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Rider, dignità e diritti: battaglia persa (per ora) dal Piemonte

Aggiornamento: 14 set

Respinto dal Consiglio regionale un ordine del giorno dell'opposizione Pd

di Laura Pompeo*


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La notizia sui rider sarà anche di secondaria importanza rispetto alle grandi questioni nazionali e internazionali. Ma ha una visibilità estrema nel quotidiano, perché riguarda la sicurezza sul lavoro, vero e proprio cancro sociale nel nostro Paese, come dimostrano per l'ennesima volta gli infortuni mortali avvenuti ieri, ben quattro, a Roma, Catania, Monza e Torino, dove un uomo di 68 anni, Yosif Gamal, egiziano residente a Moncalieri, è morto cadendo da un cestello di una gru.

Il Consiglio regionale del Piemonte, infatti, ha respinto un ordine del giorno per rafforzare le tutele dei ciclo-fattorini, meglio noti come rider, una delle categorie con minori protezioni e tutele sul lavoro, tra caldo estremo, retribuzioni a cottimo e algoritmi opachi. Intanto l’Europa e altre regioni italiane indicano altre vie... per contrastare gli aspetti più perniciosi della rivoluzione digitale che cambiato il mondo del lavoro a velocità siderale. Piattaforme e app hanno introdotto nuovi modelli di impiego ed offrono servizi immediati e capillari alla cittadinanza, ma in cambio restituiscono precarietà e insicurezza a migliaia di lavoratori e di riflesso alle comunità, effetto collaterale di cui si parla quasi mai. E rider rappresentano oggi uno dei simboli più evidenti di un sistema che spesso dimentica i diritti di chi lavora.

In Italia, i lavoratori che vediamo pedalare per le nostre strade con sulle spalle zaini o borse termiche e che spesso azzardano manovre rischiose e spericolate per guadagnare qualche secondo nelle consegne sono oltre mezzo milione, numeri esplosi nei grandi centri urbani con la pandemia. Nel Nord, la maggioranza è composta da immigrati (circa il 60%), ma si registra anche un numero crescente di italiani over 50, espulsi dal lavoro tradizionale e costretti a reinventarsi sulle due ruote entrando nel mondo del delivery. Una fotografia che smentisce lo stereotipo del rider giovane e studente e che racconta invece una precarietà diffusa e trasversale, fatta anche di sfruttamento, come nel caso del "caporalato digitale".[1]


Condizioni estreme, tutele minime  

Il lavoro di consegna è faticoso e rischioso: traffico, incidenti, esposizione alle intemperie e a temperature estreme, retribuzioni spesso legate al cottimo e assenza di tutele previdenziali e assicurative. In un'estate che volge al termine, con le temperature record che hanno caratterizzato l’Italia, le condizioni sono diventate insostenibili già lo scorso giugno. La Regione Piemonte ha esteso ai rider, con un’ordinanza, il divieto di lavoro nelle ore più calde previsto per l’agricoltura, la logistica e le cave. Un passo avanti, certo, ma insufficiente rispetto al dovere di attrezzarsi, materialmente e normativamente, per ridurre rischi e danni.

Le piattaforme, in alcuni casi, hanno persino introdotto il “bonus caldo”: piccoli incentivi economici per chi continua a lavorare anche con 40 gradi. Una misura che i sindacati hanno definito indegna, perché trasforma un rischio per la salute in una banale questione di denaro, invece di ridurlo o prevenirlo.


L’Europa corre, l’Italia resta indietro  

Altri Paesi hanno già introdotto norme strutturali. In Spagna, la “Ley Rider” riconosce ai ciclo-fattorini la presunzione di lavoro subordinato. Nel Regno Unito, lo status di “worker” garantisce salario minimo e ferie pagate. Anche in Lombardia e nel Lazio sono state adottate misure concrete: hub di ristoro, convenzioni sanitarie, voucher per la formazione.

In Italia, il decreto legislativo 101/2019 e alcune previsioni del Testo Unico sulla Sicurezza (Dlgs 81/2008) hanno aperto la strada a un primo quadro di tutele, ma i vuoti restano ampi. A livello europeo, la direttiva 2024/2831 impone agli Stati membri di garantire più diritti ai rider entro il 2026: l’Italia dovrà recepirla, ma intanto i lavoratori continuano a muoversi in un limbo giuridico.


Un ordine del giorno (bocciato)  


In questo contesto, il Consiglio regionale del Piemonte si è trovato di fronte a una proposta chiara, presentata dai consiglieri del Partito democratico per rafforzare la tutela dei rider attraverso misure concrete e strutturali. L’ordine del giorno fissare alcuni punti precisi: 1) allestire spazi di ristoro, ricarica cellulare, piccole riparazioni e protezione dal caldo, dal freddo e dalle piogge, in punti strategici come stazioni e mercati; 2) promuovere campagne di informazione sui rischi e sulla responsabilità sociale delle piattaforme; 3) promuovere campagne di sensibilizzazione del pubblico affinché i potenziali clienti evitino di usare le piattaforme da cui dipendono nelle ore più calde della giornata, ecc.; 4)
stanziare fondi per sicurezza e formazione; 5) incentivare la trasparenza degli algoritmi vietando le penalizzazioni algoritmiche che oggi regolano turni, compensi e punizioni implicite; 6) favorire accordi regionali e nazionali vincolanti con le aziende del delivery, per garantire la dignità retributiva e previdenziale; 7) adottare, infine, una legge regionale specifica.

La proposta è stata respinta dalla maggioranza. Una bocciatura che lascia l’amaro in bocca, anche considerato che proprio a Torino, anni fa, nacque la prima protesta italiana dei rider contro una multinazionale del delivery, seconda in Europa dopo Londra.


Una questione di dignità  


Non si tratta di un dettaglio tecnico né di una battaglia ideologica. In gioco c’è la dignità del lavoro. I rider sono lavoratori importanti, che consegnano cibo, farmaci e beni di prima necessità. Ma lo fanno in condizioni che spesso somigliano a una forma di schiavitù moderna: senza ferie, senza malattia, senza TFR, con guadagni incerti e un algoritmo che decide le loro possibilità di reddito.

La salute e la sicurezza sul lavoro non sono una merce di scambio, né un bonus da erogare a discrezione. Sono diritti costituzionali. Lo ha ricordato anche la CGIL, attraverso NIdiL (Nuove identità lavoro), che da anni si batte per offrire ai rider punti di sosta dignitosi e strumenti di welfare.

Il Piemonte avrebbe potuto assumere un ruolo di avanguardia, come già in passato sul fronte delle lotte sindacali e dei diritti del lavoro. Ha scelto invece di rinviare, perdendo un’occasione per dimostrare che la politica può essere vicina ai più fragili. Una sensibilità che fortunatamente in altri ambiti comincia a manifestarsi. In proposito, ricordiamo la mostra “Riders… Sfrecciano via veloci” del fotografo Mauro Raffini, in giro per l'Italia, scatti che raccontano la vita dei rider tra velocità, disagi e quotidianità. 

La sfida resta aperta. Perché i rider non sono figure marginali, ma protagonisti del nostro presente. E la loro condizione racconta che tipo di società vogliamo essere: una che scarica il costo della flessibilità sui lavoratori più deboli, o una che sceglie di garantire diritti, dignità e sicurezza a tutti.


*Consigliera regionale del Pd, Laura Pompeo modera oggi, martedì 9 settembre, alle 18,30 alla Festa de l'Unità di Torino l'incontro dal titolo "Formazione, ricerca, cultura: il ruolo delle Università nelle città che cambiano" che vede la partecipazione di Cristina Prandi, (Rettrice Università Torino), Stefano Corgnati (Rettore Politecnico Torino) e Alfredo D'Attorre (Responsabile Nazionale del Dipartimento Università e Ricerca del PD).


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