top of page

Valdesi, il momento delle sfide temerarie nelle periferie urbane

di Stefano Garzaro

 

Immagini create dall'IA
Immagini create dall'IA

Alla fine di agosto, come ogni anno, si è riunita a Torre Pellice la Tavola della Chiesa valdese, l’organo direttivo ed esecutivo della comunità, per i lavori del Sinodo. “La Porta di vetro” a suo tempo ne ha dato notizia con larghezza attraverso le relazioni di Piera Egidi Bouchard.[1] Larghezza spiegata, e che merita un ritorno di riflessione, dalla estrema suggestività – tra ricerca di vie nuove alla spiritualità e questioni organizzative – delle grandi sfide che ha dinanzi a sé l'umanità. In primo luogo la ricerca di dialogare con la società per inventare soluzioni alla crisi politica e culturale che sbriciola il patto sociale; sostenere la partecipazione democratica di ogni persona, soprattutto di chi vive in situazioni di oppressione; contrastare xenofobia, razzismo, omofobia. Il messaggio evangelico non è privilegio di una comunità, ma è liberazione, coraggio, speranza, specie per chi si batte per l’uguaglianza e la libertà.

Pensando al futuro, accanto ai lavori della Tavola, la Chiesa valdese ha accolto il Sinodo dei bambini alla sua terza edizione, a cui hanno partecipato una ventina di giovanissimi tra i 5 e i 13 anni che hanno discusso di giustizia, pace, accoglienza, collaborazione fra i popoli, richiamando gli adulti alle loro responsabilità.

La Chiesa valdese è una minoranza di notevole peso specifico, un movimento tutt’altro che folcloristico. Una minoranza che ha smosso più volte la storia: già anticipatori della Riforma, i valdesi del XVII secolo condizionarono le alleanze europee nelle varie guerre di successione, nonostante le persecuzioni; furono protagonisti del Risorgimento e dell’Unità nazionale; parteciparono alla lotta contro il nazifascismo pagando un alto prezzo; nel dopoguerra promossero con coraggio l’ecumenismo e l’inclusione, sfidando la mafia nel cuore delle terre più difficili. E oggi?

Oltre alle sfide a largo raggio richiamate dal Sinodo, oggi i valdesi rinnovano un impegno che sostengono da tempo, un servizio locale e capillare: la salvaguardia del territorio e delle piccole comunità, specie di quelle spinte al margine. Tutti parlano di periferie con disinvoltura – non c’è agenzia politica o gestionale che non se ne riempia i dossier – ma per realizzare progetti efficaci e convincenti occorre condividere risorse, tempo, fatica a fianco di chi è escluso dai privilegi generati dal centro. Nelle Valli valdesi, a Pinerolo, Torre Pellice, Prali, Perrero l’analisi sociale coincide con la testimonianza diretta. Gli esempi di coraggio delle generazioni precedenti non mancano, con modelli pensati inizialmente per le microcomunità, poi esportati a società ben più vaste.

Rubando il mestiere ai sociologi, distinguiamo tra periferia e marginalità. La periferia – definizione non necessariamente negativa – è il luogo geograficamente distante dal centro, cioè dall’affluenza di servizi, infrastrutture, reti di trasporto. La marginalità riguarda invece chi soffre di disuguaglianza sociale e culturale, chi è tagliato fuori dai processi di sviluppo, chi è costretto a un lavoro insano e non garantito, chi non accede ai servizi che allungano la vita.

Le Valli valdesi sono periferia, ma non si possono definire marginali: è vero che si battono da tempo per la ferrovia Pinerolo-Torre Pellice chiusa nel 2012 da amministratori nefasti, e denunciano il disservizio cronico del collegamento Pinerolo-Torino; ma nonostante questo e altri sgarbi di relazione da parte del centro, le comunità valdesi moltiplicano e condividono ricchezze culturali che hanno pochi riscontri nella generalità delle nostre valli alpine. È un impegno che riguarda il ripopolamento di aree e borghi abbandonati troppo in fretta; un turismo creativo diretto alla scoperta dello spirito dei luoghi, ben diverso dal baraccone domenicale distributore di hamburger; un’agricoltura di qualità, affiancata a una cultura gastronomica coerente.

Si tratta di progetti che non hanno nulla da spartire con un turismo di prestigio, con i rischi di standard forzati di benessere. Il modello non è quello delle Langhe, che in brevi generazioni si sono sollevate da un’economia di sussistenza alla certificazione Unesco di Patrimonio dell’umanità, con un turismo di eccellenza dove le vecchie fattorie sono acquistate da tedeschi, svizzeri, americani, e convertite in fortini dello sfarzo.

Nel carattere valdese non esiste la rinuncia al senso della comunità, al sapere antico nato dalla terra, dall’acqua, dai boschi. I quaderni magici delle “masche” messe al rogo dall’inquisitore vengono riscoperti come raccolte di saggezza rurale, medicina alternativa, opposizione all’economia ingorda del centro. Mantenere in vita borghi e aree contadine e montane – possibilmente in condizioni di felicità – è un messaggio di resistenza inviato a ogni altra periferia del pianeta.


Immagine creata dall'IA

L’utopia che traspare dal Sinodo è destinata però a misurarsi con un futuro sempre più grigio: le cartoline a colori delle Valli valdesi si raffreddano nelle periferie nebbiose della grande città, periferie – queste sì – drammaticamente marginali. Le comunità valdesi della città di Torino, attive nel centro, a Mirafiori, nella barriera di Milano, denunciano la marginalità crescente di aree sempre più ampie. Luoghi che vedono un’anzianità senza ricambio confinata nelle residenze assistenziali; un ambiente già fragile che soccombe al degrado, dalle panchine sfondate alle fontane spente, a una viabilità tormentata; un dialogo personale e comunitario sempre più arido. Qui la battaglia contro la marginalità si fa dura, a cominciare dalle barricate alzate da una burocrazia che impedisce lo sviluppo delle infrastrutture, della mobilità, della partecipazione, e che nega i diritti fondamentali alla badante peruviana che ogni giorno salva la vita dei tuoi vecchi.

I valdesi – come chiunque si opponga al grigio che avanza – sanno che la sfida verrà vinta soltanto raccogliendo in rete ogni progetto, dal più microscopico a quelli a carattere universale: tutti legati verso lo stesso obiettivo, non solo per strappare finanziamenti, disegnare strategie durevoli, ma soprattutto per dare forza alle piccole comunità che da sole non ce la farebbero. Sono scelte temerarie, che impongono a ogni coscienza una risposta.

 

Nota

[1] Torre Pellice, l’apertura del Sinodo “sperimentale”: https://www.laportadivetro.com/post/torre-pellice-l-apertura-del-sinodo-sperimentale - Serata del Sinodo: il Patto, dal popolo al diritto internazionale: https://www.laportadivetro.com/post/serata-del-sinodo-il-patto-dal-popolo-al-diritto-internazionale - Il fattore R, anche simbolo di Riconciliazione nella fede: https://www.laportadivetro.com/post/il-fattore-r-anche-simbolo-di-riconciliazione-nella-fede

Commenti


L'associazione

Montagne

Approfondisci la 

nostra storia

#laportadivetro

Posts Archive

ISCRIVITI
ALLA
NEWSLETTER

Thanks for submitting!

Nel rispetto dell'obbligo di informativa per enti senza scopo di lucro e imprese, relativo ai contributi pubblici di valore complessivo pari o superiore a 10.000,00, l'Associazione la Porta di Vetro APS dichiara di avere ricevuto nell’anno 2024 dal Consiglio Regionale del Piemonte un'erogazione-contributo pari a 13mila euro per la realizzazione della Mostra Fotografica "Ivo Saglietti - Lo sguardo nomade", ospitata presso il Museo del Risorgimento.

© 2022 by La Porta di Vetro

Proudly created by Steeme Comunication snc

LOGO STEEME COMUNICATION.PNG
bottom of page