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Per passione, non solo musica e parole...

Fuori dalla nostra comfort zone con Marracash

a cura del Baccelliere


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Canzoni tristi ce ne sono di nuove e meno nuove. Una di queste, È finita la pace di Marracash[1], è stata pubblicata quasi un anno fa, nel dicembre 2024 insieme all’album omonimo. La si ascolta spesso in radio in questi giorni e contiene più di una ragione di sofferta verità. E di passione. Marracash, al secolo Fabio Bartolo Rizzo, siciliano di nascita, milanese d'adozione, ricorre al campionamento di una canzone di Ivan Graziani, Firenze (canzone triste).

Ivan Graziani avrebbe compiuto ottant’anni lo scorso ottobre. Se n’è andato per un tumore a gennaio del 1997. Aveva una poetica molto particolare. Diverso da un quasi coetaneo come Roberto Vecchioni, molto più letterario di lui, ma anche da autori coevi più orientati alla parte musicale come Lucio Dalla o Lucio Battisti. Amava la chitarra. Suonava l’acustica e l’elettrica ed era un rocker.

Era nato in Abruzzo, a Teramo, e gli piaceva raccontare di essere stato concepito su un traghetto per le isole Tremiti - “sono figlio di una compagnia di navigazione” diceva in qualche intervista. Aveva studiato all’Accademia di Belle Arti e gli piaceva dipingere e disegnare. Le sue canzoni raccontano storie, bozzetti in equilibrio fra ironia e malinconia. Graffiava[2] e un momento dopo accarezzava[3]. Un acrobata.

Per queste ragioni la scelta di Marracash di campionare la sua canzone[4] stupisce poco. Firenze potrebbe essere un film di Truffaut. Gli ingredienti ci sono tutti: un amore alla fine, una donna complessa e sfuggente e un uomo fragile. L’apoteosi di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Ascoltandola potremmo vedere comparire da un momento all’altro Catherine Deneuve o Jeanne Moreau.

Di qui il ritornello e l’infinita tristezza cantata da Graziani. Tristezza che ci riporta a Marracash. La sua è una tristezza più cruda, legata alla consapevolezza di sé e agli incastri sociali, mentre si muove fra conflitti e tensioni, personali e collettivi. Il linguaggio è diretto, pieno di metafore sofferte - da rapper, anche se Marracash non è pienamente ascrivibile alla categoria[5]. Ci regala un affresco contemporaneo delle nostre cadute, reali o metaforiche. Cita il dramma di Gaza e il vuoto pneumatico di Temptation Island, in un accostamento tragicamente sarcastico. Un film anche il suo, ma forse la regia andrebbe affidata al Matteo Garrone di Gomorra.

Nutrita di una rabbia che fa riflettere, è una dimostrazione di come il pop sia ancora in grado di colpire in profondità e di portarci fuori dalla nostra comfort zone.


Note

[5] ”l’eterna lotta fra il beh e il mah”.

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