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Regolarizzare i migranti, si media al ribasso

Aggiornamento: 21 apr 2023

di Davide Rigallo

Dopo una complessa mediazione tra le forze della maggioranza, segnata dalle resistenze del Vice Ministro all’Interno Vincenzo Crimi (M5S) alle proposte della Ministra per le Politiche Agricole Teresa Bellanova (Iv), l’accordo sulla regolarizzazione dei lavoratori migranti ha trovato una sintesi nel quadro del DL Rilancio. Stando alle bozze del testo definitivo, risulta alquanto difficile individuare all’interno del provvedimento elementi che facciano pensare a una discontinuità nella politica migratoria nazionale. Sostanzialmente coerente con l’impianto securitario che, con asperità più o meno acute, l’Italia si trascina dal lontano 2002 (anno della Legge 189 “Bossi-Fini”, tutt’ora vigente), il provvedimento appare un compromesso al ribasso soprattutto per due motivi: 1) è insufficiente rispetto alle strategie di contenimento e prevenzione del contagio che l’emergenza Covid-19 sta richiedendo; 2) non si inserisce in quella rimodulazione radicale della politica migratoria auspicata da una parte delle forze (PD, Italia Viva, LeU) che compongono l’attuale esecutivo. Cominciamo dal primo punto. Il successo nella gestione dell’emergenza sanitaria in corso ha come sua condizione fondamentale l’individuazione preventiva e tempestiva dei casi di contagio. In questa operazione, è quanto mai importante che non vi siano categorie di persone “invisibili” alla prevenzione e alle cure, in modo da garantire il contenimento dell’epidemia, oltre che la garanzia della cura, a tutta la collettività presente sul territorio. Per quanto in forma approssimativa, con l’espressione “invisibili” si è soliti indicare tutte quelle persone straniere presenti sul territorio nazionale che non hanno, o hanno perduto, i requisiti per soggiornarvi regolarmente. È noto come tali requisiti dipendano quasi esclusivamente dalla condizione occupazionale, la quale, molto spesso, viene meno, oppure scivola in quel limbo di sopravvivenza e disperazione che è il “lavoro nero”. Quello dei lavoratori stranieri stagionali impiegati nella raccolta di frutta e verdura costituisce solo una parte di questo campo di forze in cui coesistono sfruttamento e bisogno estremo: la platea dei migranti “irregolari”, purtroppo, è più vasta e la sua “emersione”, indispensabile per le ragioni sanitarie che abbiamo esposte, non può risultare parziale o “settoriale”. È principalmente per questo motivo che, da molti parti, in questi giorni è stata auspicata una “regolarizzazione” estesa, ossia capace di rendere “legali”, e quindi “visibili”, quante più persone immigrate presenti in Italia, anche se in condizione di irregolarità. In un momento, infatti, in cui si parla quotidianamente di “tracciabilità” dei casi e di spostamenti in qualche modo verificabili al fine del contenimento del contagio, questa soluzione sembrerebbe del tutto coerente e necessaria. I criteri assunti per la prossima regolarizzazione dei lavoratori migranti non sembrano però avere recepito appieno questa priorità. Se è vero che la platea dei destinatari non si limita ai lavoratori stagionali, ma comprende anche colf, badanti e baby-sitter, le modalità della regolarizzazione – sostanzialmente: un’istanza presentata del datore di lavoro1 o la richiesta da parte del migrante in condizione irregolare dal 31 ottobre 2019 di un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio nazionale per la durata di sei mesi dalla presentazione dell’istanza – non sembrano garantire una copertura rispondente alle finalità sanitarie. È infatti forte il timore che i requisiti stringenti stabiliti dal provvedimento possano finire per scoraggiare un’ampia fetta di migranti in cui la volontà di “emergere” potrebbe scontrarsi con la paura di rischi maggiori, anche legati ai difficili rapporti di forza che vigono nelle situazioni in cui si trovano a lavorare. L’impressione è che, nella complessa trattativa tra i partiti di maggioranza, la priorità sanitaria abbia ceduto il passo ad istanze di altro tipo, come quella di garantire forza-lavoro per la raccolta estiva, nonché a una sostanziale mancanza di coraggio a varare una “misura” – la cosiddetta “sanatoria” – tanto necessaria sul piano sanitario quanto in contraddizione con l’orientamento securitario che, in forme e dosi differenti, è di fatto accettato dalla maggior parte delle forze politiche. Arriviamo così a toccare il secondo punto: la rimodulazione della politica migratoria nazionale. In proposito, giova ricordare l’impegno assunto nell’agosto 2019, all’inizio cioè del governo Conte-bis, da PD, Iv e LeU di abrogare (o riformare) i cosiddetti Decreti Sicurezza del governo Conte I. Questa azione avrebbe certamente potuto segnare una tangibile discontinuità con le politiche dell’esecutivo “gialloverde”, ma anche essere il primo passo per un cambio di paradigma nella legislazione in materia di migrazioni e asilo. Avrebbe: perché, in realtà, tutto ciò non si è verificato. I Decreti Sicurezza sono infatti rimasti immutati e nei mesi del lockdown è stato addirittura varato un Decreto interministeriale sull’operatività dei porti che, per tutta la durata dell’emergenza sanitaria Covid_19, stabilisce che essi non vengano considerati Place of Safety, ossia luoghi sicuri per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana. Di fatto, si tratta di una chiusura alle navi umanitarie delle Ong che operano nel Mediterraneo nel salvataggio dei migranti. Complessivamente, nel susseguirsi delle emergenze e delle mediazioni fra le forze della maggioranza, l’auspicato cambio di passo che ci si aspettava in materia di migrazioni appare come derubricato dall’agenda del governo, il quale si ritrova a percorrere, ancora una volta e non senza tensioni, il tracciato securitario che da quasi vent’anni a questa parte domina l’approccio politico nazionale al fenomeno. _____________________ 1 È escluso chi risulta condannato, anche con sentenza non definitiva, per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia o dall’Italia verso altri Stati, o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione, o per intermediazione illecita diretta allo sfruttamento.

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