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Sera del 23 ottobre 1942: tuona il cannone a El Alamein e la Folgore si sacrifica

Aggiornamento: 23 ott

di Vice


Oggi, 23 ottobre, ricorre la Festa di Corpo delle Aviotruppe. La celebrazione si è tenuta presso il Centro Addestramento Paracadutismo (CAPAR) di Pisa, e coincide con l'82° anniversario della Battaglia di El Alamein e del sacrificio della 185a Divisione paracadutisti Folgore, che era stata costituita il 1° settembre del 1941, il cui nome "Folgore" viene aggiunto soltanto nell'agosto del 1942, pochi giorni dopo la prima battaglia di El Alamein e a un mese dal suo trasferimento tra le sabbie del deserto al comando del generale Enrico Frattini (1891-1980).



"Le nostre forze corazzate aumentarono sino a raggiungere le sette brigate, con oltre un migliaio di carri, quasi metà dei quali era costituita da carri dei tipi Grant e Sherman provenienti dagli Stati Uniti". E' il prologo di Winston Churchill nel raccontare la battaglia El Alamein, nel deserto egiziano, tra le truppe dell'Asse italo-tedesco al comando del feldmaresciallo Rommel e quelle dell'Impero britannico, che aveva messo in campo il meglio delle Divisioni sudafricane, neozelandesi, australiane e indiane, integrate da due brigate, una greca e l'altra della Francia libera.

Così, quando lo stato maggiore inglese, al comando del maresciallo Alexander e del generale Montgomery, lanciò la sera del 23 ottobre 1942 l'operazione "Lightfoot", i rapporti di forza sul terreno erano di 2 a 1 a favore dell'Impero Britannico che godeva anche del doppio di mezzi corazzati e di una superiorità aerea di cinque a uno. Con questi numeri, la seconda battaglia a El Alamein, dopo quella di luglio, era segnata in partenza, al di là di ogni forma di eroismo che avrebbe reso leggendari la resistenza delle divisioni italiane e, soprattutto dei "ragazzi" della Divisione Folgore, in prima linea con un altro reparto d'élite, i "para" tedeschi della Brigata "Ramcke" (Luftwaffe).

A El Alamein, i soldati italiani e tedeschi entrarono nel girone infernale attorno alle 22, scrive Churchill, quando il cielo fu illuminato dal fuoco delle artiglierie britanniche che li bersagliò per una ventina di minuti; un martellamento che mise a dura prova le divisioni Pavia, Folgore, Brescia, Bologna, mentre la fanteria dell'Impero cominciava ad avanzare per cercare un varco e costringere il nemico a utilizzare i mezzi corazzati, in primis la Divisione Ariete. La resistenza italiana fu stoica e resa gloriosa nel successivo contrattacco operato tra il 27 e il 28 ottobre, che però si rivelò un autentico suicidio dinanzi all'imponente schieramento avversario e allo strapotere aereo: dal ventre degli aerei, la Raf scaricò 80 tonnellate di bombe su un'area che misurava cinque chilometri per tre. Fu un'ecatombe.

All'inizio di novembre, Rommel era un comandante sconfitto e solo, privato del suo luogotenente von Thoma preso prigioniero insieme con una decina di generali italiani. L'esito della battaglia era irreversibile a favore dei britannici. La superiorità di uomini e mezzi armi avrebbe offerto soltanto spazio allo spirito di abnegazione e al sacrificio dei soldati italiani in ritirata, su cui versare fiumi d'inchiostro di retorica per attutire il dolore.


I caduti italiani: 17 mila

Ma El Alamein, le perdite furono davvero impressionanti, segno di una resistenza che si misurò più con orgoglio militare che per adesione ideologica. Diciassettemila furono i caduti. La sola Divisione Folgore ne contò 4.700 su cinquemila effettivi, perdendo nei primi cinque giorni dal 23 ottobre 40 ufficiali, e su 12 comandanti, 8 morti e 2 feriti. Una decimazione per la meglio gioventù italiana, sacrificata alle visioni criminali di un solo uomo e dei suoi cortigiani, il cui coraggio fu riconosciuto dagli inglesi - in particolare dal generale Hugues, comandante della 44a divisione fanteria britannica, che accolse il generale Frattini, preso prigioniero, con parole lusinghiere - e magnificato dallo stesso Winston Churchill - secondo un'affermazione che però non ha mai trovato pieno riscontro - che conierà l'appellativo "i leoni della Folgore", e in patria da una pioggia di decorazioni al valore (9 medaglie d’Oro al Valor Militare, 24 d’Argento e 27 di Bronzo, oltre a innumerevoli encomi e riconoscimenti individuali).


Il tributo di Winston Churchill

In effetti, alla leggenda di El Alamein durante il conflitto e dopo concorsero i britannici, che vissero e propagandarono quella vittoria come "la svolta fatale", e non soltanto sul piano psicologico e simbolico. Per usare ancora le parole del primo inglese britannico, "[...] prima di El Alamein non avevamo mai ottenuto una vittoria, dopo El Alamein non conoscemmo più la sconfitta". All'opposto, l'Asse fu costretto a misurarsi con una serie di rovesci drammatici che ne segnarono l'arretramento su più fronti. Su tutti quello russo, con la ritirata da Stalingrado, seguita alla resa del feldmaresciallo Paulus e della sua VI armata diventata uno spettro, e più sconfitte a ripetizione che minarono l'Italia, votata all'armistizio dell'8 settembre, dopo l'invasione della Sicilia, il bombardamento su Roma e la caduta del fascismo.

Nel dopoguerra, la memoria dell'epico scontro bellico ha coinciso soprattutto con l'encomiabile lavoro di Paolo Caccia Dominioni, in quel 1942 maggiore dell'Esercito, aggregato al 185° della Folgore, incaricato dal governo italiano sei anni anno di redigere una relazione sul cimitero di guerra di Quota 33, uno dei luoghi della battaglia. Caccia Dominioni, autore del libro Premio Bancarella El Alamein 1933-1962, dedicò quasi tre lustri alla risistemazione del cimitero, da cui prese vita il Sacrario militare italiano e, in particolare, alla ricerca nel deserto egiziano di tutte le salme dei caduti di ogni nazionalità.

Nel mezzo, la ricostruzione della memoria militare, tra le prudenze e le cautele degli anni Cinquanta, si affidò a una delle rare rievocazioni cinematografiche della II Guerra mondiale, il film "Divisione Folgore" di Duilio Coletti (in alto) un fotogramma della pellicola), con un giovanissimo Mario Girotti, il futuro Terence Hill, tra gli interpreti, cui è seguito nel 1969 "La Battaglia di El Alamein" di Giorgio Ferroni e nel 2002 lo spettacolare "El Alamein - La linea del fuoco di Enzo Monteleone, che ha tra i suoi protagonisti uno degli attori italiani destinato a una notorietà internazionale, Pierfrancesco Favino.


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