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"A dispetto di Trump e Putin l'Europa è viva e vuole vivere"

di Giancarlo Rapetti


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La proposta di Ursula Von der Leyen di mobilitare 800 miliardi di Euro per il progetto autoesplicativo ReArmEU ha suscitato un ventaglio di reazioni, anche di verso ironico e sarcastico su questo sito.[1] Un buon segno: se l’argomento spinge a schierarsi significa che è serio e di peso, oltre che chiaro da capire. Nessuno si è detto entusiasta. Anche questo è un segno di consapevolezza: il progetto non è una passeggiata, ma una corsa in salita, contro gli sconvolgimenti geopolitici e contro il tempo. I più misurati commenti si possono riassumere così. Il progetto non configura una vera difesa europea, che potrebbe esserci solo con una autorità politica federale, e una conseguente politica estera unica. Ma, preso atto del disimpegno americano, è un primo passo nella giusta direzione, passando per il rafforzamento e l’integrazione della difesa europea sul modello NATO. Non ci sarebbe molto da aggiungere alle citate considerazioni, se non ci fossero sul fronte opposto un insieme di obiezioni e opposizioni, unite dal comune intento di dire no, utilizzando tutti gli artifici retorici conosciuti.

Il benaltrismo si esprime così: la difesa comune è cosa positiva, ma siccome l’attuale progetto prevede che siano gli Stati a incrementare le spese per gli armamenti, il percorso non è adeguato e quindi va bocciato. Cioè, c’è un affamato e potremmo dargli solo pane e salame. Non è disponibile un pasto completo, meglio se di nouvelle cuisine, quindi non gli diamo niente e lo lasciamo morire di fame. Fuori dalle metafore da bar, l’urgenza dell’intervento mal si adatta al lungo percorso verso l’Europa federale, che resta l’obiettivo di prospettiva, ma non è realistico in tempi brevi. Lo stesso ragionamento, partire dal fondo e non dall’inizio, aveva fatto Draghi con il suo rapporto sulla competitività: debito comune, anche se non c’è un soggetto politico unitario a gestirlo. Do something, appunto. E, d’altra parte, l’Europa si è sempre mossa così. Prima con la Comunità del Carbone e dell’Acciaio (CECA), poi con il libero scambio intracomunitario, poi la progressiva attribuzione al Consiglio dei Ministri dell’Unione, congiuntamente alla Commissione Esecutiva e al Parlamento Europeo, di potestà regolamentare su alcune materie, poi con l’Euro, poi con l’affermazione della efficacia diretta dei regolamenti comunitari. Sempre passando attraverso lo schema dei trattati tra Stati sovrani.

Più subdola l’altra obiezione: ma come, abbiamo problemi con la sanità, con la scuola, con le bollette, con la perdita di potere d’acquisto e voi volete buttare i soldi per le armi? Questa osservazione è moralmente rivoltante, politicamente inadeguata e tecnicamente sbagliata. E’ moralmente rivoltante perché viene da chi, oltre a disprezzare la cultura (“uno vale uno” e “basta coi plurilaureati”) ha fatto della spesa pubblica illimitata a debito il suo mantra. Per brevità evitiamo l’elenco e ricordiamo solo il superbonus edilizio (da non confondere con le detrazioni fiscali al 50 per cento, provviste di una loro logica e vicine all’equilibrio fiscale): una spesa di oltre 150 miliardi che ha dissestato i conti dello Stato, ha sottratto risorse proprio a sanità e istruzione e ha contribuito massicciamente a generare quell’inflazione che ha colpito il potere d’acquisto delle famiglie. Basterebbe questa risposta, ma per completezza esaminiamo anche gli altri due aspetti.

E’ politicamente inadeguata, perché non affronta il tema cruciale dei nostri tempi. Il nostro welfare state è un prodotto della nostra democrazia. E la democrazia è stata garantita per 80 anni dall’ombrello NATO, in pratica dagli Stati Uniti. L’ombrello è venuto a mancare e l’Europa si trova improvvisamente scoperta nei confronti delle minacce che vengono da Est e da Sud. Per quanto non sia potenzialmente l’unica, attualmente la minaccia concreta viene dalla Russia. Putin ha dichiarato pubblicamente: “ci riprenderemo quello che è nostro”. Se consideriamo i maggiori insiemi tra l’estensione dell’Impero zarista e poi dell’Unione Sovietica, si può facilmente verificare che nel “nostro” stanno la Finlandia, gli Stati baltici, parte della Polonia e della Romania, l’intera Ucraina e l’intera Moldova; oltre la Bielorussia, che è già sotto il controllo del Cremlino. E senza contare gli ex paesi satelliti dell’Europa orientale.

Chissà perché si fa così fatica a credere alle mire dei dittatori, forse si vuole scacciare l’incubo con la speranza. Ma non funziona. Non vale l’obiezione che la Russia non è in grado di concretizzare l’ambizioso obiettivo imperiale: un paese in crisi demografica, con un PIL tre quarti di quello dell’Italia, con squilibri socio-economici interni significativi. Vero, ma l’invasione dell’Ucraina ha già dimostrato che non sono gli argomenti razionali a sorreggere le mosse dell’attuale Zar. Per non dover essere costretti alla guerra, gli europei devono raggiungere un livello di efficacia militare tale da costituire una sufficiente deterrenza. Lo diceva Sun Tzu (“l’esercito migliore è quello che non ha bisogno di combattere per vincere”), lo dicevano i Romani antichi (“si vis pacem, para bellum”). La storia e la natura umana procedono insieme. Se l’Europa non costruirà in fretta una capacità di deterrenza, ci troveremo a dover subire o combattere. E non siamo pronti né per l’una né per l’altra cosa. Chi sostiene il contrario, è inadeguato ai tempi. Se lo fa per dolo, commette un crimine; se lo fa in buona fede, commette un errore, che, disse qualcuno, “è peggio di un crimine”.

Infine, l’Europa non “spende 800 miliardi per le armi”. Secondo il progetto illustrato dalla Presidente della Commissione, verrà contratto debito comune per 150 miliardi. Una cifra relativamente piccola rispetto ai 750 miliardi di Next Generation EU. Gli altri 650 miliardi sono una specie di autorizzazione cumulativa ai singoli stati di spendere eventualmente a debito in deroga al patto di stabilità.

Anche qui, qualcuno si straccia le vesti: come, deroga al patto per i cannoni e non per la sanità, per la scuola, etc.? Sono gli stessi che non hanno voluto attivare il MES sanitario e che non si sono mai preoccupati di considerare sanità e istruzione come priorità della spesa pubblica. La buona fede, come l’innocenza, è sempre presunta, ma qui sussistono indizi gravi, precisi e concordanti di basso calcolo politico-elettorale. In più, una parte importante della spesa per ReArmEU si indirizza ad investimenti industriali: siamo nel campo che Draghi definirebbe “debito buono”, perché crea valore e sviluppo. E’ vero che le armi prodotte dalle industrie sarebbero comprate e quindi pagate dallo stato, ma le imprese produrrebbero profitti e gettito fiscale, oltre che lavoro produttivo, salari, tasse e consumi. Ovviamente se ci limitassimo a comperare in America, tutto questo non varrebbe. Ci vorrà intelligenza, lungimiranza e iniziativa. Inoltre bisognerà essere accorti nella gestione della spesa corrente, quella per il personale e l’addestramento, come d’altronde è necessario in qualunque altro campo di intervento.

Il voto al Parlamento Europeo sull’argomento ha chiarito, come meglio non si poteva, le posizioni dei partiti italiani (almeno di quelli rappresentati a Strasburgo). I voti sono stati in realtà due: uno per ReArmEU e uno per il sostegno all’Ucraina. Nel primo voto, MoVimento Cinque Stelle, Lega, Alleanza Verdi Sinistra (AVS) hanno votato contro il progetto Von der Leyen. Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno votato a favore. Il PD si è diviso equamente: dieci deputati a favore, undici astenuti (quelli che hanno seguito le indicazioni della segretaria Schlein). Nel secondo voto, il PD ha votato a favore (tranne due parlamentari) e Fratelli d’Italia si è astenuto. Quindi i due maggiori partiti italiani sono quelli che vivono le maggiori contraddizioni. Sul tema Europa ed Ucraina per la prima volta abbiamo visto Giorgia Meloni, le cui capacità di comunicazione sono straordinarie, in evidente imbarazzo: frasi contorte, poco intellegibili, sfuggenti. Tuttavia, anche in questo caso, si è mostrata politicamente un passo avanti ai suoi avversari (ammesso che esistano). Infatti il PD ha fatto una scelta un po’ naif: non vogliamo armare l’Europa, ma vogliamo che l’Europa disarmata sostenga l’Ucraina (si presume con le buone intenzioni). Fratelli d’Italia invece ha scelto il sostegno di principio, sul ReArmEU, per non mettersi ufficialmente contro la maggioranza di Strasburgo, ma ha negato il supporto all’Ucraina, la scadenza immediata per avverare quel principio: un discreto disvelamento dell’ambiguità, nei fatti antieuropea, di questo Governo.

In conclusione: nonostante gli auspici (e non solo) di Putin e Trump, l’Europa è viva e non si decide a morire. Con l’eccezione parziale delle componenti italiane, le famiglie popolari e socialiste, le maggiori, non hanno tentennato. Che vita voglia vivere, invece, è tutto da vedere. L’implementazione di ReArmEU potrà portare ad uno sviluppo dell’industria continentale, ad un comando unificato e al coordinamento delle forze armate di alcuni paesi, nel campo degli standard e dell’intelligence; allo sviluppo accelerato di un sistema satellitare di comunicazione e controllo; alla standardizzazione dei sistemi d’arma. Resta l’ineludibile necessità di creare un soggetto politico unitario, che possa stare ai tavoli del mondo multipolare con rinnovata efficacia e credibilità e proteggere la nostra democrazia e la nostra way of life. Che non sono né gratis né garantite.


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