Osservando i nostri tempi
- Domenico Cravero
- 10 ore fa
- Tempo di lettura: 3 min
I figli del nostro desiderio
di Domenico Cravero

I bambini, per la maggior parte almeno nella società occidentale, oggi vengono al mondo perché i genitori li hanno desiderati e ricercati e quando mamma e papà li vogliono. I nuovi nati sono sempre meno figli della natura o della Provvidenza e sempre più “figli del desiderio” (M. Gauchet), generati secondo il “programma” dei loro genitori. Gli adulti sviluppano così la fastidiosa tendenza a proiettarsi e a vedersi in loro. Nella caduta dei valori e nella perdita del sapere prodotta dalla società del controllo, il bambino diventa il valorizzatore dei genitori. Per crescere non c’è più bisogno di lasciare la famiglia, non è più necessario separarsi dai genitori.
Un nuovo patto intergenerazionale
I figli sono risparmiati dal dolore della rottura famigliare. Si stabilisce un patto intergenerazionale e familiare del tutto nuovo. Fino all’ultimo, finché possibile, madri e padri vogliono accompagnare l’evoluzione del loro figlio, i cui desideri considerano del tutto connaturali ai loro. Desiderano a tal punto la felicità dei loro figli che smettono di chiedersi qual è la vita che realmente i figli vivono e quali sono le loro vere aspirazioni. Gli adulti vogliono vedere solo la sua gioia di vivere, interpretata però secondo il proprio sentire. Si genera uno scombussolamento di valori e di costumi. Sembra si stia andando socialmente verso una condizione psichica di adolescenza illimitata, dove le difese narcisistiche suppliscono alle mancanze di elaborazione psichica. La preparazione alla responsabilità (l’adolescenza) è posta così sotto il segno dell’irresponsabilità. Tony Anatrella ha coniato il neologismo di “adulescenza” per indicare una società che favorisce l’infantilismo, operando una drastica semplificazione ai tradizionali compiti dello sviluppo da raggiungere senza sforzo e senza rinuncia.
S’innesca una corsa sfrenata alla “perfezione”, guidata dalla concezione scientifica dell’”educazione”, dove i genitori mettono alla prova se stessi. Il bambino-progetto rimanda quindi a una madre “perfetta”, dove la maternità diventa realizzazione personale. Nel cambiamento radicale del tempo attuale, nella crisi profonda dei riferimenti etici e religiosi, le coppie genitoriali non hanno più le medesime motivazioni di un tempo per il loro comune progetto di vita. Non intendono più l’amore alla stessa maniera; non hanno, quindi, più lo stesso modo di accogliere la vita e di educare. Appartiene alla genitorialità sia l’attaccamento sia la separazione: il primo oggi diventa insicuro, la seconda sempre più difficile. La famiglia è uno spazio generativo solo se genera all’autonomia, realizzando in forme via via sempre più piene l’indicazione suggerita da Donald Winnicott: “Home is where we start from”. Essere genitori significa amare il proprio bambino perché giunga a lasciarli. Il modo maturo per aiutare il figlio è assumere il proprio status di genitore, riconciliandosi con la finitudine dell’esistenza, con la morte, per lasciarlo progredire nel suo progetto secondo la sua personale vocazione.
Il seme della violenza nell'adolescenza
Il figlio del desiderio è il simbolo vivente della trasformazione dei legami famigliari. È il bambino che fa la famiglia. Il bambino è il figlio di un desiderio privato, di una famiglia de-istituzionalizzata, di una coppia “intimizzata”. Non si chiede più alla famiglia di produrre il legame sociale, che nella società artificiale non conta più come dispositivo simbolico della società. Il nuovo costume genitoriale e la diffusa crisi dell’educazione danno ragione del diffondersi della problematica narcisistica, come si manifesta nella difficoltà all’autonomia personale, nel ricorso dell’agito violento e nella predominanza del corporeo e della realtà concreta. Nella condizione di limite dei ragazzi problematici, si vive in un mondo concreto dove tutto quello che è deve essere consumabile subito. I ragazzi violenti si sorprendono quando tutto non è loro immediatamente dovuto. L’amara presa di coscienza del piano di realtà scatena la rabbia con la quale essi pretendono come loro diritto di vivere senza soluzione di continuità nel principio del piacere. Nella ferita narcisistica è subito evidente la reazione: “Tutto è riferito a me, quindi tu non puoi permetterti di non realizzare i miei desideri”. L’ostinazione e la prevedibilità dei loro comportamenti li fa apparire come ingestibili e incurabili. I ragazzi violenti vivono una specifica percezione della realtà, che non è quella del nevrotico (la rimozione) o dello psicotico (la dissociazione); consiste piuttosto nell’agito incontrollabile.













































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