La morte che arriva dal web in un'esplosione di tecnologie
- Gian Paolo Masone
- 1 giorno fa
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di Gian Paolo Masone

La guerra in Medio Oriente ancora in corso ci ha mostrato, nella lotta di Israele contro Hezbollah, una modalità di dare la morte che merita un approfondimento particolare: quella dell’uccisione, comandata via web, di nemici che, in un dato momento, si trovavano a indossare dispositivi portatili di comunicazione.
Sinceramente, mi sarei atteso che questa inedita modalità di uccidere, di cui molto si è scritto limitatamente agli aspetti tecnologici, mobilitasse le coscienze almeno quanto, a suo tempo, la prima bomba atomica.
Riflettendoci, sia pure con l’importante variante delle radiazioni, la bomba H non ha fatto che replicare in scala enormemente più grande quello che le bombe “normali” facevano.
Senza voler sminuire la novità che al tempo hanno rappresentato le bombe nucleari, mi limito a segnalare che, con un po’ di sforzo, le mastodontiche esplosioni si potevano considerare ancora entro i margini estremi di un sistema esistente; d’altra parte la potenza dell’esplosione di una bomba atomica è ancora espressa in tonnellate equivalenti di tritolo.
Anche l’introduzione dei droni nella guerra ha apportato un cambiamento profondissimo: ognuno di noi vede sulla rete le immagini di uomini che compaiono come macchioline nere sul video che vengono, ad una ad una, cancellate come in un videogioco (Play Station Mentality). La circostanza che dietro queste eliminazioni possa esserci una persona, uomo o donna, magari in Smart Working, che opera con un occhio ai figli o alla cucina non può poi che ampliare il nostro senso di straniamento e di sgomento.
Ma che cosa ha di diverso l’ultima modalità di dare la morte rispetto all’uso di bombe potentissime o dei droni? Perché si tratta non di un semplice “progresso” tecnologico ma di rivoluzione ontologica?
Il motivo risiede nella circostanza che, per la prima volta, la soppressione dei nemici si muove contemporaneamente, con effetto sinergico, su più “assi concettuali”:
· la soppressione a distanza di nemici combinata con il debole e semplicemente eventuale apporto umano nell’ultima fase, l
· la morte “a poco prezzo”
· e, infine, l’asse della trappola.
La distanza e la debole partecipazione umana
Nell’immaginario degli uomini c’è sempre stata l’idea che l’esito delle guerre dovrebbe premiare il coraggio dei combattenti. "…o maledetto e orribile ordigno che fosti fabbricato nel tartareo fondo per opera di Belzebù maligno…" scriveva L. Ariosto nell’Orlando Furioso, manifestando la propria disapprovazione verso la novità dell’archibugio che rompeva le regole del combattimento cavalleresco. Oggi con l’implementazione delle armi a lunga gettata, con l’importanza crescente degli aerei, dei missili e più recentemente dei droni, le parole del poeta ci appaiono davvero un reperto archeologico.
Con l’evolversi degli armamenti ci si è sempre più allontanati dal nemico: si è passati dal duello, in cui ci si guardava negli occhi, alle vittime civili dei conflitti. A voler andare fino in fondo, questa modalità di disporre della vita di un altro uomo, oltre che essere condannabile perché mortifera, sovente travolge anche un bisogno fondamentale degli uomini e della vittima che è il riconoscimento inteso come evento intersoggettivo che precede perfino l’amore cristiano, la solidarietà di classe di Marx, il desiderio di essere desiderati di Lacan etc.
Muovendo da questo presupposto, il riconoscimento dovrebbe essere dovuto anche al nemico in procinto di essere soppresso e dovrebbe essere considerato una necessità alla quale assolvere anche considerando, davvero al limite, la semplice, labile, circostanza della presenza della vittima in una trincea nemica in atteggiamento militare.
Sia pure dopo diaboliche e macchinose modalità di preparazione, va poi rimarcato che l’uomo che ha dato il via a centinaia di simultanee esplosioni degli apparecchi portatili era nascosto da mille filtri deresponsabilizzanti: l’estrema facilità del gesto finale che potrebbe essere stato ridotto all’attivazione di una app, nessuno sforzo per premere un grilletto, nessun rischio nell’avvicinarsi all’obiettivo, nessuna professionalità nel raggiungere il bersaglio, minimo del coinvolgimento emotivo.
Qualche interrogativo...
Le strabilianti spese che un conflitto porta con sé stanno amplificando l’attenzione sugli aspetti economici delle guerre. Già è stato fatto notare che la sproporzione tra il costo di un drone e il costo dell’obiettivo preso di mira fa ripensare ab ovo strategie, investimenti militari e gli studi sul rapporto costi efficacia delle armi di difesa.
Alcuni interrogativi: varrà sempre la pena di costruire navi e portaerei del costo di svariati miliardi che potrebbero essere affondate da un attacco di centinaia di droni radunati in uno sciame? Sarà sempre percorribile il ricorso a missili del costo di milioni di euro per abbattere droni dal costo inferiore ai 50.000 euro?
Su un altro versante: la guerra a poco prezzo potrà moltiplicare le occasioni di conflitto?
La trappola
La trappola è un dispositivo che sposta la minaccia non soltanto nello spazio ma anche nel tempo e, fino ad oggi, era insita nell’uso delle mine terrestri o marittime o nella predisposizione di meccanismi mortiferi per lo più nelle foreste. Nel caso delle armi usate contro gli Hezbollah, la trappola non era localizzata geograficamente ma era destinata a cogliere i nemici nelle più diverse situazioni: da soli o con altri, in compagnia di sodali o dei propri familiari, in spazio chiusi o aperti, tutte situazioni con rilevanti e diverse implicazioni sulla possibilità di provocare vittime innocenti.
Con la morte che arriva dal web si sono varcate le ultime frontiere: morte “trasmessa” a distanza sul presupposto, probabilistico, che certi apparecchi fossero in un dato momento, addosso ai nemici in qualunque Paese del mondo si trovassero.
Nuovi problemi in vista
Il consolidarsi della robotica e della presenza dell’Intelligenza Artificiale nei conflitti armati ci preannuncia, d’altra parte, nuovi protagonisti e nuovi problemi.
Nuovi protagonisti: oltre ai droni, entreranno in campo i Robot Soldato destinati a sconvolgere le tattiche di combattimento in quanto non in possesso dell’istinto di conservazione degli uomini e, pertanto, sprezzanti del pericolo.
Nuovi problemi: la crescente velocità di reazione di chip che governano le armi diventati ormai reattivi in tempi di nano secondi. Se pensiamo agli incredibili e immotivati scossoni che hanno già creato alle Borse mondiali le vendite e gli acquisti a catena delle nuove piattaforme informatiche, possiamo farci un’idea della possibile ingovernabilità di una catena di reazioni e controreazioni affidate all’elettronica in uno scenario bellico e delle possibili, ben più tragiche conseguenze.
Anche chi, in tema di liceità della guerra, abbraccia posizioni definite realistiche è costretto a riflettere se ancora oggi si possa sostenere che le regole morali durante i conflitti debbano considerarsi sospese (Inter arma enim silent leges) o se non sia il momento di studiare un ampliamento- aggiornamento della Convenzione di Ginevra che prevede i comportamenti da evitare durante le guerre. In tale contesto, il mantenimento di una sufficiente responsabilità umana in tutte le fasi della gestione dei conflitti mi sembra il minimo criterio da cui partire.
In queste temperie anche una frase ad effetto di M. Walzer, filosofo noto per aver messo a punto le Sfere di Giustizia, può aiutarci a riflettere:
“La guerra è un inferno, ma anche nell’inferno deve esserci necessità di un sistema morale, altrimenti non ci sarebbe differenza tra il soldato e l’assassino”.













































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