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Il 25 luglio 1943. Busti, quadri, pennacchi: quando il Fascismo volò giù dai balconi


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"Sua Maestà il re e imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di capo del governo, primo ministro segretario di Stato, di sua Eccellenza il cavaliere Benito Mussolini, ed ha nominato capo del governo, primo ministro segretario di Stato, il maresciallo d'Italia Pietro Badoglio". Sono le 22,45 di domenica 25 luglio 1943, quando l'annunciatore dell'EIAR ha annunciato l'esautoramento del fascismo. Una pausa prima della tradizionale chiusura: "Fine della trasmissione del giornale radio".

Il regime è crollato, ma il popolo italiano non se ne rende ancora conto. Le manovre di corridoio del Gran Consiglio del Fascismo orchestrate da Dino Grandi non sono ricadute in strada. Ma ci finiranno presto... Il popolo percepisce però che l'organizzazione che ha imposto che cosa dire e come dirlo con i suoi milioni di iscritti e le sue roboanti frasi di propaganda sotto lo sguardo torvo e poliziesco dell'Ovra è un gigante dai piedi di argilla e che l'immenso apparato statale espressione del partito si sta rivelando un fragile castello di carta.

Il popolo italiano non sa neppure che il re Vittorio Emanuele III, un uomo piccolo, patetico e astioso, che venti anni prima ha svenduto il Paese a Mussolini, ora ha deciso di arrestarlo con l'aiuto dell'esercito, lo stesso che non ha esitato a godere dei prebende e dei vitalizi che gli riservava il regime. Un colpo di Stato. Ma che sa anche di farsa nella tragedia.

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Quella notte tra il 25 luglio e il 26 luglio del 1943, contratta da un misto di paura e di insicurezza, l'esultanza stenta a farsi largo, ad esplodere. Quando però si libera dei retaggi del passato, persino il buio della notte si deve arrendere al policromatismo che fende l'aria con il lancio di cianfrusaglie in caduta libera dai balconi. Il senso di liberazione dal fascismo si misura a numero e a chili: medaglie e medaglioni, busti e teste in gesso, fez, bustine, sahariane d'orbace e di tela, gagliardetti col teschio e la scritta "Me ne frego", greche e spalline, cinturoni dorati, pantaloni neri o alla cavallerizza, divise del P.N.F., brache e brachette, giubbetti neri di gala, berrettoni con l'aquila imperiale.

Cose che fanno già parte del passato. Cose che gli spazzini raccolgono e portano in discarica, consci che i primi a non avere rispetto della propria storia, a desiderare di disfarsene, sono proprio coloro che a quella storia hanno dedicato violenza, impostura, tracotanza e corruzione nascoste da ideali finti e manipolati. Ancora non lo sanno, ma saranno proprio loro, gerarchi da operetta che fino al 24 luglio tuonavano con voci da tenore, ora in fuga alla ricerca di una nuova verginità, a ispirare la migliore rappresentazione cinematografica del grottesco all'italiana.

Dieci anni dopo, un giornalista chiamato a descrivere quella notte, dopo il dettagliato elenco merceologico "pesa" anche il fascismo gettato in strada: "cinquemila quintali di rifiuti caricati su centocinquanta carrettoni". In fondo, un modesto anticipo di ciò che sarebbe stato raccolto il 25 aprile 1945.


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