Riflessioni pacate su Silvia Romano
Aggiornamento: 21 apr 2023
di Germana Tappero Merlo
La vicenda di Silvia Romano, la cooperante italiana sequestrata e liberata dopo 18 mesi di prigionia, ha suscitato reazioni irrazionali, strumentali, al limite del parossismo collettivo che meritano risposte di segno contrario, almeno sotto il profilo del rispetto che si deve ad ogni essere umano oggetto di una violenza. Ora, non entro nel merito della conversione della ragazza. Si tratta di un percorso personale di cui non è necessario fare speculazioni. Risulterebbero aria fritta. Mi preme però evidenziare alcune cose, alcune implicazioni di carattere geopolitico. Le immagini della sua liberazione e del suo arrivo a Ciampino sono un mix di propaganda molto vincente e convincente nel mondo musulmano. Era, ed è, l’obiettivo dei rapitori e probabilmente anche dei mediatori, la Turchia e il Qatar, quest’ultimo come mediatore finanziario, a dimostrazione del ruolo anche di questo Paese nei rapporti con l’estremismo musulmano. La giovane donna è stata liberata grazie anche all’intervento di mediazione ed operativo dei servizi segreti turchi. Tant’è che in un’immagine seguente al rilascio, indossa un giubbotto antiproiettile dei corpi speciali turchi. Anche se si tratterebbe di un “taroccaggio” da parte dei turchi su un giubbotto italiano, da cui innumerevoli altre speculazioni circa la propaganda turca e/o eventuali messaggi destinati al nostro Paese, ciò non toglie che il rilascio è avvenuto con mediazione dei servizi e forze di sicurezza di Ankara, ampiamente operanti nell’area. Si sa quanto Erdogan punti (e lo sta facendo con successo) alla conquista dell’Africa, muovendosi tra Somalia (dove è presente da quasi due decenni per affari commerciali ma anche come referente nell’addestramento delle forze armate regolari somale) e ultimamente in Libia. Alla base vi sono innumerevoli motivi di ordine geopolitico e strategico, e soprattutto per inseguire il sogno di un moderno impero ottomano musulmano. E lo fa, tra l’altro, intrattenendo relazioni anche con qaedisti come al Shabaab. Nulla di nuovo sotto il sole dato che Ankara gestisce, con ponti aerei diretti, anche il traffico di jihadisti siriani verso la Libia. Insomma, una conferma del ruolo del sultano turco negli affari sporchi del jihadismo mondiale, da cui tutti i leciti interrogativi e speculazioni sul ruolo della Turchia nella Nato. L’arrivo a Ciampino in abiti musulmani (e, si badi bene, non “tradizionali” somali), ossia con il jilbaab, del colore verde proprio dell’Islam può essere stata anche una condizione imposta dai rapitori o, anche qui, dai mediatori turchi. Quelle immagini stanno facendo il giro di tutti i media del mondo e l’impatto su quelli musulmani, di ogni “grado” di fede è prepotente. Al Qaeda e quel che rimane dell’Isis vivono anche e soprattutto di immagini, di propaganda, una simbologia itinerante di vittoria sugli infedeli. Quelle immagini di una giovane donna partita cristiana e ritornata a casa musulmana, con il nome di Aysha, che significa “madre di tutti i credenti”, dunque nome molto potente, equivalente al cristiano “Maria, Madonna” e nome della sposa-bambina di Maometto, con in più il “cognome” al Shabaab, hanno un impatto dirompente come messaggio. E qui entro nel merito dei limiti della questione, di come è stata gestita dalle nostre autorità. Non bisognava dare tutta quell’enfasi mediatica all’arrivo della ragazza. È un boomerang a livello internazionale clamoroso. Altri paesi hanno pagato e pagano per il rilascio dei loro prigionieri, o fanno scambi, magari un “infedele” contro 10 o più di loro, con quel che comporta ossia, fra gli altri, il rischio di ricreare reti terroristiche. Ma li rimpatriano senza dare quell’enfasi che si è data e si sta dando a questa ragazza. Tra l’altro, le stesse bare dei caduti statunitensi e britannici sul campo nella guerra al terrorismo non vengono più mostrate in alcun modo in televisione, proprio per non dare “soddisfazione” al nemico e un eventuale uso e ritorno propagandistico sul web. Tornando a Silvia Romano e le modalità circa la sua accoglienza a Ciampino, è mia opinione che sia stata una dimostrazione di debolezza della classe politica, che utilizza questo palcoscenico per legittimare il pagamento del riscatto o per dire all’altra parte, quella musulmana, “come vedete siamo stati ai patti”. Aggiungo, però, un elemento a parziale “discolpa” del nostro governo: è senza dubbio vero che con il pagamento del riscatto l’Italia assuma il ruolo nella mente dei criminali e dei jiahdisti di un sorta di bancomat, con il rischio di emulazione da parte di altri gruppi terroristici o di delinquenti in giro in molte aree del continente africano, dove tra l’altro siamo molto presenti (Eni, grandi imprese per le infrastrutture, Ong, missionari etc). Tuttavia, la scelta “morbida” del pagamento e quella “spettacolare” dell’accoglienza della giovane cooperante da parte del nostro governo possono anche significare un credito che l’Italia si aggiudica nei confronti del rischio di possibili azioni future di terroristi o combattenti jihadisti contro le nostre maestranze e i nostri soldati all’estero, o addirittura sul nostro territorio. Si tratta di aspetti molto complessi non solo della sicurezza interna, ma anche delle relazioni internazionali e della diplomazia dopo la guerra fredda. Nulla è più bianco e nero, noi contro di voi, per intenderci come prima della caduta del Muro di Berlino. Ora vi sono innumerevoli variabili da considerare. In primis i soggetti non-statuali che, però, con l’appoggio di Stati o regimi, magari nostri alleati (la Turchia è un paese membro della Nato dal 1952) o partner commerciali (vedi Qatar) sono loro sponsor e, determinati nei loro progetti geopolitici, ottengono ciò che vogliono. Tutto ruota quindi sul ruolo e la credibilità dell’Italia a livello internazionale. Un rapporto complesso, con innumerevoli variabili che passano anche tra le pieghe dell’abito verde di Silvia. Ultimo aspetto su questa ragazza, oggetto di critiche e censure per le sue affermazioni pacate, le sue assicurazioni ad essere stata trattata bene, il suo non verbale, dal sorriso alla “leggerezza” con cui è rientrata a Ciampino. Credo che sarebbe contro ogni logica dettata dal buon senso escludere che anche quelle sue affermazioni possano essere state imposte come condizione per il rilascio. Rimane però il dato incontrovertibile di una giovane donna “costretta” per 18 mesi in uno stato di coercizione, diverso da quanto lei desiderasse all’origine, lontano dai riferimenti sicuri (famiglia, amici, colleghi). Il suo vissuto psicologico, soprattutto nell’immediatezza del sequestro, è talmente privato che, forse, solo una terapia con bravi specialisti potrà spiegarglielo. La psiche trova vie di fuga, di salvezza in certe condizioni di costrizione, ma prima di arrivarci soffre. La paura domina, devasta. C’è l’isolamento e sovente anche la convivenza con persone squilibrate, non gestibili facilmente se non hai esperienza, e soprattutto imprevedibili, dove in gioco c’è la tua vita. Insomma, è dura. Il ribadire, in continuazione, di essere stata forte è più un’ancora di salvezza per la sua mente, che una giustificazione che si sente di dare a noi. E non mi sento di dare giudizi a una possibile rappresentazione, a ciò che può essere solo finzione. Imporre, poi, qualcosa a chi esce da una situazione del genere, è un’ulteriore forma di violenza. Occorre essere empatici e andare oltre a quello che possiamo provare noi, in salvo.
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