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L'addio a Salvo Vitale, memoria storica di Peppino Impastato

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  • 1 giorno fa
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Aggiornamento: 1 giorno fa

di Vice


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Lo dico a tutti, amici, nemici, parenti, estranei ecc: non perdete tempo a dibattere, a replicare, a commentare, con chi la pensa diversamente da voi e non è disposto ad ammettere che può anche sbagliare. Non mettetevi dietro a chi se ne sta “seduto sul canestro”, come se si trattasse di un re sul trono, a chi, per dirla ancora in siciliano, “si sente un cazzu e mezzu”.  Non c’è nulla da fare. Non riuscirete mai a convincerlo, soprattutto se ci sono in mezzo pregiudizi emotivi e personali. La chiusura mentale, anche solo su alcune cose, è tale che qualsiasi tentativo di condurre il discorso su un piano dialettico, è inutile.

A fine giugno, Salvo Vitale, fondatore e per anni presidente dell'Associazione Culturale Peppino Impastato di Cinisi,[1] si rivolgeva così ai lettori del suo sito www.ilcompagno.it/, usando l'abituale arma del sarcasmo fin dal titolo Consiglio per immunizzarsi degli stronzi (S.V.), arma vestita dalla serietà delle argomentazioni proposte per il tema, estremamente complesso e serio, che ha attraversato la sua intera esistenza, terminata martedì scorso: quello del rapporto con il prossimo. In questo, Salvo Vitale è stato un maestro, un autentico insegnante, e non soltanto nella sua dimensione professionale che lo ha visto dietro a una cattedra per decenni, prima ancora che un poeta, uno scrittore, un militante dell'antimafia, condizione vissuta nel perenne impegno per mantenere la memoria di Peppino Impastato.

La sua vita, infatti, è stata legata a doppio filo a quella di Peppino Impastato, l'amico e compagno ucciso da Cosa Nostra a Cinisi, in provincia di Palermo, il 9 maggio del 1978 per volontà del mafioso Gaetano Badalamenti, lo stesso giorno del ritrovamento del cadavere del presidente della Dc Aldo Moro a Roma, ucciso dalle Brigate Rosse. Un filo mai spezzato, che nel 1995 si raccolse nel libro Nel cuore dei coralli, una biografia di Peppino Impastato da cui è derivata la sceneggiatura del film I cento passi di Marco Tullio Giordana, in cui Vitale è interpretato da Claudio Gioè, figura espressiva di quella coralità politica che fu di quegli anni e che portò quel gruppo di giovani militanti della sinistra extraparlamentare Cinisi a fondare nel 1977 Radio Aut, una "spina nel fianco" della mafia di Cinisi e di Terrasini, e dei suoi complici e accoliti.

Di quell'esperienza inedita di una delle prime emittenti libere in Sicilia, Peppino Impastato e Salvo Vitale furono l'anima. Giovanni Impastato, fratello di Peppino, nel suo libro Resistere a Mafiopoli, descrive quella stagione come punteggiata da autentici lampi di genio:

La novità assoluta delle trasmissioni era l'ironia pungente... Agli occhi e alle orecchie di chi ascoltava i [suoi] programmi, i mafiosi non avevano più l'aspetto di feroci criminali, ma quello di caricature delle quali potevi e dovevi anche ridere... Sandro Vitale racconta che una delle più note trasmissioni il cui titolo era per l'appunto "Western a Mafiopoli", nacque dall'ascolto di una musicassetta di colonne sonore di Ennio Moricone tratte dai film di Sergio Leone. Su quelle musiche Tano Seduto (il soprannome con cui veniva bersagliato Gaetano Badalamenti N.d.R.), il grande capo, pilotava con il suo fare violento e minaccioso la commissione edilizia del comune di Cinisi con spari di proiettili che tagliavano l'aria della piazza del paese, nella quale Badalamenti si aggirava come uno "sparviero" in attesa della resa dei conti.

Una resa dei conti arrivata anche per Gaetano Badalamenti nel penitenziario di Devens nel Massachusetts, dove è morto il 29 aprile del 2004. Due anni prima, era stato condannato all'ergastolo dalla magistratura italiana come mandante dell'omicidio di Peppino Impastato. Con estrema lentezza, superando innumerevoli ostacoli e depistaggi, la verità era entrata dalla porta principale nelle aule di un tribunale. La determinazione della famiglia Impastato e degli amici di Peppino, tra cui Salvo Vitale, che mai si erano rassegnati alle ricostruzioni di comodo propinate inizialmente dagli inquirenti, aveva vinto la sua battaglia civica, morale e politica.

Alla memoria di Peppino Impastato, Salvo Vitale consegnò questa sorta di epitaffio: «Purtroppo si diventa eroi dopo che si è morti a seguito della coerenza con le proprie idee e del proprio lavoro svolto nella società. Sono dell'avviso che non ci siano eroi, ma uomini normali, che si sono trovati a vivere accanto a chi questa normalità l'ha stravolta con il ricorso alla violenza»


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