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"Il silenzio è di altri, ma in Consiglio è stata battaglia per bloccare l'aumento dell'Irpef"

Piemonte: a proposito del provvedimento varato dalla Giunta Cirio


di Laura Pompeo


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Dopo giorni di lavori serrati, il 4 agosto scorso il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza l'aumento dell'addizionale regionale Irpef proposto dalla Giunta Cirio. Si tratta di una misura iniqua, che grava su lavoratori, pensionati e famiglie, colpendo ancora una volta il ceto medio. La Giunta regionale guidata da Alberto Cirio ha infatti approvato sia il rendiconto del bilancio 2024, sia l'assestamento 2025. In particolare, il bilancio consuntivo 2024 ha chiuso in rosso: un disavanzo di oltre 1 miliardo di euro, aggravando una situazione che affonda le radici nei 10 miliardi di buco lasciati dalla giunta Cota. Da allora, la Regione è vincolata a un piano di rientro trentennale che obbliga a mantenere alta la pressione fiscale. Tutto ciò mentre il centro destra ciclicamente e scorrettamente gioca a attribuirne la responsabilità al governo Chiamparino.

Si tratta di provvedimenti di grande rilievo, discussi in Consiglio regionale in piena estate, a cui i principali media, e l'articolo di Anna Paschero su questo sito ha avuto il merito di metterlo in evidenza [1], non hanno dato il giusto risalto e di cui, soprattutto, non hanno sottolineato a sufficienza la  gravità.

Eppure, a Palazzo Lascaris, a cavallo tra fine luglio e inizio agosto, si è consumato un confronto politico acceso, dove il silenzio non è stato affatto protagonista: la minoranza di centrosinistra, con il PD in prima linea, insieme a M5S, AVS e Stati Uniti d'Europa, su questi temi ha dato vita alla prima azione di ostruzionismo in Commissione bilancio, un fatto inedito nella storia del Consiglio piemontese, peraltro rilevato da questo sito.[2]

Al centro della contesa c'è stata appunto la manovra IRPEF, che scatterà dal 1° gennaio 2026. Si tratta di un'imposta che i cittadini faticano a percepire direttamente, ma che inciderà fino a 106 euro in più all'anno per i redditi compresi tra i 15.000 e i 50.000 euro. La giunta Cirio ha spiegato la scelta con la riforma fiscale nazionale - che vede il passaggio da quattro a tre scaglioni - varata dal Governo Meloni, che per il Piemonte comporta una perdita stimata di 150 milioni di euro. Una giustificazione insostenibile e paradossale, giacché si tratta di una decisione presa all'interno dello stesso schieramento politico per una cifra relativamente modesta, se rapportata all'intero bilancio regionale, che si sarebbe potuta recuperare intervenendo in altri settori, senza colpire lavoratori e pensionati e conservare un minimo di equilibrio fiscale. Aggiungerei anche di conservare un minimo di coerenza politica, cioè quella di non tradire le promesse elettorali, se non fossimo abituati ad osservare che nel campo delle disattese, al di là della quotidiana propaganda, il centro destra è da premio Oscar...

Ora, ritornando al silenzio che ha contrassegnato il comportamento più in generale dei media, andrebbe ricordato per onestà intellettuale che la minoranza non si è limitata a contestare la misura, ma ha messo in campo un vero e proprio ostruzionismo di contenuto, presentando emendamenti e proposte alternative. E non da poco. Tra queste, un adeguamento delle tariffe per le concessioni estrattive e idriche sul modello di Lombardia e Veneto; l'aumento dell’IRAP per le grandi società dell'e-commerce e della logistica; una lotta seria all’evasione. In altre parole, principalmente spostando il peso fiscale verso i grandi gruppi economici anziché sul ceto medio, già provato da stipendi fermi da decenni e dal calo del potere d'acquisto del denaro.

Il confronto è stato tutt'altro che trascurabile. In Commissione bilancio, si è discusso senza sosta su centinaia e centinaia di emendamenti analizzati uno a uno. Scene insolite che hanno dato voce a una battaglia politica che la maggioranza avrebbe preferito archiviare in fretta. Non a caso, l'approvazione è stata volutamente collocata - e accelerata - in pieno agosto, attraverso sedute notturne e straordinarie - persino di sabato - proprio nel tentativo di ridurre la visibilità di un provvedimento così impattante. 

Non solo: contraddittoriamente, nelle stesse settimane la Giunta Cirio ha lanciato misure che suonavano come un tentativo di distrarre dall’aumento IRPEF.  Dunque, questa Amministrazione con una mano offre, con l'altra preleva. Tant’è che l'aumento è stato introdotto con un emendamento presentato all'ultimo, senza un confronto con il Consiglio e con l’opinione pubblica. Alla fine, il Ddl 93 è arrivato in Aula. La discussione si è svolta in assenza del presidente Cirio, che ha fatto la sua comparsa soltanto al momento del voto. Noblesse oblige.

Particolarmente grave è stata la promessa della maggioranza di annullare l'aumento nel 2028: un impegno privo di fondamento, poiché sarà un altro Consiglio regionale a dover discutere il bilancio di quell'anno. A maggior ragione se, come appare ormai evidente, Cirio intende lasciare la presidenza prima della fine del mandato per candidarsi alle elezioni politiche.

La vicenda dell'IRPEF piemontese dimostra che la politica regionale non è fatta di bilanci tecnici e numeri astratti: dietro i conti, ci sono scelte politiche. Ma il Piemonte merita una guida presente, responsabile e trasparente. La minoranza è stata determinata, non solo nel merito ma anche nel metodo verso questa scelta irresponsabile, convinta che l'aumento dell'IRPEF rappresenti un grave errore politico, economico e sociale, che scarica sui cittadini le contraddizioni di una maggioranza sempre più lontana dai reali bisogni della comunità.

Dunque, rispetto a quello che accade in Piemonte, è bene ristabilire se non una verità storica, almeno una cronaca corretta, cioè l'unità e la determinazione delle opposizioni nel fare udire forte la loro voce, dando battaglia genuina per non avallare nel silenzio l'ennesimo provvedimento controverso del Governo Cirio. Ora tocca ai piemontesi comprenderne appieno il significato e le conseguenze.


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