di armi letali, munizioni, tecnologia militare, addestramento, in vendita o regalo, a un paese belligerante equivale all’intervento diretto; è cobelligeranza, è far guerra, che la Carta “ripudia”. Lo riserva e lo consente, come pure l’uso non partigiano della forza militare (per protezione dei civili, interposizione, ecc.), solo se all’interno di organizzazioni sovranazionali che abbiano per fine di assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni, dove si può leggere soltanto ONU e non Nato o altro. Fuori dal massimo consesso delle nazioni non è ammesso alcun intervento nemmeno come preteso contributo militare alla soluzione di contrasti o come pretesa ingerenza umanitaria.

Anche l’invio di armi cosiddette difensive (droni e missili di intercettazione, mitragliatrici e cannoni antiaerei) utili alla protezione di strutture e popolazioni civili è un aiuto di costituzionalità molto dubbia poiché è impossibile impedirne l’uso tattico a protezione di reparti e strutture militari, come pure l’uso direttamente offensivo (es. missili a lunga gittata). L’art. 11 non sospende il divieto nemmeno per la fornitura solo ad una parte di elmetti, giubbotti antiproiettile, apparecchi di sminamento, dotazioni in sé non offensive, sino a attrezzature mediche per ospedali militari, aiuti in sé umanitari, perché sono pur sempre strumenti di rinforzo e sostegno all’azione militare. Ovviamente resta non solo ammissibile, ma anche auspicabile, ogni aiuto umanitario alla popolazione civile (medicine, cibo, indumenti).

Il movimento pacifista, galassia imprecisa, ha la chance di appellarsi fortemente all’art. 11 almeno per reclamare che l’invio di armi pur contrario a esso non sia alla cieca, senza condizioni, senza avanzare progetti di pace. L’assenza di istanze, di proposte gioca negativamente anche in un’Europa che ha abdicato alla missione storica di pace e concordia che i Padri fondatori avevano sognato e impostato e si è resa vassalla degli interessi di oltreatlantico non coincidenti con i propri. La progressiva escalation degli armamenti da entrambe le parti alla ricerca di una impossibile vittoria non può che portare, nel caso che prevalga la Russia, a un impegno diretto di tutti i paesi Nato, ciò che significherebbe incendiare l’Europa e non solo, o, nel caso opposto, alla decisione della Russia di ricorrere a un gesto estremo. Infatti è come una zatterona impacciata ma inaffondabile; ferirla profon­da­mente e umiliarla vuol dire indurla all’uso dell’atomica, come è stato denunciato da La Porta di Vetro dall'inizio del conflitto, senza minimizzare la decisione di invadere l'Ucraina.[5]


Sventolare la bandiera dell'art. 11 della Costituzione

Le chances del pacifismo sono poche, ma non nulle. Per il movimento pacifista, quale che sia, escludendo l’interposizione fisica nei teatri di battaglia perché impraticabile, i due filoni principali di impegno sono nella fase attuale diffondere tutta la possibile controinformazione a contrasto della parziale e unilaterale e ostacolare il più possibile, sulla base dell’art. 11 della Costituzione, il proseguimento dell’invio di armi. Ottimo esempio, in altro contesto, è il rifiuto dei portuali di Genova di imbarcare sulle “navi della morte” saudite armi prodotte in Italia da aziende straniere. Potrebbe accadere anche per treni diretti in Ucraina?[6]

Restano perseguibili altri singoli obiettivi quali per es. la difesa degli obiettori di coscienza di entrambe le parti, la condanna dei crimini di guerra cioè delle azioni più efferate all’interno dell’enorme crimine guerra, contrastandone la strumentale attribuzione unilaterale e invece diffondendo le denunce imparziali come quelle di Amnesty International.

L’impegno pacifista personale si riassume nel documentarsi, svelare ciò che viene nascosto, ragionare con onesta intelligenza sottraendosi al conformismo, capire, parlare anche con chi si incontra per strada o sull’autobus, scrivere, confrontarsi, aderire ad ogni buona iniziativa pro pace, mettere la faccia in piazza quando occorre. Spesso ciò può attirare l’accusa senza appello di essere “amico di Putin” (attenti anche a chie­dere al droghiere una vaschetta di insalata russa!) ed incontrare il rifiuto del confronto di idee.


Note

[3] Sulla influenza del complesso militare-industriale degli Usa si veda il recente: https://www.laportadivetro.com/post/pensieri-dopo-vilnius-guerra-fredda-e-voglia-di-pace-nell-azione-di-j-f-kennedy







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