Questori: "rotazioni" per sottrarsi alla vere riforme?
- Nicola Rossiello
- 19 ore fa
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Aggiornamento: 9 ore fa
Il sospetto di una vocazione al gattopardismo... cambiare affinché nulla cambi
di Nicola Rossiello

La recente precisazione del prefetto Mario Della Cioppa sul ruolo delle Questure e delle Prefetture offre lo lo spunto per una riflessione più ampia perché quando un alto funzionario sente la necessità di ribadire pubblicamente la natura imparziale delle istituzioni che rappresenta, è lecito interrogarsi sullo stato del dibattito pubblico e sull’effettiva attuazione delle politiche governative in materia di sicurezza. Si osserva, in effetti, una distanza tra l’ampia narrazione politica sull’argomento e i risultati concretamente misurabili, in un periodo in cui il dialogo sulle regole dello Stato è particolarmente acceso.
Un primo punto di osservazione riguarda il delicato equilibrio sul territorio perché alcuni osservatori, e parte del dibattito politico, segnalano una percezione diffusa ovvero che le autorità locali dello Stato possano essere spinte a interpretare il proprio ruolo in modo sempre più aderente a indirizzi politici definiti, i quali enfatizzano una risposta di controllo e fermezza a ogni fenomeno di tensione sociale. Questa lettura, se confermata, indicherebbe una tensione tra la tradizionale continuità amministrativa e una possibile ridefinizione delle priorità operative. La confusione tra gli obiettivi di una compagine governativa e la missione permanente dello Stato può, in tali condizioni, esporre i suoi rappresentanti a critiche di parzialità, con il rischio di logorare la fiducia della comunità.
In questo contesto, appare significativo lo stallo in cui versano alcune proposte di riforma annunciate come prioritarie. È il caso, ad esempio, del cosiddetto “scudo penale” per gli agenti di polizia, il cui iter legislativo non ha finora prodotto risultati concreti, nonostante i ripetuti annunci. Questo stallo lascia di fatto invariata la condizione giuridica del personale operativo, creando un divario tra le aspettative sollevate e la realtà normativa, un aspetto che viene frequentemente sottolineato nel confronto tra le forze politiche e nei dibattiti interni al settore.
Allo stesso modo, l’efficacia concreta del nuovo “decreto sicurezza” viene periodicamente messa in discussione da parte di giuristi e addetti ai lavori con critiche che si concentrano sul fatto che le sue misure più emblematiche - come il Daspo urbano o alcuni inasprimenti penali - possano non intervenire su nodi strutturali ampiamente riconosciuti, quali i tempi della giustizia, le carenze organiche nelle forze di polizia o le moderne forme di criminalità. Secondo questi analisti, si tratterebbe quindi di uno strumento il cui impatto mediatico rischia di superare quello reale sulla sicurezza percepita e quotidiana dei cittadini.
Ma ci sono ulteriori elementi vengono spesso citati negli ambienti politici e giornalistici come fattori di complessità perché si discute anche del ruolo dei sindacati di polizia di ispirazione corporativa, il cui approccio alle recenti riforme è stato letto da alcuni come una forma di adesione all’indirizzo governativo, con un conseguente indebolimento di una tradizionale voce critica indipendente, un orientamento che, secondo alcuni commentatori, potrebbe nel lungo termine non giovare alla tutela degli interessi del personale di polizia. Dall’altro, è oggetto di cronaca e di analisi istituzionale la dinamica tra il vertice politico del Ministero dell’Interno e la leadership tecnica della Polizia, con episodi che hanno visto il ministro assumere iniziative di norma di competenza del Capo della Polizia. Questo approccio, se consolidato, viene da più parti interpretato come una significativa centralizzazione politica delle decisioni operative.
Il quadro che ne emerge è quello di una politica della sicurezza che, secondo una lettura critica condivisa da una parte dell’opinione pubblica e della stampa, sembra puntare molto sulla comunicazione immediata e sul controllo politico diretto, a volte a discapito di riforme strutturali di più lungo periodo. La conseguenza, sempre secondo questa prospettiva, potrebbe essere un paradosso: l’obiettivo dichiarato di uno “Stato forte” potrebbe essere minato proprio da un’eccessiva politicizzazione e frammentazione delle sue istituzioni, le quali per funzionare richiedono invece stabilità, risorse adeguate e un chiaro rispetto delle distinzioni di ruolo previste dall’ordinamento. La sicurezza dei cittadini si costruisce infatti su pilastri complessi: investimenti programmati, riforme condivise, una giustizia efficiente e il rispetto delle competenze tecniche. Elementi che, in questa fase, appaiono ancora in attesa di una piena e coerente realizzazione.













































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