Nordio e gli effetti del suo "pacco" giustizia
di Michele Ruggiero
Il "pacco" riforma della giustizia del Guardasigilli Carlo Nordio, che contempla anche l'abrogazione del reato "abuso d'ufficio", articolo 323 del Codice penale, ha provocato la dura reazione dell'Anm, l'associazione sindacale dei magistrati e delle forze di centro sinistra, pur tra distinguo e precisazioni, in particolare degli amministratori del Pd, che rischiano di apparire ai loro elettori come i nuovi astri nascenti del re di Prussia. Tuttavia, secondo costume, il ministro della Giustizia non è arretrato di un millimetro. Anzi, è passato al contrattacco e ha bollato le critiche dell'Anm come "interferenze", precisando che il governo ha come "unico interlocutore il Csm". Fatte le debite proporzioni, è come se un'ipotetica riforma delle pensioni dovesse passare unicamente dall'opinione dell'Inps e non dall'ascolto delle ragioni dei sindacati e delle forze sociali nel loro insieme.
Sigmund Freud forse potrebbe aiutarci a comprendere la piccata reazione del ministro Nordio, ma forse non è neppure così importante un'anamnesi psicologica dell'inquilino di via Arenula, se non altro perché è giusto riconoscergli una linea di coerenza con il temperamento noto fin dai tempi di Mani Pulite insieme, ma non è di ieri, con l'ostentazione di presa della distanza, quasi improntata al fastidio, dalla categoria da cui proviene. Conti in sospeso? Intolleranza alle dinamiche di gruppo? Probabilmente tutto e niente, se non una perfetta lealtà al compito che gli è stato assegnato dal partito, Fratelli d'Italia, che lo ha voluto al Ministero di Grazia e Giustizia, dopo averlo indicato - e crediamo non a caso - nelle consultazioni e votato per la carica di presidente della Repubblica nel settimo scrutinio e nell'ottavo, l'ultimo che ha portato alla (ri)elezione di Sergio Mattarella. Dunque, un fedelissimo che gode e godrà del più ampio sostegno della coalizione di destra, anche nell'ipotesi che il Capo dello Stato dovesse mostrare più di una riserva alla riforma approvata dal Consiglio dei ministri.
Nel girotondo delle coincidenze tra presentazione del pacchetto ed eventi, si inserisce la perfetta e sincronica regìa per dare visibilità concreta al decisionismo del governo di Giorgia Meloni, attuata sia con l'eco emotiva (per quanto divisiva) dei funerali di Silvio Berlusconi, quasi la riscossione anticipata di una rendita post mortem, sia con l'eco dilaniante (e disarmante, se l'attenzione della memoria si riversa sugli errori, gravi e vergognosi, della Procura di Napoli dell'epoca) per il quarantesimo anniversario dell'arresto dell'innocente Enzo Tortora, echi entrambi convergenti e di potente ispirazione per una campagna mediatica contro la magistratura.
Operazione diffusa in grande stile tra ali di un'informazione a reti unificate, su cui ha giganteggiato la denuncia del rapporto tra condanne (minime) e numero (elevato) di indagini aperte sull'abuso d'ufficio (tra l'altro, quanti ne ha perseguiti il ministro Nordio nella sua carriera di un reato che oggi giudica "evanescente"?), dopo che la settimana prima era stata fatta oggetto di attacchi quotidiani la Corte dei Conti, la magistratura amministrativa, messa sotto il fuoco incrociato come una delle principali cause dei ritardi della pubblica amministrazione nel perseguimento della sua attività.
Un ritorno significativo alla battaglia contro i "lacci e lacciuoli", che da tempo immemorabile impedirebbero all'Italia di liberare le sue migliori energie al servizio dei cittadini, gli stessi che proprio a causa dei "lacci e lacciuoli" sono probabilmente costretti ad abusi edilizi, a edificare su aree vietate, pericolose, franose, a rischio di alluvioni, nonostante il fiero intervento degli amministratori pubblici. Mai colpevoli. Ma ossessionati - e con ragione se guardiamo i numeri in assoluto - dall'incombente reato dell'abuso d'ufficio (riformato nel 2020) che pende sopra di loro come la spada di Damocle.
Paradossalmente, delle ritrovate energie che sprigioneranno dall'eliminazione dei "lacci e lacciuoli", mai si parla di un loro utilizzo contro le mafie o per stanare i milioni di evasori fiscali che contribuiscono alle iniquità del nostro Paese. In altre parole, per migliorare questa Italia, questo grande Paese che è "grande" davvero in tutto: debito pubblico, disoccupazione giovanile (con gravi implicazioni psicofisiche su quelle fasce d'età) , precarietà occupazionale, bassi salari, infortuni mortali sul lavoro. Oltre ai tratti caratteristici di salire sul campo dei vincitori e di arare in profondità il campo dell'ipocrisia.
Ora è evidente dalle cronache, quanto sia ineludibile che la riforma della giustizia passi dall'esigenza di avere maglie sempre più larghe del Codice penale per rendere la vita meno ossessiva agli amministratori pubblici e di riflesso ai cittadini. E che ciò servirà anche a ridurre quella fisiologica divaricazione tra quanto promesso in campagna elettorale e quanto di non realizzato, per le chiare e inequivocabili "invasioni di campo" della magistratura che la scure di Nordio e del governo Meloni si appresta però a tagliare. Come a dire che non si vive né nella giusta dimensione, né nella giusta posizione, soltanto a causa del nostro farraginoso Codice penale che obbliga chi governa al passo del maratoneta e non al possibile ed ampio compasso del velocista. Estremizzando in altri settori della vita sociale, sarebbe lecito affermare che sono gli autovelox a provocare le code in autostrade o che chi cade da ponteggi o muore stritolato dagli ingranaggi di un macchinario è per colpa delle normative di sicurezza che distraggono compulsivamente dipendenti e datori di lavoro.
Insomma, secondo il pensiero che è oramai alla moda, viviamo in una società che necessariamente deve rovesciare i suoi parametri di valutazione e di giudizio se vuole migliorare le proprie condizioni di vita. A favore di chi non è ancora bene specificato, ma è chiaro che si intende procedere con qualunque mezzo, anche se di mezzo ci dovranno andare pezzi di democrazia.
In fondo, il ragionamento non dovrebbe sorprenderci. In prospettiva, la proposta di un dimagrimento del Codice penale, accompagnato dalla (ennesima) revisione della Costituzione che reclama il presidenzialismo, senza ovviamente stanze di bilanciamento istituzionale, sarà il nuovo totem attorno al quale si chiederà il consenso dell'opinione pubblica con la promessa di uno Stato moderno ed efficiente. Uno Stato che non si ferma e non si blocca per le regole, perché in grado di autoregolarsi con il "buon senso" e "alla bisogna". Naturalmente di chi comanda, ergo di chi governa, che saprà discernere il bene privato (soprattutto) da quello pubblico, che saprà distinguere i reati contro il patrimonio nel rispetto del nome della vittima o delle vittime, per arrivare a concludere questa mirabile galoppata "riformista" ponendo, con estrema naturalezza, il potere giudiziario al servizio del potere politico. Fantapolitica? Aspettiamo le prossime elezioni europee per vedere se non verrà qualcuno a chiedercelo... espressamente.
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