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A chi giova ignorare la "questione morale?

di Gianclaudio Vianzone



L’essere non è l'apparire. Contestualizzare tale affermazione, guardando alla società contemporanea, apre una necessaria riflessione su quanto l’enunciazione di valori significativi e sacrosanti diritti trovi effettivamente poi riscontro nel vissuto quotidiano della società italiana.



Da Tommaso d'Aquino ad Antonio Gramsci

Quanto il concetto di “profitto” della pressione neo-liberista riesce a condizionare il modello di civiltà e di cultura? E quanto lo fa dolosamente o colposamente, destrutturando quei principi del bonum honestum di tomistica memoria, ma soprattutto la più contemporanea “questione morale” richiamata da Antonio Gramsci?

Se si osservano, anche attraverso le numerose statistiche proposte a livello europeo, i dati afferenti i livelli di cultura della gioventù Italiana, vengono i brividi. Se poi si considerano a livello nazionale notizie quali la bocciatura al concorso per l'ingresso in magistratura per sconoscenza della lingua italiana o ancor peggio – già da un decennio – dell’impossibilità di alcuni di superare l'esame di ammissione alla professione di avvocato, non solo per difficoltà linguistiche, ma per limiti cognitivi sul piano analitico, non si comprende quale sia il progresso.


Se si considera che almeno da trent’anni non si osservano più momenti di reazione popolare spontanei e genuini, mentre gli organi di rappresentanza quali sindacati e partiti stanno scomparendo sotto la mannaia di un sistema più finanziario che economico, un autentico "sicario" della sovranità popolare sancita dalla nostra Costituzione in nome del profitto, l’interrogativo cresce. E per alcuni versi, il recente articolo di Rocco Artifoni[1] sulle "forzature", per usare un eufemismo, nelle elezioni dei presidenti dei due rami del Parlamento, ci riporta all'inizio dell'articolo, cioè alla profonda differenza tra l'essere e l'apparire e, nel nostro caso, tra l'essere una solida democrazia o, al contrario, rischiare soltanto di apparire come tale.


Conservare la propria identità culturale

Il mutamento, che sul piano culturale sta avvenendo, avvolge tutto, rapporti interpersonali e quotidiani in senso lato, lasciando così che, nel turbine del cambiamento, in mezzo a lavori che scompaiono per lasciare spazio alla società digitale, muti anche il principio di democrazia e quanto contiene. Evidente riscontro della marxiana teoria di “struttura e sovrastruttura”.


Ma se quanto appare come fluidamente naturale è sostanzialmente una trasformazione sociale imposta da un criterio di pensiero neo-liberista, povero di valori e incentrato sul concetto di competizione in una deprecabile interpretazione del machiavellico motto “il fine giustifica i mezzi”, è plausibile che il valore etico di una morale comune possa soccombere. Una società civile, con un trascorso prestigioso come quella italiana, non può accettare ed anzi ha il dovere civico di non consentire che la natura, l’essenza, di un popolo che ha rappresentato per secoli l’emblema dell’eccellenza in vari ambiti, dalla cultura all’artigianato, dall’industria alle arti, si pieghi ad essere la “brutta copia” di modelli d'importazione.


L’identità italica, il suo essere, va salvaguardato. Refugĕre il facile adeguarsi a influencerse follower, quanto rifiutare un populistico nazionalismo a favore di un più faticoso ma più concreto richiamo (soprattutto per le nuove generazioni) a uno studio approfondito della storia della filosofia e del diritto, nonché dei principi su cui si fonda la nostra Costituzione. Se non si recupera la consapevolezza di un’intera generazione al principio del valore e dell’agire morale, non si può pensare che il futuro possa presentare quelle punte di eccellenza che la storia italiana ha consegnato al mondo nei secoli.


Un progetto per le nuove generazioni

La questione morale è quindi da valutarsi non secondo l’accomodamento al contesto socio-economico contemporaneo, ma sullo stato di salute dell’anima e dell’identità culturale italiana. Il recupero culturale assume quindi il ruolo del punto di partenza per un recupero di un’etica comportamentale libera dal condizionamento socio-economico e riequilibrata su quell’ordine morale che si armonizza con l’equilibrio naturale. Si sta offrendo l’ultima possibilità: poiché l’impatto generazionale sta dimostrando il termine di un ciclo storico, in cui ai giovani era stata data la possibilità di sperimentare la libertà attraverso la maturazione di un pensiero indipendente elaborato, tanto da avviare stagioni di mutamenti sociali significative come gli anni ’70, con tutto il carico di sacrifici e martirii di chi credeva nello Stato democratico, ma anche nella trasformazione di un Paese gravato da mafia e terrorismo in una democrazia compiuta e progressista.


Ciò non poteva ovviamente non suscitare la "reazione" che con la “globalizzazione” digitale ha raggiunto i gangli più profondi di territori anche distanti. Strumento, quello digitale, dalla dirompente forza alternativa, ma con evidenti distinguo nei Paesi in cui il sistema totalitario controlla l'informazione e la cultura. Curiosamente però, anche nelle realtà “democratiche” sta scomparendo, almeno in alcuni social, la possibilità di postare argomenti leciti e non volgari se trattano temi di rilevanza globale, ma non allineati alle linee “ufficiali” o al pensiero dominante, convenzionale. Così in un sistema democratico, in cui la valutazione di valore economico di un Paese viene affidata alle “agenzie di rating” e quella informativa ai factcheckers – tutti soggetti privati e non sempre neutri - non si colgono più differenze nelle informazioni diffuse dai differenti media.


L’onere morale oggi, anche se ha un che di ripetitivo poco rispettoso della realtà che li vede da troppi decenni penalizzati dalla società, è quello di coinvolgere i giovani. Come? In primo luogo, con il ridare impulso a costruire una diversa visione della società, recuperando il valore etico e morale del lavoro e dei rapporti sociali, ma soprattutto stimolando l'impegno a un progetto collettivo di ricostruzione di uno Stato sociale, supportato da un consapevole equilibrio di diritti e di doveri. Così da recuperare la “questione morale” che in Italia è stata richiamata pubblicamente l’ultima volta da Enrico Berlinguer nel 1981.


[1] Rocco Artifoni, Camera e Senato, gli abusi del potere in https://www.laportadivetro.com/post/gli-abusi-del-potere


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