Ucraina e Medio Oriente, perché scoppiano le guerre
- Stefano Rossi
- 1 giorno fa
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di Stefano Rossi

L’allargamento del conflitto in Medio Oriente riporta ha reso nuovamente attuale la questione del come e perché scoppiano le guerre. C’è un equivoco ricorrente che riguarda lo studio delle cause dei conflitti armati nel mondo, e che diventa particolarmente rilevante in un periodo storico come quello attuale, in cui il crollo della potenza egemone determina una nuova fase di anarchia internazionale, il moltiplicarsi di conflitti regionali e – speriamo il più tardi possibile – globali.
Le tante chiavi di lettura
Quanto ci chiediamo quali siano le cause di un conflitto armato, specialmente di un conflitto “convenzionale”, diverse scuole di pensiero cercano le risposte in fattori geopolitici, socio-economici o culturali. Se prendiamo ad esempio il conflitto ucraino, c’è chi sostiene che la sua vera causa sia da ricercare nei rapporti tra Russia e Occidente e nella regolazione delle rispettive sfere di influenza, o negli equilibri mondiali (la tesi della guerra per procura tra USA e Cina); c’è chi sostiene una lettura socio-economica in base alla quale le ragioni sono da cercare nel prezzo del petrolio o nei rivolgimenti socio-economici interni alla Russia; c’è chi legge il conflitto come uno scontro di civiltà tra autoritarismo e democrazia, o ne cerca le cause nella questione delle minoranze linguistiche. Lo stesso esercizio può essere fatto per il recente conflitto tra Israele e Iran, o per tutti gli altri numerosi scenari di guerra a livello globale.
Tutte queste chiavi di lettura svelano una parte del fenomeno bellico, ma lo fanno in maniera incompleta, impedendo di cogliere il problema della guerra nella sua interezza. D’altra parte, se una di queste analisi fosse corretta e le altre errate, basterebbe seguire le cause individuate da quella teoria per “hackerare la storia” e impedire che scoppino nuove guerre. Ma nonostante l’abbondanza di uomini e donne di buona volontà, questo obiettivo non è riuscito a nessuno nel mondo moderno, quindi c’è qualcosa che non va nell’analisi.
La differenza tra causa e motivo
A ben vedere, tutte queste teorie (che affondano le loro radici nei pensieri marxista, liberale, del realismo politico, idealista etc.) non indagano le cause delle guerra, ma ne ricercano piuttosto i motivi e le ragioni. C’è una differenza sostanziale tra “cause” e “motivi”. Chi ha preparato l’esame di diritto privato la conosce bene, e sa che la causa del contratto di compravendita non è la fame che induce una persona a comprare un chilo di pane, ma è lo scambio tra un bene e un prezzo in denaro: ciò che induce una persona a vendere e l’altra a comprare un certo bene ricade sotto la categoria di motivo, non di causa. La circostanza che ogni giorno milioni di persone scambino beni con denaro non fa mutare ogni volta la causa delle singole compravendite, anche se ciascun compratore e venditore lo sta facendo per motivi differenti.
Allo stesso modo, occorre indagare la causa strutturale della guerra come fenomeno storico, senza fermarsi ai motivi che riguardano una guerra in particolare, perché da motivi specifici non si può ricavare una legge storica generale. Seguendo l’analogia giuridica, se volessimo per qualche ragione eliminare dal mondo la compravendita, non sarebbe sufficiente eradicare la fame – perché le persone avrebbe sempre altri motivi per scambiare beni e denaro – ma piuttosto il capitalismo, inteso quale sistema economico e produttivo che prevede lo scambio di beni contro denaro.
Nazionalismo e sovranità
Ebbene, se definiamo la guerra (almeno quella convenzionale, che in questi anni è riemersa come un fantasma dal secolo scorso) come conflitto armato tra stati, possiamo iniziare a collegare la causa strutturale della guerra convenzionale alla divisione del mondo in stati sovrani. D’altra parte, lo stesso concetto moderno di guerra (quello che ci interessa eradicare) nasce insieme al concetto di Stato, quale entità che esercita sovranità su un certo territorio occupato da una certa popolazione. E la storia ci insegna che soltanto i popoli che si costituiscono in Stato praticano la guerra, mentre i popoli che non hanno uno stato – ad esempio per ragioni di diaspora (popolo ebraico fino al 1947) o di nomadismo (popolo rom) – non praticano la guerra. Se si vuole indagare le cause della guerra, bisogna chiamare sul tavolo degli imputati lo stato nazionale e il principio di sovranità che ne costituisce il fondamento profondo. In altre parole, pensare di risolvere il problema della guerra senza mettere in dubbio la divisione dell’umanità in stati sovrani è un’illusione.
E, infatti, la guerra moderna è nata insieme a una nuova forma di organizzazione politica, quella dello stato nazionale, che ha consentito di organizzare gli sforzi di milioni di persone intorno all’obiettivo comune della conquista (o della difesa) grazie ai nuovi mezzi tecnologici della rivoluzione industriale, e che ha finito per dividere il mondo in stati sovrani. Il che significa che la divisione dell’umanità in stati sovrani e la guerra sono due facce della stessa medaglia, due manifestazioni dello stesso fenomeno storico.
Il crollo delle aspettative
Speravamo di aver lasciato alle nostre spalle l’esperienza della guerra convenzionale, le riflessioni su “come scoppiano le guerre”, le espressioni come dottrina militare o economia di guerra. Alcuni speravano che con il crollo dell’Unione Sovietica la storia fosse finita. Altri hanno sperato che il crollo dell’egemonia americana ci avrebbe consegnato un mondo più giusto e di pace: è successo il contrario. Tutte queste aspettative, in assenza del superamento della divisione politica dell’umanità, sono state tradite, a conferma che “non possiamo risolvere i nostri problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato per crearli”. Non si trovano conferme che questo aforisma sia correttamente attribuito ad Albert Einstein[1], ma quel che è certo è che lo scienziato, insieme a Bertrand Russell, scrisse un Manifesto nel 1955 in cui riflettendo sul problema della guerra atomica (“metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?”) sostenne che “dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo” e che “abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale”.
È impossibile risolvere una questione così complessa in poche righe, ma il tempo per iniziare a riflettere con un pensiero nuovo intorno al problema della guerra è giunto, ed è qualcosa che riguarda la nostra generazione.
Note
[1] La citazione più vicina appare in questa intervista sul NYT del 1946, dove Einstein dichiara che “a new type of thinking is essential if mankind is to survive and move to higher levels […] Past thinking and methods did not prevent world wars. Future thinking must prevent wars”.
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