Il caso Stellantis tra annunci, "assunzioni" e disimpegno reale
- Gian Paolo Masone
- 19 ore fa
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di Gian Paolo Masone

Le comunicazioni ufficiali del gruppo Stellantis riguardanti i nuovi ingressi di personale nello stabilimento di Mirafiori, sempre sbandierate dalla stampa locale, mi evocano una singolare analogia: gli annunci sul peso corporeo di una mia amica.
Lei, una donna piacevolmente in carne, dichiara di aver perso, quasi puntualmente ogni mese, due o tre chilogrammi. Ho tenuto traccia, da una certa data, dei suoi cali di peso "conclamati" e, chilo più chilo meno, secondo i miei calcoli, il dimagrimento totale cumulato dovrebbe attestarsi su un impressionante totale di almeno 180 Kg.
Il punto dolente è che, sia nel caso delle dinamiche occupazionali del Gruppo, sia in quello del calo ponderale della mia amica, i numeri totali e il bilancio finale sembrano sfuggire alle regole più elementari dell'algebra. La verità è che, per ottenere un quadro ottimistico, Stellantis convenientemente "dimentica" negli annunci di sottrarre il significativo numero di pensionamenti, prepensionamenti e dimissioni incentivate che hanno svuotato gli organici; proprio come la mia amica omette di contare i chili ripresi.
La Somma che non fa il Totale
Negli ultimi tre anni, le assunzioni a Mirafiori sono state rese pubbliche con grande enfasi mediatica:
· 2023: Fino a 800 assunzioni annunciate per il settore della Circular Economy.
· 2025 : Fino a 100 nuovi ingegneri.
· Annuncio Recente: Ulteriori 400 "assunzioni".
Sommando questi proclami, si arriva a un totale di 1300 nuovi ingressi, un dato sottolineato al punto di suggerire un sostanziale mantenimento o persino un aumento dell'organico complessivo. Tuttavia, neppure i numeri da soli raccontano l'intera storia, perché nella suggestiva rappresentazione della realtà occupazionale, è entrata in gioco anche la distorsione del lessico.
L'Abuso del Linguaggio: Interinali e "Assunzioni"
Si assiste, ormai da tempo, a una distorsione semantica significativa da parte aziendale.
In qualunque contesto, quando si parla di assunzione di interinali, si intende il transito di operai o impiegati già operativi nello stabilimento o negli uffici, dal libro paga della società di somministrazione a quello della società utilizzatrice. Si tratta, in questi casi, di vere assunzioni.
Ciò nonostante, quando si tratta di Stellantis, gran parte dei giornali locali torinesi, sfidando la stessa "contradizion che noi consente" di dantesca memoria, parlano di assunzioni anche in presenza della semplice utilizzazione di manodopera interinale (fatturata al pari delle materie prime o degli altri fattori produttivi). Questo uso disinvolto della parola "assunzione" contribuisce in maniera decisiva a confondere l'opinione pubblica e a celare la reale contrazione degli organici.
Occorre sottolineare che, in molte occasioni, i giornali locali, rinunciando al loro compito di analizzare compiutamente i dati, anziché fare la dovuta verifica incrociata (confrontando i numeri delle assunzioni annunciate con i dati certi di uscite e prepensionamenti), si limitano a riportare il comunicato stampa aziendale con il titolo più altisonante e, quasi mai, inquadrano i numeri nel contesto storico.
La mancanza di fiducia nel futuro
Purtroppo, il raffronto impietoso con gli organici del passato ci riporta brutalmente alla realtà. Non si tratta di vagheggiare un anacronistico ritorno ai numeri d'oro di decenni fa (anche se, va ricordato, in altre parti del mondo continuano a prosperare le cosiddette Mega Fabbriche); si tratta di smascherare e rendere esplicito il messaggio di scarsa fiducia nella ripresa lanciato dalla stessa multinazionale ora guidata da Antonio Filosa.
Tra le molteplici tipologie contrattuali a disposizione per ingaggiare il personale (contratti a tutele crescenti, contratti di apprendistato, contratti a termine, etc.), l'azienda sembra optare per tutti i nuovi ingressi, per la tipologia di contratto che garantisce il minimo dell’impegno e il massimo della reversibilità e flessibilità.
A fronte di questa palpabile sfiducia nel futuro della Casa automobilistica, come si può pretendere che si organizzi il complesso sistema dell'indotto e, più in generale, il tessuto produttivo torinese? La risposta è ovvia: nella migliore delle ipotesi copiando tale sfiducia, scegliendo la prudenza, rallentando gli investimenti.
Ma la paralisi dell’indotto produce a cascata altre gravi conseguenze: in primis il diradamento del tessuto industriale e una significativa perdita di competenze che hanno, da sempre, costituito il tratto identitario della città e che, sostenute dalla committenza locale, hanno saputo conquistarsi spazi anche sui mercati internazionali. L’incertezza che avvolge il futuro dell’automotive rende Torino meno attrattiva per ingegneri e tecnici specializzati.
La politica? Non vede, non sente, ma parla...
A fronte del disimpegno Stellantis, reso evidente dai fatti, stupisce il coro plaudente di tanti politici che accompagnano ogni annuncio aziendale. Tali manifestazioni di compiacimento non fanno che avallare la narrativa aziendale, anestetizzando l'opinione pubblica e rallentando la richiesta di un vero piano industriale a lungo termine per Torino e per l'Italia.
Si stenta a credere che politici navigati possano essere sviati dalle espressioni dei comunicati stampa Stellantis (ruolo centrale, sito strategico, etc…)
In conclusione, la scelta di precarizzare i rapporti di lavoro di Stellantis non può essere interpretata soltanto come una questione di gestione del personale; ma deve essere considerata come chiaro indicatore di una visione tattica di breve periodo mirata al trasferimento del rischio di impresa sulla collettività dei lavoratori e sull'intero ecosistema industriale della città.
Tutto ciò avviene in una città in cui la cessione di IVECO, l’ennesima da parte della Famiglia Agnelli Elkann, ha suscitato meno attenzione e minor dibattito del mancato funzionamento delle scale mobili della Metropolitana (verificare per credere).
Tutto ciò avviene anche in un Paese dove la politica, che pure ha mostrato fin troppa capacità di iniziativa nell’ambito bancario entrando pesantemente nel gioco, si mostra indifferente alle sorti del settore automotive e il comparto dell’acciaio ugualmente importante per una ripresa di largo respiro.
L’ultimo dei Sette Saggi, risvegliatosi da un sonno lungo 57 anni, non si riconobbe più nella realtà: l’auspicio per Torino è che non debba ritrovarsi nella stessa situazione e, al momento del risveglio, non si trovi a fronteggiare una realtà di deindustrializzazione ormai irreversibile.
Nel sostanziale silenzio della politica, toccherà ancora a sette madamine suonare la sveglia a Torino?













































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