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Osservando i nostri tempi

Incontrare l'altro per poterlo amare

di Domenico Cravero


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Le delusioni e le frustrazioni affettive incidono pesantemente sulla motivazione scolastica e sulle capacità di concettualizzazione. Il piacere del pensare e del sapere sono tra i godimenti più puri, all’origine della vivacità emozionale e cognitiva. Nel bambino in difficoltà, invece, l’ignoto non ingenera curiosità ma ansia.

L’amore evolve quindi dalla possibilità di conoscere. L’esperienza del conoscere risponde alla capacità di rappresentare. Per poter provare affetto, l’Altro deve essere rappresentato. Se non s’incontra l’altro, se quindi non lo si conosce, non è possibile amarlo. Quest’incontro avviene attraverso un’area intermedia di rappresentazioni reciproche, attraverso cui si entra in contatto con gli affetti, con l’amore. La funzione riflessiva è indispensabile per uscire dal dominio della sensorialità. Il piacere di esplorare l’ambiente e di apprendere attraverso le esperienze cancella l’angoscia della separazione dalla madre. Il bambino così si astiene dal pretenderla totalmente, dal dominarla. Il pensiero, tuttavia, si sviluppa nella relazione, incrementando la capacità di capire come funziona la mente dell’Altro.

Chi aiuta ragazzi sofferenti nella mente e con difficoltà di apprendimento, deve dare centralità al ripristino dell’esperienza del piacere, elemento primario per l’evoluzione e la strutturazione della mente. Piacere autentico è dato solo dalla gratuità dell’affetto.


La lezione di Winnicott

Più si è amati, più significante e significato coincidono; più la capacità di significare aumenta, più si apprende.

Il dolore che porta all’agito violento nasce in questo snodo difficile e determinante.

Il trauma narcisistico precoce e intenso, cui sono sottoposti i bambini deprivati affettivamente, rende più tormentata l’evoluzione psichica verso il linguaggio verbale. Si esprimono attraverso le parole ma sono spesso prive di risonanza interiore.

Donald Winnicott, psicoanalista britannico, aveva analizzato come gli affidi di bambini che soffrivano affettivamente nelle loro famiglie di origine, fallivano, a prescindere dalle caratteristiche della famiglia affidataria. La loro sofferenza portava i piccoli ad attaccare la famiglia di sostegno. Una domanda li assillava come un tarlo, incancellabile, inconsolabile: “Perché mamma e papà mi hanno abbandonato? Come potevo non essere stato per loro la cosa più importante?”

Nella mente dolorante, l’angoscia è scarsamente rappresentata e invade la percezione conscia. La psicanalisi tradizionale, basata sul transfert, non sembra funzionare con questi soggetti. Chi cerca di star loro accanto non è vissuto “come se” fosse la madre, ma “è” la madre, amata o odiata, che ha rovinato o che ha salvato la vita. La realtà concreta scarsamente rappresentabile dà significati solo immediati. Conta la “cosa in sé”. Si vive così di “cosificazioni”, di percezioni troppo “realistiche”. Un’assenza, in questa situazione, non è una “mancanza” ma una presenza in negativo. L’assenza di “seno buono” è presenza di “seno cattivo” (così per Melanie Klein e Wilfred Bion).


Il distacco dai genitori

I ragazzi violenti raramente accettano che una cosa possa essere un’altra, in una sua rappresentazione, in un simbolo. Non riescono a sostituire la Madre (il suo valore) con i suoi significati. Quanto più la “cosa” si presenta, tanto più i ragazzi difficili ne rimangono polarizzati. Una realtà senza simboli non offre barriere percettive perché il percepito è troppo vicino, è ossessivamente davanti e irrimediabilmente angosciante.

La cura e la presa in carico consisteranno quindi nel rendere il linguaggio un’esperienza rappresentazionale, articolata e complessa, avente lo scopo primario di allontanare l’adolescente dall’esperienza del linguaggio del corpo come agito.

In casa può capitare che il figlio adolescente comunichi poco con i genitori o si opponga loro in modo molto plateale. Una delle sfide che ogni adolescente deve vincere è separarsi da mamma e papà. Per molti ragazzi è un processo arduo, ma senza profondi conflitti. Per altri, invece, è un compito oneroso, che pare impossibile, perché il bisogno di dipendenza rimane elevato. Può anche decidere di entrare in un duro conflitto con i genitori, per potersene allontanare. I comportamenti provocatori così sostituiscono il dialogo e servono a delimitare rigidamente gli spazi e l’intimità dei figli, per distinguersi dalla famiglia, rifiutandone spesso anche i valori.

A volte, l’emancipazione si compie attraverso il gruppo dei pari, con comportamenti provocatori e agiti aggressivi; altre volte il testimone del travaglio della bella età diventa il corpo, le mode che esso veste, i messaggi affidati a tatuaggi e piercing, la violenza a cui è sottoposto nel cibo (quando è troppo o troppo poco) nell’abuso dell’alcol, nell’ingannevole sponda delle dipendenze. Sembrerebbe in questo modo naufragare il bisogno urgente di sentirsi amati e di avere qualcuno con cui confidarsi e affidarsi: non solo tra i pari ma anche e, a volte, soprattutto tra gli adulti. Appena questo bisogno troverà il modo di soddisfarsi, il disagio si trasmuterà in maturità.

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