Riders ed app "Torino mercati": domande alla Giunta Lo Russo
- Beppe Borgogno
- 18 mar
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 18 mar
di Beppe Borgogno

A circa due anni dalla scadenza del mandato amministrativo anche piccole storie e provvedimenti che possono apparire marginali aiutano, forse, a capire qualcosa di più.
Torino, tra le tante cose da fare, prosegue anche nell’opera di promozione e di valorizzazione dei mercati cittadini: come sempre, c’è da tutelare il commercio di prossimità dalla concorrenza della grande distribuzione e degli acquisti on line. Per farlo meglio, anche tenendo conto delle caratteristiche peculiari di chi abitualmente utilizza i mercati all’aperto, è indispensabile offrire più servizi. Tra questi, certamente la consegna della spesa a casa, e meglio ancora se ciò può avvenire utilizzando gli strumenti informatici, usando il proprio telefono nel modo più facile: cosa meglio di un’App dedicata?
Da quando, un bel po’ di anni fa, la città cercava di convincere, con contributi economici ma non solo, gli operatori dei mercati e i gestori dei negozi di vicinato a consorziarsi per dare vita ai “centri commerciali naturali” per offrire più servizi ai clienti è passato tanto tempo, e si sono aggiunte nuove tecnologie e tante nuove abitudini. Così attraverso l’App “Torino Mercati” promossa dalla città, dopo la “Manifestazione di interesse di operatori commerciali disponibili a effettuare il servizio di consegna a domicilio” lanciata dall'Assessorato al Commercio, ai torinesi verrà offerta, per ogni mercato, la possibilità di farsi consegnare la spesa a casa da qualche impresa protagonista delle piattaforme del “food delivery”.

Tutto bene? Qualcosa sì, ma non proprio tutto. Perché negli anni, assieme alle abitudini e alla tecnologia è cambiato anche il lavoro. E tra i lavori che un tempo nemmeno riuscivamo ad immaginare, quello dei riders che portano il cibo a casa è diventato, purtroppo, un simbolo di precarietà, sfruttamento e insicurezza. Quindi quello che va bene per ristoranti e pizzerie non va bene per i mercati cittadini? Bisogna perciò rinunciare ad un servizio a vantaggio dei cittadini, spesso anziani, che utilizzano il commercio di prossimità? Certamente no, ma forse è utile ragionare meglio su come farlo, quali paletti mettere, quali garanzie offrire anche ai lavoratori coinvolti, visto che l’iniziativa è promossa da una importante istituzione pubblica, il Comune di Torino.
Su questo punto, nei giorni scorsi, si è espressa la CGIL, che lamenta di non essere stata coinvolta (pur avendo portato a conoscenza anche del Comune i problemi che riguardano l’attività del food delivery) insieme con le altre organizzazioni sindacali, per un confronto preventivo sulle delicate questioni che riguardano la qualità del lavoro e la sicurezza dei “ciclo-fattorini”, note certamente a chi, come i sindacati, quotidianamente ha a che fare con le “prassi imprenditoriali degli operatori del food delivery”. E ne approfitta, la CGIL, per ricordare “che l’amministrazione della Città di Torino registra un ritardo nella condivisione con le organizzazioni sindacali di un protocollo sugli appalti… affinché l’appalto tuteli le lavoratrici e i lavoratori in termini di giusto salario, di rispetto delle norme sulla sicurezza e di strumenti di controllo che garantiscano legalità e applicazioni di contratti e leggi”.
Insomma, non sempre le ciambelle riescono col buco. E se pensiamo all’ispirazione etica e politica che sta alla base della proposta di “Patto per il lavoro” presentata dalla maggioranza di centrosinistra del Consiglio Comunale, di cui La Porta di Vetro ha resocontato, viene il dubbio che nel caso di questa iniziativa essa non sia stata compresa nella sua interezza dall’Assessorato al Commercio.
Non sembra del tutto sbagliato che ci si potesse attendere qualcosa di più da una amministrazione che ha, certamente nel passato, ma anche ora visto quel documento del Consiglio Comunale, tra le sue priorità l’attenzione al lavoro e ai diritti dei lavoratori. E appare perciò piuttosto insufficiente che nel bando si parli di un generico requisito che raccomanda a chi risponderà di “svolgere l’attività nel rispetto delle leggi sul lavoro e sulla sicurezza” e nulla più.

Non è difficile prevedere che seguiranno interrogazioni, chiarimenti, forse modifiche, ma anche questa può essere l’occasione per qualche riflessione su cosa occorre correggere per affrontare l’ultima fase del mandato.
Per esempio, forse serve una maggiore attenzione alla effettiva coerenza di ciò che si fa con i principi generali a cui l’amministrazione si ispira, perché ogni provvedimento ha in sé tanti significati, anche oltre l’obiettivo per cui è stato costruito. E’ la politica, cioè la Giunta o il Consiglio, a dover ispirare l’azione amministrativa, soprattutto quando la sua volontà si manifesta così chiaramente come dimostrano gli atti recenti del Consiglio Comunale sul tema del lavoro. Atti che si concentrano sul futuro industriale e sullo sviluppo della città, ma che provano anche a ribadire come le politiche del lavoro, nei tanti aspetti in cui si declinano, debbano essere affrontate attraverso il coinvolgimento delle forze sociali, comprese quelle che rappresentano i lavoratori ed il mondo del lavoro in generale.
E se questa vicenda, al di là della sua importanza generale, possiamo usarla almeno come promemoria, allora forse c’è da correggere qualcosa anche nel modo in cui i diversi ambiti dell’amministrazione funzionano, come comunicano tra loro, e come la politica comunica con la “macchina”. Non solo i provvedimenti, ma nemmeno l’organizzazione è “neutrale”: sono gli obiettivi uniti alla volontà politica a definirne i caratteri. Per occuparsene non è mai tardi e non è una perdita di tempo, anzi.
Tanto per fare un esempio, ha poco senso, in materia di sicurezza, parlare di politiche integrate se poi non si “integra” l’organizzazione interna, che deve contribuire a costruirle nei tanti aspetti in cui è necessario farlo, se davvero sì è convinti che la sicurezza sia anche, ma non solo, ordine pubblico. Che serve, in fin dei conti, anche a far vedere in un modo un tantino più efficace a chi vive nelle cosiddette “zone rosse”, ma non solo, che c’è una attenzione particolare che la città dedica a quei cittadini anche nell’ambito dei servizi, della scuola, della cultura, della cura del territorio.
Nell’amministrazione di una città come Torino, oggi, non c’è quasi più nulla che si possa definire “ordinario” secondo le categorie di qualche anno fa. Persino il giusto obiettivo della consegna a casa delle spesa ce lo dimostra. O la decisione di far controllare da telecamere le corsie riservate ai bus in alcune zone della città. Servono, persino in casi come questi, sensibilità, attenzione e capacità di visione generale. Serve una marcia in più, e tocca a chi guida la città impegnarsi per garantirla.
Comments