L'Intelligenza artificiale e il dominio sul lavoro
- La Porta di Vetro
- 16 ore fa
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Ultimo appuntamento del 2025, lunedì 15 dicembre, per il ciclo promosso dalla Porta di Vetro sull'Intelligenza artificiale.[1] In questo incontro, cui parteciperanno in dialogo tra di loro Igor Piotto, della Camera del Lavoro di Torino, e Maria Grazia Cavallo, avvocata penalista, si terrà come di consueto alle 18, nella sala di SocialFare, in via Maria Vittoria 38, si affronterà uno dei temi più delicato in assoluto dall'apparizione dell'IA: le ricadute sull'attività lavorativa. Ricadute che si possono classificare su due ordini di valutazione: quelle reali e quelle prospettate. Su queste ultime si addensano i timori maggiori cui concorrono proprio i principali investitori che descrivono scenari poco rassicuranti per le generazioni future, almeno in prima battuta. Tuttavia, si tratta di dati ambivalenti, perché la contrazione dei posti di lavoro sarebbe compensata dalla creazione di nuovi. Lo assicura, per esempio, il World Economic Forum (WEF), che stima entro il 2030 la perdita di 85 milioni di posti contro l'ingresso nel mercato del lavoro di 97 milioni.
Se si affronta il rapporto tra IA e occupazione, la funzionalità AI Overview offre questa risposta: "I settori più a rischio sono quelli amministrativi, manifatturieri, dei trasporti e del servizio clienti, mentre cresceranno ruoli legati all'IA, alla tecnologia e alla creatività, richiedendo una forte riqualificazione professionale (reskilling) e nuovi sistemi di protezione sociale per gestire la transizione".
In un articolo on line del 6 novembre il quotidiano Avvenire ha ripreso un'indagine di LiveCareer (una piattaforma online che fornisce strumenti e risorse per la ricerca di lavoro e lo sviluppo della carriera), che nel sottolineare la velocità senza precedenti con cui l'Ia sta ridisegnando il mercato del lavoro, "spostando il confine tra mansioni umane e compiti automatizzati", ha identificato dieci professioni specifiche ad alto rischio di sostituzione. Scrive Avvenire: "l'indagine, intitolata "Dieci lavori che saranno sostituiti dall’Ia", va oltre la teoria, analizzando nel dettaglio perché ruoli come addetti all'inserimento dati, operatori di telemarketing, contabili e rappresentanti del servizio clienti sono particolarmente vulnerabili all'automazione. La causa principale risiede nella natura ripetitiva e basata su schemi predefiniti di queste mansioni, che i moderni sistemi di IA possono ora eseguire con maggiore con maggiore velocità, precisione e a costi inferiori". L'analisi accoglie anche le stime della Banca d'Italia, secondo cui circa 4,75 milioni di lavoratori in Italia siano altamente esposti al rischio di sostituzione. Uno scenario è aggravato dal ritardo del Paese nell'adozione dell'Ia, posizionandosi solo al 25esimo posto nel "Government AI Readiness Index 2024".
In questo carrellata di titoli e commenti che si affastellano sul complicato e controverso rapporto tra IA e lavoro, l'attenzione non può non cadere su Il Sole 24 ORE, se non altro per l'originale incipit con cui si è aperto l'articolo on line del 15 ottobre scorso [3], che merita di essere riportato integralmente:
Immagina un grande carosello. Su ogni seggiola c’è un mestiere. Ogni tanto, un’intelligenza artificiale si avvicina e prova a sedersi al posto del lavoratore. Se la seggiola è esposta – perché i compiti sono ripetibili, testuali, prevedibili – l’IA potrebbe riuscirci. Se invece quel mestiere vive di contatto umano, di decisioni improvvise o di mani che sporcano la realtà, la seggiola resta occupata.
Nello specifico, scendendo nei dettagli, l'articolo osserva che da uno studio di Microsoft Research riportato da Visual Capitalist, emerge che l'IA sia "già in grado di replicare una parte rilevante delle attività svolte in molti mestieri cognitivi" e che nella classifica dei quaranta lavori più “esposti” "compaiono figure come interpreti, traduttori, redattori, storici, addetti al customer service, sviluppatori web, analisti di dati, venditori e relatori pubblici". Categorie il cui rischio è stato evidenziato sia da Bruno Geraci, giornalista e scrittore, autore de Intelligenza artificiale. Possibilità infinite, rischi enormi, lo scorso 17 novembre, nel primo degli incontri promossi dalla Porta di Vetro[4], sia dal sociologo Sergio Scamuzzi [5]. E lunedì prossimo con Igor Piotto si entrerà anche nel cuore del problema che investe le rappresentanze dei lavoratori e con Maria Grazia Cavallo nell'affrontare i rischi (o i vantaggi) che corrono gli Ordini professionali.
Note
[1]Il penultimo incontro dal titolo "Intelligenza artificiale, quale impatto sui giovani?" si è svolto lo scorso 1° dicembre, ospiti don Domenico Cravero, parroco della chiesa di Santa Maria di Poirino, e la giornalista Marina Lomunno, de La Voce e Il Tempo. in https://www.laportadivetro.com/post/l-appuntamento-di-oggi-alle-18-l-ia-incontra-gli-adolescenti
A dare corpo alla riflessione è don Domenico Cravero, parroco della chiesa di Santa Maria di Poirino, in dialogo con la giornalista Marina Lomunno de La Voce e Il Tempo. L'appuntamento, come nei precedenti, si terrà dalle 18 alle 20, presso la sala SocialFare di via Maria Vittoria 38, a Torino.
L'analisi di Sergio Scamuzzi nell'incontro di lunedì scorso
In proposito, lunedì scorso, 24 novembre, è stata la volta Sergio Scamuzzi, professore di sociologia economica presso l’Università di Torino. L’argomento trattato, insieme con Ferruccio Marengo, è stato quello dei possibili effetti dell’intelligenza artificiale su lavoro e produzione in rapporto non a un soggetto, ma a uno strumento, perché di ciò si tratta, che sulla base di procedure (algoritmi) e microprocessori è in grado di cercare, elaborare, e assiemare, a grandissima velocità, un numero enorme di informazioni.
L’intelligenza artificiale non ‘comprende’ nulla, ha precisato Scamuzzi, nel senso che noi diamo a questo termine, neppure le stesse informazioni che elabora e trasmette. È ‘conservativa’, non ‘inventa’ nulla, si limita a ricercare e sistematizzare ciò che già esiste. Per quale ragione e a che scopo fa tutto ciò dipende da noi. Le modalità e i risultati che ci rimanda dipendono dalla struttura degli algoritmi, ha ricordato ancora Scamuzzi, che i suoi progettisti hanno disegnato e implementato. In altre parole, l’intelligenza artificiale non è ‘umana’. Subculture come quella del ‘transumanesimo’, che individua l’intelligenza artificiale come mezzo per superare le ‘carenze’ dell’uomo (generando una sorta di super-uomo) sono utopie fantastiche, quando non semplici operazioni di marketing volte ad accrescere, nella percezione di più, il potere di chi tiene oggi in mano le chiavi di questa tecnologia.
Lo sguardo sul mercato del lavoro
Non c’è dubbio, d’altro canto, che le applicazioni dell’intelligenza artificiale cambieranno i nostri modi di lavorare e produrre. In quale direzione andranno questi cambiamenti non dipenderà da una sorta di determinismo tecnologico, già impresso dei circuiti dei microchip e nelle stringhe di programma; ma dall’azione e dalle scelte, individuali e collettive, che riusciremo a imporre. Così come per altre tecnologie – si pensi, ad esempio, alla robotica – l’intelligenza artificiale potrà essere utilizzata per liberare i lavoratori da molte delle attività più faticose, ripetitive o pericolose; potrà permettere loro di condividere un numero maggiore di informazioni, d’interagire con un numero maggiore di interlocutori, di esercitare un più ampio controllo sul processo di trasformazione.
Potrà, per contro, è l'analisi di Scamuzzi, inaugurare la stagione di un nuovo taylorismo, connotato da un impoverimento dei contenuti del lavoro, da una più rigida limitazione del grado di libertà del singolo lavoratore, da un irrigidimento delle strutture gerarchiche e di controllo. Uno scenario analogo si prospetta per il mercato del lavoro. L’intelligenza artificiale modificherà alcuni lavori, altri li renderà inutili. Assisteremo inevitabilmente a una contrazione degli occupati? Andremo verso un’ulteriore polarizzazione del mercato del lavoro, con una minoranza di lavori ‘pregiati’ e una maggioranza di lavori poveri e sempre più precari? Potremo, al contrario, lavorare tutti in po’ di meno, grazie a un equo sistema di distribuzione del lavoro e della ricchezza. Francamente non sembra che questa seconda opzione la si possa attuare assecondando le tendenze oggi prevalenti, con tutta evidenza orientate a favorire la concentrazione. Ci aspettano tempi impegnativi.













































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