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"Caso Shahin, l'Italia non proceda con la sua espulsione"

di Valentino Castellani*


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La cronaca ci impone di ricordare che ieri l'altro, martedì 2 dicembre, il parlamentare Marco Grimaldi di Avs, ha accusato il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi di avere mentito sulla vicenda che ha investito come un uragano Mohamed Shahin, imam della Moschea di via Saluzzo 18 a Torino, da vent'anni in Italia.

Nel suo intervento alla Camera, Grimaldi ha definito "famigerate" le dichiarazioni sul religioso islamico e ha sottolineato che già il 16 ottobre scorso, la Procura di Torino aveva ricevuto una annotazione della Digos, nello specifico il fascicolo, modello 45 del registro, che equivale a "fatti non costituenti reato". Di conseguenza, i magistrati avevano archiviato il procedimento, perché espressione di pensiero che non integra estremi di reato.

Ma se Shahin non è mai stato indagato per quel fatto, si è chiesto il parlamentare di AVS, perché nel decreto di espulsione a firma Matteo Piantedosi, c'è scritto che era aperto quel procedimento? Il ministro non sapeva, si è chiesto ancora Grimaldi? Morale. Piantedosi ha adottato un provvedimento così grave senza una seria istruttoria. La verità, ha concluso Grimaldi, che come su al-Masri, il ministro ha mentito. Siamo al punto di espellere qualcuno dal Paese per pura volontà politica rafforzando il provvedimento, richiamando indagini chiuse e archiviate. Archiviazione, secondo Grimaldi, di cui il giudice, nell'udienza di convalida, non era a conoscenza. Sul caso Shahin, interviene Valentino Castellani, Presidente del Comitato interfedi di Torino.

La Porta di Vetro


Ci sono  stati sconcerto e turbamento nella comunità cittadina nell’apprendere la notizia dell’arresto di Mohamed Shahin, imam della moschea di via Saluzzo, tradotto nel CPR di Caltanissetta per dar corso alla sua eventuale espulsione dal nostro paese.

Sconcerto per le modalità con cui la vicenda ha preso avvio: una interrogazione parlamentare di un’esponente della destra che ha inevitabilmente consegnato il fatto alla strumentalizzazione politica ed alle polemiche di parte che non aiutano ad entrare nel merito, ma alimentano soltanto la polarizzazione delle rispettive posizioni. Tanto più che le prime notizie di stampa sembravano motivare il provvedimento con riferimento ad una dichiarazione pubblica dell’imam sull’eccidio del 7 ottobre, una dichiarazione deplorevole per la sua ambiguità, (poi per la verità corretta e ridimensionata da lui stesso), ma che ha giustamente fatto insorgere quanti hanno visto nel provvedimento del Ministro  una possibile violazione del diritto costituzionale alla libertà di opinione.

Ma anche un turbamento sincero, perché le dichiarazioni di molti autorevoli esponenti della società civile confliggono con la notizia che i mezzi di informazione riportano sulla convalida del procedimento da parte della magistratura. Le prime infatti parlano di un “lavoratore incensurato, riferimento per la sua comunità ed interlocutore del dialogo inter-religioso” in una moschea che “come la maggior parte dei centri culturali islamici della Città di Torino è sempre stata aperta e collaborativa, ospitando iniziative che hanno coinvolto tutte le comunità, laiche e religiose, testimoniando concretamente,  giorno dopo giorno, l'impegno sincero della sua direzione, dell'imam e di tutti i fedeli nel senso del rispetto delle leggi, della pace e della cooperazione civile e interculturale.” Per contro, la convalida del procedimento di espulsione contesterebbe all’arrestato un «ruolo di rilievo in ambienti dell’Islam radicale», anche in ragione dei contatti con soggetti noti per posizioni estremiste,

Non è dunque facile entrare nel merito specifico di questa triste vicenda, né farsene un giudizio totalmente fondato su dati certi di conoscenza. Ciò che va assolutamente evitato è di alimentare le contrapposizioni a priori che poco giovano ad una persona che rappresenta anche un caso umano cui si deve massimo rispetto. Coloro che lo usano per motivare inqualificabili atti di violenza come l’assalto ai danni della sede de La Stampa si autoescludono dalla comunità civile della nostra città.

Torino è infatti una comunità inclusiva che ha fatto del rispetto dei principi della Costituzione e del metodo del dialogo la sua cifra di identità. Non è quindi un caso se nel recente passato la Costituzione è stata oggetto di riflessione ed incontri in alcune moschee, tra le quali anche quella di via Saluzzo. E non è neppure un caso se nel luglio scorso, di fronte alla catastrofe umanitaria che il conflitto nella striscia di Gaza stava provocando, con migliaia di palestinesi al limite della sopravvivenza a causa della carestia di cibo, è nato il “Tavolo della Speranza”, i cui partecipanti, sia religiosi (cristiani, mussulmani ed ebrei) che laici, hanno deciso di “assumersi la responsabilità di superare le contrapposizioni storiche andando alla radice del messaggio salvifico delle rispettive fedi in una città che vanta una lunga tradizione, culturale ed istituzionale, di promozione del dialogo interreligioso come mezzo imprescindibile per la realizzazione di una società giusta ed inclusiva.”

Tornando al caso di Mohamed Shahin, nello spirito del “Tavolo della speranza” ed anche in considerazione del fatto che un suo ritorno in Egitto rappresenterebbe un rischio serio legato alla sua posizione di oppositore del regime di Al-Sisi, sarebbe davvero auspicabile che per motivi umanitari la sua espulsione non avesse corso. Si accoglierebbe così anche la legittima preoccupazione della famiglia e si darebbe credito alle attestazioni di stima che gli sono arrivate dalla comunità nella quale è vissuto per vent’anni.

*Presidente del Comitato Interfedi

 


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