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L'Editoriale della domenica. "Dopo gli orrori, ritorni la vita"

di Piera Egidi Bouchard


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Le strade delle nostre città rilucono di festoni di luce, i mercatini si tingono di addobbi rossi, sulle porte delle case ancora vediamo ghirlande natalizie. Eppure la gente ha gli occhi tristi e preoccupati, e il nostro cuore soffre. Soffriamo tutti negli ultimi anni per le distruzioni e le morti che vediamo in diretta dai nostri teleschermi, assistendo impotenti, giorno dietro giorno a queste due guerre particolarmente vicine a noi. Centinaia di migliaia di giovani ucraini e russi massacrati, un’intera generazione. Famiglie con bambini affamati, nelle tende, in mezzo al fango in Palestina. È come se tutti i valori per cui abbiamo vissuto per tanti anni siano irrisi e anch’essi distrutti. Chi ha il potere di fermarsi, ai vertici degli stati, non sembra affatto disposto a farlo. Bisogna dare atto soprattutto agli Stati Uniti, al presidente Trump, degli sforzi per riappacificare i contendenti. Ma quando si apre il vaso di Pandora, ne colano fuori solo miasmi di odio e di veleno. E quest’odio travolge gli animi nella vendetta, ma con l’istinto a vendicarsi, a “vincere” non si va da nessuna parte, si può soltanto continuare all’infinito, fino all’ultimo essere vivente stecchito.

Ci addolora infinitamente il conflitto tra Israele e Palestina, che ora si trova in una fragile tregua, anche per gli equivoci pericolosissimi di antisemitismo che produce. Non possiamo dimenticare la consapevolezza della Shoah, abbiamo negli occhi le immagini dei sopravvissuti dei lager, degli scheletri viventi, abbiamo letto, abbiamo seguito tutte le ricorrenze, abbiamo detto “Mai più”. E abbiamo lottato per la coesistenza, per “due popoli due stati”, ciascuno con i suoi usi e costumi, con la sua storia, con la sua fede religiosa. Ma lì c’è il problema della “terra”- così lapidariamente rispose Giorgina Levi a  un mio angosciato perché - : chi ci è nato, chi ci è tornato dopo secoli e secoli, e ciascuno la vuole per sé. Sono dinamiche elementari, espressione di egoismo, e ciascuno di noi prova questi sentimenti e questi impulsi; ma crescere e convivere con gli altri e il resto del mondo, significa imparare a conoscersi e a controllarsi. E intanto, con le immagini di quel popolo affamato, tra le macerie, in mezzo al fango mi torna in mente il tragico rimprovero di Primo Levi a tutti noi che viviamo “in tiepide case”... Il giorno della memoria sarà deturpato così?

Guardando all’Est, non mi sono accettabili le critiche - pur necessarie e giuste, dato l’atteggiamento sconsideratamente  guerrafondaio dei suoi dirigenti - all’”Europa”. L’Europa non siamo solo noi occidentali, l’Europa è anche l’Est, la Russia. Ci siamo nutriti di tutti i suoi grandi scrittori e poeti, dei suoi musicisti, dei suoi stupendi ballerini. L’Est non è barbarie, e l’Occidente non è “vecchio”, è antico, nutrito di una storia e una cultura complessa, a cui hanno contribuito tante diverse nazioni, tante lingue diverse, tante fedi diverse: e con l’immigrazione dal Sud del mondo continuiamo ad incontrarci e a imparare a convivere. L’Europa – tutta – con l’emigrazione a sua volta ha contribuito al “Nuovo mondo”: basta guardare i cognomi in America, e si capiscono le origini. E li dovrebbe anche ripassare, quei cognomi, anche l'americano Donald Trump che alza i muri.

Mi è capitato tra le mani un libriccino antico: sono brevissimi racconti di Tolstoj, intitolato “I due vecchi”: negli episodi dipinti dalla maestria del grande scrittore, che fu anche un filantropo, un credente, intransigentemente pacifista, ci sono le sue meditazioni sulla pace e sull’amore cristiano. Particolarmente lo è “Il cero”, che si apre con la citazione del versetto di Matteo 5,38-39 “Vi è stato detto che è stato detto: occhio per occhio, e dente per dente. Ma io vi dico di non resistere a chi vi fa del male.” È la storia del tentativo di rivolta di contadini oppressi da un fattore crudele: ci sono le loro discussioni per organizzarsi a ucciderlo. Interviene uno di loro, Pietro Mikeev, “un uomo timido” - l’”idiota” di turno - che dice:” Fratelli miei, voi meditate un grande peccato. Perdere un’anima è cosa grave. È facile perdere l’anima altrui, ma poi come si rimane noi stessi? Egli fa il male? Il male resta con lui. Bisogna sopportarlo, fratelli miei.”

I contadini poi non faranno la rivolta, e il fattore avrà “casualmente” un incidente mortale, come una punizione divina: era per terra “Steso sul dorso, con le braccia in croce, gli occhi vitrei, le interiora pendenti, tutto bagnato del suo sangue, un sangue che la terra non beveva”. Neanche la terra vuole quel sangue... E si conclude il racconto: “Ed i contadini compresero allora che non nella vendetta, ma nella dolcezza risiede l’onnipotenza di Dio”.

Come possiamo darci la morte l’un l’altro, popoli dell’Oriente e dell’Occidente, popoli cristiani che si massacrano? I capi politici hanno gravi responsabilità, ma anche responsabili sono le Chiese che proprio nei pressi di questi anni dedicati alla commemorazione del Concilio di Nicea, che li vide tutti uniti nella formulazione del Credo - 1700 anni fa - si sono divise secondo linee nazionalistiche, di appoggio ai singoli governi. Ci vogliono grandi profeti che abbiano una gran voce, che parlino, che scuotano le coscienze: ci vuole un Mandela, un Martin Luther King; noi piccoli uomini e donne possiamo solo angosciati manifestare, pregare, dire "basta!" e interpellare i potenti, come ha scritto in un suo recente intervento il pacifista Enrico Peyretti: “Sappiamo che le armi non portano mai pace, e non respingono la guerra, ma la confermano? Fabbricare armi è forse lavoro per la vita e la dignità? In guerra non vincono dignità e diritto, ma vince chi più distrugge vite umane e valori".

Si è già distrutto anche troppo: i contendenti devono fermarsi, trovare ciascuno delle mediazioni, fare delle rinunce, e in questo senso è importante il “ponte” rappresentato dall’interlocuzione americana. Non si può “vincere”, ci si può solo massacrare. Fermiamoci, pensiamo a curare le gravi piaghe prodotte, non solo nei corpi, ma nelle coscienze delle persone. Pensiamo a ricostruire le città distrutte, a sminare i campi, a piantare di nuovo alberi e fiori. A far tornare la vita, insomma, dopo tanti orrori di distruzione e di morte.


 

 

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