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Serata del Sinodo: il Patto, dal popolo al diritto internazionale

Aggiornamento: 25 ago

di Piera Egidi Bouchard


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Nella  consueta “serata pubblica” del Sinodo Valdese del 24 agosto a Torre Pellice si è discusso dei rapporti tra impegno dei credenti e rapporti col territorio, rispondendo attraverso singole esperienze alla domanda del convegno “Cerchiamo il bene della città?- Nuovi patti per territori che cambiano”.[1] Sono intervenuti i sindaci di alcune realtà in tutta Italia (come la sindaca di Rorà, nelle Valli valdesi, Claudia Bertinat, il vicesindaco Gianni Desanti, l’assessora alle Politiche sociali di Omegna (Verbano Cusio Ossola) Mimma Moscatiello, il sindaco di Londa (Firenze) Tommaso Cuoretti, quello di Camini (Reggio Calabria), Giuseppe Alfarano. In molte di queste piccole, ma significative  realtà sono stati attuati progetti riguardanti ad esempio una scuola di formazione per “economia della rigenerazione territoriale delle aree interne e montane”, o progetti di “rigenerazione sociale (al femminile)”, programmi a favore dei rifugiati e migranti attraverso il sostegno delle chiese e dell’8 per mille valdese.

I giornalisti Susanna Ricci e Gian Mario Gillio hanno condotto la serata, che ha visto anche l’intervento di Roberto Davide Papini, che ha rilanciato le domande raccolte durante le prime due giornate del Sinodo. La moderatora Alessandra Trotta nelle  conclusioni  ha notato come: “Ci sia sempre più un distacco e una sfiducia verso le istituzioni. Come chiesa difendiamo da sempre questo ruolo per noi fondamentale nella vita democratica dello Stato. È necessario dare fiducia agli enti (soprattutto quelli sovracomunali, in quanto i municipi sono ancora un baluardo che tutela i cittadini), ma al contempo questi devono rendere conto di ciò che viene svolto grazie alla nostra fiducia che si manifesta con voti e risorse economiche. Ritengo che non conti le dimensioni dell’ente in cui si partecipa alla vita pubblica, ma il modo in cui lo si fa”. Di qui il rinnovato invito alla partecipazione, non solo delle chiese, ma della comunità nel suo insieme.

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Il tema del “Patto” è ritornato al centro della tradizionale “giornata Miegge”- che di fatto introduce sempre il Sinodo, e che prende il nome da uno dei più significativi teologi italiani del precedente secolo, Giovanni Miegge – . I relatori, e successivamente il pubblico, si sono  interrogati sul significato del Patto, nell’incontro dal titolo: “Patti chiari: dal Sinai al Patto delle Nazioni unite”, nel solco dei 50 anni del Patto di integrazione fra le chiese valdesi e metodiste. Ma ci si è spinti molto oltre una commemorazione, estendendosi a una riflessione che parte, per il credente, da un’analisi biblica, ma tocca aspetti della nostra contemporaneità, dilaniata in particolare dalle due guerre, in Ucraina e in Medio Oriente, che coinvolgono e angosciano quotidianamente tutti noi.

Ha aperto il pastore di San Germano, Winfrid Pfannkuche, constatando che, mentre l’idea del Patto è unificante dei due Testamenti e anche della teologia, oggi assistiamo giornalmente alla violazione di molti elementi pattizi, ad esempio nei rapporti internazionali. Presiedeva Davide Rosso, direttore della Fondazione Centro culturale valdese.

Daniele Garrone, professore emerito di Antico Testamento alla Facoltà valdese di Teologia, ha evidenziato la problematica dei patti nella Bibbia, che possono intendersi come accordi bilaterali o come l’idea di un’iniziativa autorevole di Dio, come per esempio dopo il diluvio, quando Dio stabilisce “che non ci sarà più diluvio a distruggere la terra” (Genesi 9,11). Il Patto, comunque, dà una nuova strutturazione alla nostra umanità, che non è più quella di prima; anche se trasgredito, è l’acquisizione di una consapevolezza che prima non c’era.

E’ intervenuto quindi Michele Vellano (Professore ordinario di Diritto dell’Unione europea nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino) che ha ripreso la considerazione purtroppo molto attuale della violazione degli impegni presi: “essi sono stabiliti fra i popoli, e ciò presuppone un mutuo, reciproco riconoscimento, una concezione laica del Patto, il cui primo riferimento è Ugo Grozio, uno dei padri del giusnaturalismo, che fonda il diritto e la politica su principi naturali e razionali, non sulla volontà divina.” Il diritto internazionale nasce per porre fine alla violenza e alle guerre, e ne è fondatore proprio il calvinista Grozio, nel suo “De iure belli ac pacis” (Il diritto della guerra e della pace, 1625). Vellano ha illustrato il percorso complessivo di queste concezioni nei secoli, fino ad arrivare al fondamentale “Per la pace perpetua” di Kant (1795), sottolineando in particolare che anche durante una guerra deve rimanere fiducia nelle disposizioni d’animo del nemico. Osservazione molto attuale per l’accidentato iter di una risoluzione delle guerre...

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E che cosa possono fare le chiese protestanti, che ruolo possono avere tra le parti in conflitto? Innanzi tutto diffondere la corretta conoscenza del diritto internazionale, richiamando alla legalità dei comportamenti, e invocarne il rispetto, così come invocare le convenzioni firmate dai singoli Stati e reclamarne l’applicazione da parte dei giudici interni. Se crolla il diritto internazionale, che dev’essere prevalente su quello nazionale, c’è un arretramento all’arbitrio, a un conflitto internazionale da cui non c’è ritorno.

Ilaria Valenzi (avvocata, Università di Roma Sapienza e consulente Fcei per i rapporti giuridici con lo Stato) ha notato come il patto relativo alla cittadinanza sia posto a fondamento dello stare insieme: ciò significa accedere ai beni di cui abbiamo bisogno e poter usufruire dell’esercizio dei diritti politici (Gian Enrico Rusconi), ed è automatico che il patto preveda reciprocità per tutte le persone che si riconoscono in un comune sentire politico, costituzionale, comunitario. Questo riguarda il riferirsi a dei principi; altra cosa è riferirsi a dei valori: il discorso si complica molto quando è l’azione legislativa a suggerire dei valori, dando dei giudizi sui comportamenti delle persone, e nel caso sanzionandole (come nel ‘pacchetto sicurezza’). Infine, si è chiesta, cosa succede quando uno stato democratico elegge democraticamente qualcuno che si muove fuori da ciò che intendiamo comunemente per democrazia?

Molto partecipato è stato il dibattito seguente, che ha approfondito il rapporto dal punto di vista del credente fra Patto e memoria, e Patto e vocazione.


Note

[1] Foto @A.V.G.


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