Non profit, ovvero il nuovo marketing della sensibilità
- Emanuele Davide Ruffini e Gaia Martini
- 2 giorni fa
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di Emanuele Davide Ruffini e Gaia Martini

In quella specie di mercato, dove gli enti che si interessano di filantropia, diventano sempre più articolate le tecniche per guadagnarsi la fiducia dei donatori obbligando i competitor a confrontarsi sulle varie iniziative. Tuttavia tali confronti non dovrebbero ridursi ad un esercizio di marketing a scapito dello sviluppo delle conoscenze sulla reale consistenza dei progetti perseguiti.
Il marketing del non profit si configura come uno strumento strategico che consente agli enti non profit di comunicare efficacemente e senza intermediari il proprio operato, valorizzando i risultati raggiunti e il rafforzamento del legame con i sostenitori tramite contatti diretti con beneficiari e sostenitori.
Tradizionalmente legato al for profit, il marketing sta progressivamente trovando applicazione anche nel mondo del non profit, sebbene vi sia ancora una forma di reticenza riguardo la sua concreta declinazione in questo ambito in quanto non sempre conciliabile con i principi solidaristici.
Un mercato al contrario
Nell’esaminare le due tipologie di marketing si evidenzia come queste rispondono a logiche essenzialmente diverse: in prima istanza nel for profit, il rapporto di scambio è diretto in quanto il cliente paga un corrispettivo economico per ottenere uno specifico bene o servizio, mentre nel non profit, i beneficiari ricevono spesso i servizi gratuitamente o pagando solo una quota simbolica, volta più a scoraggiare comportamenti opportunistici, mentre chi sostiene l’attività è spesso un soggetto che non riceve in cambio nessun beneficio. Ne consegue che, mentre le imprese si concentrano sul cliente che sostiene economicamente l’attività e, quindi, le campagne di marketing e comunicazione sono focalizzate sul consumatore, nel non profit è il donatore gratificato dalla sua azione che può essere stimolato a versare altri contributi, o ad avviare un tam tam tra i propri conoscenti. In sintesi, una for profit più aumenta i clienti più ha possibilità di aumentare i propri ricavi (gli utili dipendono invece dalla gestione complessiva dell’azienda), nel non profit un aumento dei beneficiari comporta un incremento dei costi senza una corrispondente crescita delle risorse che, anzi, rischiano di depauperarne il patrimonio.
La doppia visuale comporta diverse tipologie di dialogo con i propri interlocutori: antagonista nel for profit, sinergico nel non profit. Quest'ultimo si concentra di conseguenza prima, se non altro in ordine cronologico sui benefattori (senza i quali nulla è possibile) e poi sui beneficiari, ma le tecniche gestionali e comunicative mostrano spesso logiche assimilabili, anche se si differenziano nel realizzare il marketing mix tradizionalmente incentrato sulle “7P” Product, Price, Place, Promotion, People, Process, Packaging. Parametri questi che non esplicitano variabili riconducibili alla soddisfazione personale nel sostenere una causa, il coinvolgimento diretto ed indiretto dal maggior numero di persone, il valore del tempo impiegato dai volontari e la sensibilizzazione a tematiche sociali (che per il non profit è essenziale, per il for profit è un traino).
Cambiano anche i linguaggi adottati, maggiormente diretto quello dei messaggi sociali miranti a coinvolgere direttamente l’uditore, parlandogli in prima persona e utilizzando immagini forti e coinvolgenti per scuotere la sua sensibilità rendendolo partecipe, più sulla causa più che non sull’ente, con l’aggiunta di riferimenti pratici per il sostegno (numeri di conto o contatti in modo da identificare con chiarezza l’ente) e portando l’attenzione su valori immateriali, relazioni di fiducia e condivisione di obbiettivi.
Il doppio mercato
Le organizzazioni non profit operano essenzialmente su due mercati distinti, quello dei beneficiari e quello dei finanziatori, dovendo conciliare la crescente domanda di servizi andando a ricercare risorse presso soggetti esterni. Due mercati dove, seppur con regole diverse, il marketing e la comunicazione diventano fondamentali per individuare i potenziali utilizzatori delle attività poste in essere e per sensibilizzare l’opinione pubblica per indurla a sostenere l’ente da cui dipende il reperimento di fondi e l’aggregazione di volontari (fundraising e people raising).
Il pubblico cui si rivolge il marketing sociale è potenzialmente illimitato e richiede un adattamento culturale alla dimensione etica (valori insiti nella missione) e relazionale per gestire i rapporti con l’ambiente e agli scambi, materiali e immateriali, che l’ente instaura con i suoi interlocutori: governare queste relazioni significa comprendere i bisogni, offrire servizi adeguati e promuovere scambi basati sulla fiducia. Il successo di un ente non profit dipende dalla scelta dei canali di comunicazione e dal modo di utilizzarli e dalla sua capacità nel perseverare nel mantenere la sua immagine nel tempo.
Ogni benefattore determina il suo comportamento in base alla percezione che per qualche ragione acquisisce sull’ente filantropico tramite legami emotivi determinati dalla reputazione e dalla possibilità d’instaurare relazioni trasparenti. Concepito inizialmente in una logica funzionalista come percorso che il bene doveva compiere dal produttore/erogatore al consumatore, per facilitarne la diffusione, in un logica derivata dal mondo tipicamente commerciale, il marketing sociale comincia a fondarsi sulla capacità di diffondere archetipi filantropici: lo scambio non riguarda più beni o servizi materiali, ma assimila valori etici, ideologici e religiosi, modificando lo stesso paradigma di concetto di scambio concentrando l’attenzione sulle finalità ultime delle iniziative dove le azioni intraprese sono solo un veicolo.
Si passa così dal marketing attuato dalle amministrazioni pubbliche anch’esso chiamato a perseguire finalità di tipo generalistico ad un marketing sociale, orientato a promuovere cambiamenti duraturi ispirati da principi etici condivisi e basato sull’acquisizione di una maggiore responsabilità sociale, rafforzando la legittimazione dell’ente non profit. Il marketing sociale non si basa solo sul raggiungere uno scopo immediato (raccolta fondi o raggiungere un certo numero di soggetti o realizzare un’iniziativa), fenomeno misurabile attraverso il tasso di conversione che indica la percentuale di persone che compiono una data azione (ad esempio, iscriversi ad una newsletter, effettuare un acquisto) rispetto al numero totale delle persone contattate o raggiunte dal messaggio), ma persegue obiettivi intangibili e spesso non totalmente raggiungibili, comunque da perseguire in quanto possono produrre effetti a catena positivi in più settori della società.
A diffondere il messaggio del non profit partecipano in molti, sia facenti parte dell’ente, sia persone esterne che semplicemente e spontaneamente aderiscono allo spirito delle iniziative: a questa pluralità, che è la forza autentica del settore, si aggiungono tecniche mirate che possono ampliare la portata dell’azione filantropica, attrarre nuovi sostenitori e generare un impatto concreto sulla comunità, trasformando valori e missione sociale in azioni tangibili.
Come si amplia la visibilità
Le risorse disponibili devono essere incrementate e correttamente gestite e per ottenere questo risultato devono poter essere in campo tutte le conoscenze disponibili, adattando strategie ragionate e adattate alle singole fattispecie. Con un approccio professionalizzato, i singoli enti possono ampliare la loro visibilità, attrarre nuovi sostenitori e volontari permettendo così di raggiungere i loro obiettivi. Dubbio amletico per gli enti non profit è semmai quante risorse possono destinare alle azioni di marketing a scapito del perseguimento immediato dei fini sociali e se lo fanno è opportuno predisporre ex-ante, piani di marketing esplicativi dell’operazione, ed ex-post per verificare le modalità dell’operazione e i costi sostenuti in apposite relazioni da presentare all’assemblea dei soci e rese disponibili sul sito aziendale.
Le limitazioni, intese come senso pudico, nell’accedere ai tradizionali mezzi pubblicitari hanno trovato una soluzione nel mondo digitale (possedere una piattaforma per raggiungere un pubblico esteso è ormai accessibile ai più) che permette di transitare informazioni anche in forme non professionalizzate e di monitorarne il ritorno di gradimento. La democraticità dell’accesso ad internet si paga con un sovraffollamento di notizie dove bisogna organizzarsi per trovare ciò che si desidera e, prima ancora, interrogarsi su cosa realmente si desidera attraverso un’analisi dei propri bisogni, raccogliendo quante più informazioni possibili tramite ricerche mirate.
Per un ente non profit che, diversamente all’azienda commerciale, vuole mantenere la sua identità diventa difficile perfezionare le sue comunicazioni con il resto del mondo. I messaggi devono essere in grado di coinvolgere l’interlocutore, ma senza però sconvolgere quello che è lo spirito e l’azione dell’organizzazione al solo scopo di accrescere gli introiti. Forse il più efficace strumento per gli Enti del terzo settore rimane lo storytelling ossia la possibilità di raccontare storie autentiche sull’impatto dell’attività dell’organizzazione in grado di suscitare emozioni, motivare il pubblico a sostenere la missione e crea un legame duraturo con i sostenitori, purché l’attività di storytelling non degeneri in una maniacale ricerca di attenzioni.













































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