SETTIMANA FINANZIARIA. Europa: industria a rischio
- a cura di Stefano E. Rossi
- 3 ore fa
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a cura di Stefano E. Rossi

C’è il rischio di un declino industriale senza precedenti per l’Europa. L’allerta è emersa dal 7º Forum Trilaterale delle imprese svoltosi a Roma. Per il divario quasi incolmabile che si è aperto con gli altri blocchi economici, la dichiarazione è apparsa, più che un allarme, quasi come un epitaffio. Si è trattato dell’ultima delle denunce sulla bassa competitività del sistema Europa. Stavolta, a lanciarla sono state le tre più potenti organizzazioni imprenditoriali dell’UE, quella italiana, la tedesca e la francese. Dopo due giorni di incontri, alla presenza del commissario europeo alla prosperità e strategia industriale, Stéphane Séjourné, i tre presidenti degli industriali, Emanuele Orsini di Confindustria, Peter Leibinger della BDI e Patrick Martin del Medef hanno solennemente divulgato il documento congiunto, siglato questa settimana. Sono sei i punti salienti. Semplificare e completare il mercato unico, decarbonizzare garantendo la competitività, rafforzare la sovranità tecnologica e digitale, raddoppiare gli sforzi su tutela della proprietà intellettuale e sul trasferimento tecnologico (definite le scienze della vita), investire in difesa e spazio e infine imporre, come bussola della politica, la competitività.
Detto in sintesi: l’Europa deve affermare la propria indipendenza, proteggere la propria sicurezza e assumere la leadership nello sviluppo delle tecnologie essenziali per i propri interessi strategici.
Le premesse di questo appuntamento erano state fissate una settimana fa dalla lettera aperta del Presidente di Confindustria Emanuele Orsini. Le parole erano forti: l’obiettivo di ridurre del 90% le emissioni entro il 2040, nelle condizioni attuali, non è realistico. Senza una strategia industriale comune, il motore europeo si sta spegnendo. Il settore automotive è il primo banco di prova della credibilità europea: non staremo a guardare, mentre una delle nostre principali filiere viene immolata sull’altare della più miope burocrazia conformista.
Usa, lo shutdown comincia a pesare...
Il petrolio, dopo una breve pausa, riprende subito un’intonazione ribassista. Torna nuovamente sotto quota 60 dollari al barile. Anche l’oro ha fermato la sua corsa. Ma l’ha fatto solo dopo aver raddoppiato il proprio valore da inizio anno e dopo aver procurato gravi danni al settore orafo. Oggi il metallo prezioso si aggira intorno ai 4.000 dollari l’oncia (111 euro al grammo). E sta lì. Parrebbe aver individuato la sua stabile, nuova area di trattativa.
È giunta, attesa da mesi, la conferma della penalizzazione commerciale infitta dagli Usa alla Cina. L’export cinese di ottobre è passato da una crescita del +8,3% a un -1,1%. È la conferma che gli accordi con lo Stato del Dragone sono arrivati nel momento del suo maggior indebolimento.
Dopo l’incontro Trump-Xi del 30 ottobre, il dollaro contro l’euro sembrava aver trovato una rinnovata propensione a rafforzarsi. Poi, è cambiato tutto e, in due giorni, è tornato a 1,16. La sua zavorra è lo shutdown, il più lungo della storia, che provoca impensabili disagi come la cancellazione dei voli al traffico aeroportuale di New York e delle altre metropoli. In più, infiamma il disagio sociale e il malcontento, prontamente raccolto dai media. Per i dipendenti federali, quelli ancora non licenziati ma senza stipendio da un mese, la cinghia è sempre più stretta e il consenso per il governo è precipitato ai minimi storici.
Ma i grattacapi di Trump non si limitano a questo. La Corte Suprema sta valutando un ricorso giudiziale all’introduzione dei dazi. Sta prevalendo uno scetticismo bipartisan sulle misure adottate ad aprile dal Presidente. L’assenza di precedenti storici e il forte impatto sull’economia Usa potrebbero motivare la maggioranza dei giudici, tra i quali anche un paio di nomina repubblicana, ad esprimersi contro la Casa Bianca. La sentenza è attesa per la primavera del 2026. Comunque vada, Trump parrebbe aver già pronte le sue contromisure.
Piazza Affari: crollano Diasorin e Nexi
Infine c’è la mina vagante della finanza. Wall street e tutte le borse del pianeta si interrogano sulla tenuta degli elevati livelli raggiunti dalle quotazioni azionarie. C’è chi con ottimismo indica quali saranno i nuovi massimi di borsa e chi prevede brusche e abissali correzioni dei prezzi. Da una borsa all’altra, ognuno osserva i comportamenti altrui. Ad esempio, ieri c’era molta attenzione sul trend dell’indice DAX tedesco e dello Standard & Poors’ statunitense. Il dibattito tra ottimisti e pessimisti ha ormai preso una dimensione planetaria e i toni si fanno ovunque più accesi.
Piazza Affari osserva lo stop. Ma, bolla o non bolla, arriveremo a… dove? malgrado voi!! cantava ieri Antonello Venditti. E, malgrado voi, potrebbe dirlo oggi Elon Musk, il patron della iper-valutata Tesla. Questa azione ha un p/e di 230 (rapporto prezzo/utili). Significa che per ripagarne il prezzo d’acquisto, non bastano due secoli degli utili d’esercizio che la società sta oggi esprimendo. Da profani, verrebbe da chiedere a chi compra quelle azioni se gli è ben chiaro chi faccia l’affare.
La domanda di fondo, se ci sia o no una bolla del mercato azionario, resta comunque senza risposte. Rimbalza ovunque da settimane con insistenza crescente, qui da noi e altrove. Perciò, nel dubbio, in settimana la borsa di Milano si conforma a un senso di comune cautela e si ferma.
E lo ha fatto nonostante gli ottimi risultati di molte trimestrali pubblicate negli ultimi giorni.
Unipol ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con un incremento dell’utile netto del 48%. Quello di Banca Mediolanum è salito del 18%. Il risultato è stato aiutato dalle plusvalenze per la cessione a Banca Mps della partecipazione in Mediobanca. Utili sopra le attese anche per Banco Bpm, + 17%. Però, solo Banca Mediolanum è salita (+3,56%), gli altri due titoli hanno chiuso la settimana in calo.
Se ci fosse davvero una bolla, piccola o grande che sia, se ne potrebbero leggere altri segnali nei ribassi eccessivi di alcune azioni. Come effettivamente è accaduto. La prima è Nexi. Comunica una marginalità sotto le attese e dimostra un po’ troppa prudenza sulle previsioni di chiusura d’anno. Non la si perdona. Lascia sul parterre un ottavo del suo valore. Però, c’erano anche evidenti prospettive di miglioramento, che passeranno per la razionalizzazione della situazione finanziaria. Una riduzione dell’indebitamento si realizzerà raccogliendo l’offerta d’acquisto della divisione Digital Banking Solution da parte del Fondo Usa Tpg. Un altro caso riguarda Diasorin. Massacrata dalle agenzie di rating, è in caduta libera. Anche l’analisi tecnica dei grafici fatica a trovare un supporto credibile al quale aggrapparsi per limitare le perdite. Nei tempi di maggior incertezza, le differenze tra i titoli emergono con più chiarezza. In termini tecnici, si chiama selezione.
Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli del listino FTSE MIB.
I Tori: Fineco +6,36%, Moncler +6,27%,
Gli Orsi: Diasorin -22,79, Nexi -12,44%.
FTSE MIB: -0,60 (valore indice: 42.917)
I presenti commenti di mercato rivestono un esclusivo scopo informativo e non intendono costituire una raccomandazione per alcun investimento o strategia d’investimento specifica. Le opinioni espresse non sono da considerare come consiglio d’acquisto, vendita o detenzione di alcun titolo. Le informazioni sono impersonali e non personalizzate.













































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