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Un libro per voi: "Le donne della Shoah"

Aggiornamento: 26 mar 2023


In una intervista di alcuni giorni fa, la senatrice Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, costretta oggi a vivere sotto scorta, ha espresso il timore della dispersione della memoria, mettendo in evidenza come ogni anno, e in misura secondo lei sempre maggiore, in concomitanza con le celebrazioni del 27 gennaio si percepisca un senso di fastidio per la ricorrenza, il rinascere di una insofferenza nei confronti del popolo ebraico, l’ignoranza del significato profondo di ciò che l’Olocausto rappresentò per l’umanità intera. Ma il 27 gennaio non è una data qualsiasi, perché in quel giorno del 1945, i soldati dell'Armata rossa sovietica abbattevano i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz (nella foto in basso, l'ingresso).

Dal 2000, in Italia, su un progetto di legge presentato da Furio Colombo, il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, dedicato alla tragedia immensa dell’Olocausto, sicuramente il pozzo più nero e profondo nella storia dell’umanità. Ad inaugurare la celebrazione del Giorno della Memoria, con un discorso di alto profilo, a Torino, il 27 gennaio 2000 presso il Teatro Regio fu una sopravvissuta, Giuliana Fiorentino Tedeschi, una delle prime testimoni di quel crimine che lei subì con dodici mesi di internamento ad Auschwitz, poi a Ravensbrück e in altri campi, prima della liberazione.

Sulla sua storia e sulla storia delle tantissime donne che subirono la tragedia della deportazione nei lager voluti dai nazisti per lo sterminio degli ebrei, la giornalista e scrittrice rivolese Bruna Bertolo ha scritto un libro, per le edizioni Susalibri, dal titolo “Le donne nella Shoah”. La Bertolo cita alcuni versi di una poesia in cui Primo Levi, riferendosi alle donne rinchiuse nei lager scrisse: “… Considerate se questa è una donna/Senza capelli e senza nome/ Senza più forza di ricordare/ Vuoti gli occhi e freddo il grembo/ Come una rana d’inverno...”.

In quel toccante discorso pronunciato il 27 gennaio 2000, Giuliana Tedeschi che, per tutta la vita non aveva mai smesso di testimoniare l’orrore di cui era stata vittima, ma una vittima “salvata” e non “sommersa”, pronunciò queste parole che la Bertolo riporta nel suo libro: “Siamo tornati, siamo tornati in pochi, anzi in pochissimi; abbiamo lasciato laggiù milioni di esseri umani, consumati dalle malattie, dagli stenti, dalle violenze; milioni di donne, bambini, vecchi trasformati in fumo. Siamo tornati in un mondo in cui ci siamo subito sentiti estranei, dove non abbiamo trovato ascolto ma solo una desolata solitudine. Allora abbiamo scritto: prima gli uomini, poi a poco a poco le donne che faticosamente uscivano dalla propria riservatezza e dai propri pudori. Abbiamo scritto con le lacrime per un bisogno estremo di sfogo personale e con disperata rabbia per vendicare le offese e le violenze subite. Ma oggi abbiamo la certezza di avere condannato, con la nostra testimonianza, all’esecrazione universale, una intera generazione di feroci, disumani assassini, per i quali non potrà mai esistere perdono. Le parole sono pietre e pietre auspichiamo che restino i nostri racconti, li lasciamo a voi perché li trasmettiate agli altri, in una catena che non trovi interruzione, perché i nostri racconti rappresentano anche le voci di chi non è tornato.” La morte ha colto Giuliana Tedeschi molto tardi, il 28 giugno 2010, a 96 anni: un lungo periodo di vita per poter raccontare e testimoniare, nei libri, nelle scuole, nei tanti eventi, nelle conferenze.


Il libro di Bruna Bertolo rappresenta un’indagine necessaria, una ordinata raccolta di memorie, appunti, diari e documentazioni di donne che subirono la persecuzione nazifascista. Un insieme di voci al femminile troppo a lungo trascurate.

Sottolinea Bruna Bertolo: «Per molto tempo il modo in cui si pensò all’Olocausto si basò prevalentemente sulle testimonianze scritte e orali dei sopravvissuti di sesso maschile, anche se le sopravvissute avevano prodotto diari, memorie, disegni, molto meno citati ma carichi di contenuti altrettanto significativi. Ma per molte donne, sia ebree, sia deportate politiche (come la storia di Lidia Beccaria Rolfi insegna), ci fu, nell’immediato dopoguerra, una grande difficoltà ad essere ascoltate. Nel libro, il racconto delle prime testimonianze femminili, che risalgono al 1946/1947, acquista un significato particolare: rappresentano il modo di reagire ad una realtà di brutalità che varca i confini dell’immaginazione. E sono modi diversi, che nascono dalle esperienze di vita fino ad allora compiute, ma con la stessa importante capacità di “resistenza”».

Nel volume, Bruna Bertolo parte dalle leggi razziali del 1938 per spiegare il clima di emarginazione che crebbe nei confronti degli ebrei. Racconta le feroci stragi del Lago Maggiore, sottolineando soprattutto alcuni personaggi femminili. Ricorda la grande razzia degli ebrei nel ghetto di Roma e l’unica donna sopravvissuta, Settimia Spizzichino. Evidenzia le prime testimonianze femminili con gli scritti di Luciana Nissim, Giuliana Tedeschi, Liana Millu, Frida Misul, Alba Valech. Termina con le “voci di oggi”: Edith Bruck, Goti Bauer e Liliana Segre. Evidenzia, proprio attraverso le parole della senatrice a vita Liliana Segre, Presidente della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, come la parola chiave per spiegare la tragedia della Shoah sia in fondo una sola: “Indifferenza”.

«Tutto comincia da quella parola. Gli orrori di ieri, di oggi e di domani fioriscono all’ombra di quella parola. Per questo ho voluto che fosse scritta nell’atrio del Memoriale della Shoah di Milano, quel binario 21 della Stazione Centrale, da cui partirono tanti treni diretti ai campi di sterminio, incluso il mio. La chiave per comprendere le ragioni del male è racchiusa in quelle cinque sillabe, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. E’ come assistere a un naufragio da una distanza di sicurezza. Non importa quanto grande sia la nave o quante persone abbia a bordo: il mare la inghiotte e, un attimo dopo, tutto torna uguale a prima. Non un’onda in superficie, non un’increspatura. Solo un’immobile distesa d’acqua salata», queste le sue parole in una intervista.

La parte centrale del libro, caratterizzato da una ampia ricerca iconografica, è dedicata al racconto delle prime testimonianze femminili, uscite quasi in contemporanea alla prima edizione di “Se questo è un uomo” di Primo Levi, ma in gran parte passate inosservate. Luciana Nissim, Giuliana Fiorentino Tedeschi, Liana Millu, Frida Misul, Alba Valech vollero lasciare subito una testimonianza dell’orrore vissuto sulla propria pelle: modi diversi di raccontare che nascevano dalle esperienze di vita fino ad allora compiute, ma con la stessa capacità di resistere e di far conoscere al mondo l’orrore dei campi di sterminio. L’autrice dedica un capitolo al primo atto della Shoah in Italia: le stragi del lago Maggiore. Qui, fin dai mesi di settembre e ottobre 1943, si sviluppò una feroce caccia agli ebrei, che portò all’uccisione di uomini, donne, bambini la cui unica colpa era quella di essere ebrei.

Un ampio spazio è dedicato al rastrellamento del ghetto di Roma, il 16 ottobre 1943, una delle pagine più brutali della storia italiana del 900. La “soluzione finale” prevista a Wannsee il 20 gennaio 1942 si era tragicamente messa in moto. E racconta la storia dell’unica donna sopravvissuta della grande razzia del 16 ottobre: Settimia Spizzichino, autrice, in anni successivi, di un libro di memorie intitolato “Gli anni rubati”. Anni rubati per i sopravvissuti. Vite rubate per i sommersi.

Furono milioni le vite rubate. Non fu facile per i sopravvissuti rientrare in una normalità che normalità non sarebbe mai più potuta essere. Non fu facile cominciare a raccontare. Non fu facile anche “voler” ascoltare. Il Giorno della Memoria serva anche a questo….

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