Raccontare la speranza: oltre le narrazioni di crisi e declino
- Savino Pezzotta
- 12 ore fa
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di Savino Pezzotta

Ogni società è costruita intorno a narrazioni che ne orientano la visione del mondo. Esse agiscono come una forza gravitazionale invisibile, capace di dare forma ai significati condivisi, ai comportamenti e alle aspirazioni collettive. Le narrazioni non sono semplici storie: sono infrastrutture simboliche, strumenti attraverso i quali una civiltà si pensa, giustifica se stessa e immagina il proprio futuro.
Post-cristianesimo
Nella nostra epoca, spesso definita “post-cristiana”, lo stesso cristianesimo sembra aver perso la forza di fare coesione. Le narrazioni che dominano il discorso pubblico — politiche, economiche, mediatiche — ruotano intorno a una parola chiave: crisi. Crisi climatica, crisi economica, crisi democratica, crisi di senso. È un racconto che si alimenta di precarietà e che, col tempo, è diventato una forma di identità collettiva. Viviamo nella crisi, ma soprattutto della crisi.
Come ha osservato il filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han stiamo vivendo nella società della stanchezza: una civiltà che ha sostituito l’oppressione esterna con l’autosfruttamento e l’obbligo con l’iperattività. Ognuno è chiamato a essere imprenditore di sé stesso, sempre disponibile, sempre connesso, sempre produttivo. In questo contesto, la crisi non è più un evento da superare, ma uno stato permanente di esaurimento, una condizione esistenziale.
Il risultato è una società svuotata di dialettica e di immaginazione politica. La narrazione della crisi, ripetuta e interiorizzata, funziona come dispositivo di controllo culturale: normalizza la precarietà, giustifica la disuguaglianza e indebolisce il desiderio di cambiamento. Se “non c’è alternativa”, come ha sostenuto per decenni il pensiero neoliberale, allora l’unica opzione rimane adattarsi, resistere individualmente, gestire la fatica.
Le conseguenze sociali e politiche di questa narrazione sono evidenti. Da un lato, la disgregazione del legame sociale: la solidarietà cede il passo alla competizione, la fiducia collettiva si dissolve nell’ansia individuale, la comunità si frammenta in solitudini digitali. Dall’altro, il declino del lavoro come fondamento identitario e politico. Lavorare non è più sinonimo di appartenenza o di dignità, ma spesso di precarietà, isolamento, o marginalità.
Dall'emancipazione del lavoro alla sua mercificazione
Il lavoro — un tempo nucleo simbolico della cittadinanza e della partecipazione democratica — è stato eroso da processi tecnologici e finanziari che lo hanno reso instabile e invisibile. Si è passati dalla promessa di emancipazione attraverso il lavoro alla sua mercificazione assoluta: la prestazione sostituisce la professione, l’algoritmo sostituisce la contrattazione, la flessibilità diventa sinonimo di vulnerabilità. È una trasformazione materiale, ma anche narrativa: non raccontiamo più il lavoro come costruzione di senso, ma come problema individuale da gestire.
In questo scenario, la crisi del lavoro coincide con la crisi della speranza collettiva. Senza un orizzonte comune di progresso, l’idea stessa di futuro si indebolisce. La politica, ridotta a gestione dell’emergenza, fatica a proporre visioni alternative; la società civile, privata di strumenti di rappresentanza, si rifugia nella rassegnazione o nel rancore.
Eppure, proprio in questa condizione di disorientamento, può emergere una nuova possibilità. Ripensare le narrazioni significa rimettere al centro parole come cura, solidarietà, giustizia, comunità. Non come residui di un passato religioso o ideologico, ma come basi di una nuova grammatica civile.
Sono questi fenomeni che incidono sulla coesione sociale che spingono a riscoprire la contemplazione, la lentezza, la profondità contro la superficialità produttivista. Forse, oggi, a questo invito va aggiunto un compito più collettivo: ricominciare a raccontare insieme. Raccontare storie che non parlino solo di crisi, ma di possibilità; non solo di declino, ma di dignità.
I cambiamenti dei sindacati
In questo scenario, anche il sindacalismo vive una fase di profonda trasformazione. Più che una crisi di rappresentanza, quella che attraversa oggi i sindacati è una crisi di immaginario. Il sindacato era, nel Novecento, una potente narrazione collettiva: l’idea che la solidarietà fra lavoratori potesse modificare le condizioni materiali dell’esistenza, generando emancipazione e diritti.
Oggi, quell’immaginario si scontra con un mercato del lavoro frammentato, flessibile, disperso in una miriade di micro-relazioni contrattuali e digitali. La figura del lavoratore — capace di riconoscersi in un destino comune — si è dissolta in una moltitudine di soggettività precarie, autonome o intermittenti, difficili da rappresentare con gli strumenti tradizionali.
La perdita di centralità del lavoro ha indebolito anche la cultura sindacale della solidarietà. La logica competitiva del neoliberismo ha infiltrato perfino i rapporti fra lavoratori, sostituendo la cooperazione con la performance individuale. In questo contesto, il sindacato non può limitarsi a difendere ciò che resta del vecchio lavoro: deve inventare nuovi linguaggi di rappresentanza, capaci di includere chi lavora nei margini, nei servizi, nelle piattaforme, nella cura o nella conoscenza.
La sfida è narrativa prima ancora che organizzativa. Occorre raccontare di nuovo il lavoro come spazio di dignità e di cittadinanza, non solo come merce o prestazione. Ricostruire un immaginario comune significa ridare voce a quella parte di società che oggi vive nell’invisibilità economica e simbolica.
In fondo, il sindacato è stato — e può tornare a essere — una delle grandi fabbriche di speranza della modernità: un luogo dove le biografie individuali si intrecciano in una storia collettiva, capace di immaginare un futuro migliore. Se le narrazioni hanno una forza gravitazionale, allora solo recuperando il senso di questa gravità comune potremo uscire dall’orbita sterile della crisi permanente.
Raccontare il lavoro, oggi, significa raccontare di nuovo la speranza.











































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